Quand’è che è successo?

Quand’è che è successo?

È avvenuto tutto in maniera così dannatamente rapida e casuale. O forse non ho compreso il disegno fin dall’inizio. Le immagini che si presentano alla mia vista continuano ad essere sfocate. I rumori che provengono dal locale alle mie spalle si fanno sempre più invasivi. Decido di fare alcuni passi verso riva. Il suono delle onde sostituisce delicatamente quello delle casse del DJ. È proprio un meraviglioso angolo di mondo. Mi siedo in terra ed entro in contatto con la sabbia grazie al palmo delle mani. È un freddo gentile, che si propone delicatamente. Cerca di farti ricordare. Lo abbiamo dimenticato un po’ tutti, in fondo. Il ghiaccio all’interno del bicchiere tenta di sciogliersi e di annacquare l’ennesimo White Russian. Una volta scoperto che nel locale avevano un po’ di latte il gioco era fatto. Succedeva di rado.

Non sapevo perché il seguire la mia mente mi portasse spesso in quelle terre desolate. Riuscivo ad essere un completo estraneo anche per ogni singola parte del mio riflesso. Mi sentivo un peso che girovagava in maniera incessante ed insensata per le strade di una città che non ho mai scelto. Un percorso perso e seguito per paura di addentrarmi in sentieri inesplorati.

Bevo un altro goccio.

Sento di essere completamente saturo ma insisto in maniera capillare. L’osmosi quella sera sarebbe stata un fatto non contemplato, o per lo meno inutile. Quand’è che il futuro diventa presente? Non riuscivo più a rispondermi. Non riuscivo a ricordare l’esatto istante in cui ero entrato nel sistema. Fino ad un attimo fa, i miei capelli toccavano le spalle e la barba era lunga per scelta e non certo per abitudine. Quando è successo che i curriculum hanno sostituito la chitarra? Che i social hanno preso il posto del giovane Holden nascosto accuratamente nel cassetto del comodino, accanto al letto? Che le miriadi di mail hanno offuscato i giochi d’infanzia fatti con la carta dei quaderni? Che le cene internazionali preparate dall’amico pugliese, in orari notturni improponibili, e le lacrime di gioia nel rivedere la mia Anna, si sono frantumate contro le preoccupazioni per il mancato rinnovo del contratto da apprendistato?

Abbiamo scelto di intraprendere questa strada e l’abbiamo deciso all’unanimità. Sì perché nessuno si è veramente opposto in maniera decisa. Nessuno ha mai contestato il fatto che le nostre coscienze e le nostre emozioni stessero diventando un codice binario, freddo e distaccato. Che le nostre priorità e la nostra considerazione dell’altro siano destinate a rimanere confinate all’interno di un commento o di una foto.

Se ripenso a quello che hanno fatto alle foto.

Ancora ricordo quelle esposte nello studio di mia madre. Frammenti di vita impressi indelebilmente. Per farci comprendere che siamo solo di passaggio ma che, comunque, rimane pur sempre una grandiosa comparsata. Ora non esiste nulla di fattuale. Qualunque espressione ed ambizione rimane affidata ad un database digitale totalmente immateriale. Ogni nostro ricordo non è più conservabile. Il personale è definitivamente morto. Per sempre schiavo delle catene dell’ipocrita condivisione. Un’azione dovuta per non sentirsi strani o diversi. Per farsi accettare. Hanno distrutto il senso delle fotografie. Poche e spontanee per rivivere frammenti di vita. Ora, invece, una discarica digitale di inquadrature inutili e presuntuose, a voler posizionare al centro di un dibattito che non esiste, chiunque sia capace di premere un tasto su di un telefono cellulare.

Mentre gli ultimi sorsi di White Russian vanno ad aggravare la situazione già compromessa del mio fegato affaticato, non riesco a fare a meno di pensare a queste cose. Ma cosa me ne importa d’altronde? Non posso continuare sulla mia strada senza dover necessariamente giudicare il comportamento altrui? Ho tentato molte volte di ignorarmi ma non ci sono mai riuscito realmente. È come un richiamo non gradito ma al contempo irresistibile.

Afferro ancora una volta la sabbia all’interno della mano. È sfuggente ed ancora fredda. Mi levo per un attimo le scarpe e cerco di sentire se anche l’acqua ha la stessa temperatura. Come diavolo ha fatto l’uomo ad andare a vivere in montagna? Dannazione sono proprio ubriaco. Chissà se quella bionda di prima diceva sul serio? Sposto leggermente lo sguardo verso destra e mi accorgo di una ragazzina che mi fissa, mentre passeggia con sua madre. Cosa ci fanno in spiaggia a quest’ora?  Sorride. Forse c’è ancora qualche speranza.

Improvvisamente estrae qualcosa dalla tasca centrale del suo vestitino svolazzante. Nel farlo sembra davvero minacciosa. Se la appoggia all’orecchio e preme sullo schermo con il suo minuscolo indice. È un cellulare. Pronto per riprodurre una nota vocale. Immediatamente mi sento mancare ogni energia. Mi accascio a terra stremato. Non riesco più a lottare. Se è per questo neanche a volare.

In un istante riesco a ricordare quando da ragazzino tentavo di sbattere le braccia per spiccare il volo. Sapevo da subito che non avrebbe mai funzionato. La mia struttura non me lo permetteva.

 

Eppure continuavo a provarci.

 

Non me la sentivo di certo, di arrendermi. Quando ero bambino tutto era possibile, tutto era realizzabile in potenza. E se non trovava riscontri nella crudele realtà, per lo meno raggiungeva picchi di perfezione ingegneristica all’interno dei miei pensieri. Erano sogni e visioni. Ma nitide e piene di luce. Abbastanza per definirle realtà. Specie se si viveva il tutto con occhi di bambino. Poi i colori si sono sbiaditi, senza preavviso. Anche la mia immaginazione ha cominciato a rappresentarsi su di uno sfondo completamente nero. Uno scenario plasmato, giorno dopo giorno, dalle mie paure e dalle orribili visioni offerte da ciò che mi sta attorno. Non so più a chi attribuire la colpa e cosa fare esattamente.

So solo che fra poche ore dovrò prendere un volo per tornare in Italia. Dovrò abbandonare questa spiaggia dell’Andalusia e con lei questi vecchi stralci di memoria. Salutare i miei amici e cercare di cristallizzare il loro ricordo. Quanti effetti negativi ha la realtà sui loro sorrisi.

Mi sono rassegnato ad essere la parte più mediocre di me stesso.

Ho fatto sì che una nota vocale sostituisse il rumore che si percepisce portando una conchiglia all’orecchio: quello del mare.