Dal 22 settembre Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige e Kitagawa Utamaro saranno ospitati al Palazzo reale di Milano.

Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige e Kitagawa Utamaro sono i tre massimi esponenti  dell’ukiyoe (letteralmente “immagini dal Mondo Fluttuante) con il quale si indica la produzione pittorica e silografica giapponese dell’epoca di Edo (1615-1868), che dall’Oriente divenne fonte di grande ispirazione fra impressionisti e post-impressionisti di tutto il mondo. Si rappresentavano principalmente scene del quotidiano, personaggi sul luogo di lavoro e magnifici paesaggi in omaggio alle bellezze del mondo giapponese. “Autenticità” e “naturalezza” erano le parole chiave. Anche le stampe a tema erotico erano molto frequenti (le cosiddette “Shunga”), nonostante le continue sanzioni a cui gli artisti venivano sottoposti per la loro esplicitezza sessuale. Probabilmente a causa della censura infatti, fra le innumerevoli stampe presenti al Palazzo Reale, provenienti dalla prestigiosa collezione dell’Honolulu Museum of Art, le Shunga non figurano.

 

Simili per temi e per metodi, gli ukiyoe si presentano come un vero e proprio “lavoro collettivo”: un video della BBC vi mostrerà tappa per tappa il procedimento necessario per la creazione dell’opera. Oltre all’artista che concepiva il disegno, figura fondamentale dell’intero processo era l’incisore, che ricalcava il disegno su un blocco di legno, poi inchiostrato e stampato in copie tutte uguali. Le stampe venivano così prodotte in serie e, una volta vendute, il blocco di legno veniva levigato e riutilizzato per una nuova stampa. Contribuiva infine la casa editrice e le sue scelte di investimento, che ne garantivano l’apparizione sul mercato e la possibilità di acquisto in diversi formati.

 

La mostra, a cura di Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università degli Studi di Milano, presenta più di duecento xilografie policrome dai colori vivaci e dai soggetti rappresentativi dell’epoca, ordinate accuratamente in cinque grandi sezioni tematiche. Cercherò di darvene un piccolo assaggio, accompagnandovi lungo il percorso espositivo seppure non con gli occhi, almeno con la mente.

 

Il nostro viaggio comincia con una serie significativa di surimono, xilografie giapponesi commissionate da privati per le occasioni speciali, una sorta di “biglietti augurali” particolarmente in voga a partire da fine Settecento. La piccola taglia del loro formato metteva alla prova l’abilità degli artisti, che oltre a dimostrare originalità nei temi trattati, dovevano fare i conti con la richiesta di estrema precisione in ogni minuscolo dettaglio.
Nella sezione successiva, potrete addentrarvi fra le celebri serie paesaggistiche degli anni trenta, dove le cascate e i ponti più famosi delle province giapponesi diventano protagonisti assoluti, declinati vicendevolmente dai tre artisti in forme e colori sempre nuovi. Le vedute dei vari ponti saranno fonte di grande ispirazione per i fotografi di fine Ottocento, mentre le cascate stimoleranno l’immaginazione per i loro aspetti surreali, a tratti quasi antropomorfici, volti a sottolineare il potere ancestrale dell’acqua come forza purificatrice.

 

Katsushika Hokusai 1

Un esempio della rappresentazione surreale delle cascate

 

 

Arriverete quindi al punto clou della mostra: “Le trentasei vedute del monte Fuji”(1833-34), la collezione xilografica che ha reso Hokusai conosciuto a livello internazionale. Le trentasei vedute diventeranno quarantasei fogli sciolti a dimostrazione del successo che riscontrarono sul mercato. Qui, fra le varie stampe che riflettono il suo attaccamento personale al Monte Fuji, simbolo della vita eterna, potrete finalmente osservare da vicino La grande Onda, oramai da tutti ritenuta icona assoluta dell’arte giapponese. Come nelle altre opere della serie, anche qui compare il sacro Monte Fuji in lontananza, laddove il primo piano è interamente occupato da un’onda minacciosa pronta a scagliarsi sulle minuscole imbarcazioni nel mare.

 

Katsushika Hokusai 2

Veduta del sacro Monte Fuji

 

 

A seguire, la collezione di xilografie che vede Hiroshige padrone indiscusso, dedicata alle cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, che collegavano la capitale amministrativa Edo, alla capitale imperiale Kyoto. Come potrete notare, l’estrema competitività dei tempi portò l’artista a riproporre la serie in una decina di edizioni, in formati sempre diversi, con l’inserimento di poesie e perfino in collaborazione con altri artisti.

 

Katsushika Hokusai 3

Una delle raffigurazioni delle stazioni del Tokaido

 

 

La sezione successiva vi porterà improvvisamente in un mondo nuovo, quello dedicato ai poeti e alla poesia illustrata. Dopo le dieci xilografie in formato verticale rappresentanti i più famosi poeti della storia giapponese avvolti da magnifici paesaggi, Hokusai accompagna con la sua arte i versi più celebri dell’ontologia poetica Cento poesie per cento poeti (Hyakunin isshu, 1235), spesso interpretandoli a proprio piacimento. Questo tema è molto vicino a Hokusai, lui stesso grande poeta di haiku, brevi componimenti poetici dal linguaggio semplice e immediato, che prendono la propria ispirazione direttamente dalla natura. Particolarmente celebre è l’haiku che scrisse come ultime parole di addio, prima della morte all’età di ottantanove anni:

« Anche se fantasma
me ne andrò per diletto
sui prati d’estate»

 

Nella mostra non viene citato nulla a tal proposito, come se si volesse riservare l’intera attenzione all’Hokusai artista, lasciando l’ “Hokusai poeta” in secondo piano.
Ma continuiamo. Il duello Hokusai-Hiroshige prosegue nella sala dedicata alle stampe di fiori, piante, insetti, uccelli e alle altre numerose creature, ispirate ai libri illustrati importati dalla Cina da metà Settecento. Hiroshige fu colui che ebbe più successo nel pubblico dell’epoca, in parte per la sua maggiore attenzione ai particolari, in parte per la complessità delle sue combinazioni animali-piante sperimentate in diversi formati, come quello del ventaglio rotondo (uchiwae).

 

Katsushika Hokusai 4

Raffigurazione naturalistica tipica dello stile Ukiyoe

 

 

E per finire, Hokusai riprenderà il posto sul podio, con i suoi quindici volumi di manga disegnati a mano, dove figure umane di ogni tipo, piante e animali di diversa specie e un’infinità di utensili sembreranno prendere vita su quelle vecchie pagine stampate a inchiostro nero. Questi capolavori sono in realtà conseguenza di un momento buio per l’artista. Bisogna sapere infatti, che diversamente da quanto potremmo aspettarci, Hokusai non visse nell’oro e fu proprio a seguito di un momento di estrema povertà che decise di pubblicare i suoi Manga e una serie di manuali didattici di disegno. Ad ogni modo, la ricchezza non faceva parte della filosofia dell’artista, che per tutta la sua esistenza visse nella più completa semplicità, lontano dai piaceri materiali. Inoltre, malgrado il suo innegabile talento, fin dagli esordi si dimostrò una persona estremamente umile, critica nei confronti di se stesso, ma determinata a un continuo e progressivo miglioramento. Come egli afferma nella post-fazione di Cento vedute del Monte Fuji(1835):

« Dall’età di sei anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e sono cinquant’anni che pubblico disegni ma, tra quel che ho raffigurato, non c’è nulla degno di considerazione. A settantatré anni ho a malapena intuito l’essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria. […] »

 

Nonostante le sue “previsioni per il futuro”, egli non arrivò ai cento anni, ma continuò a disegnare fino alla sua morte nel 1849.  Anzi, nei dieci anni precedenti alla sua scomparsa, dopo che un terribile incendio aveva distrutto la sua abitazione e tutte le sue opere, Hokusai aveva preso l’abitudine di disegnare ogni giorno un’infinità di leoni cinesi, quasi ossessivamente, come talismano per scacciare la cattiva sorte e per ottenere la vita eterna.

 

Conclusa l’esposizione, sperimenterete probabilmente un momento di lieve confusione. I soggetti in cui vi siete imbattuti, sebbene declinati differentemente da ognuno dei tre artisti, sono una ripetizione tematica riproposta all’infinito: vista l’estrema somiglianza, vi sembrerà difficile ricordare una stampa in particolare, ma allo stesso tempo affermare di “aver visto opere tutte uguali” non vi parrà assolutamente l’espressione adatta. Che dire, vi siete imbattuti in un vero e proprio modello culturale, nelle sue proposte e nelle sue innumerevoli varianti, una sorta di modello archetipico ereditato nei secoli, ed è qui che risiede il suo fascino immortale. Dall’altro lato, c’è da precisare che questa somiglianza tematica aveva scombussolato le menti anche in passato, sfociando in un’estrema competitività fra gli artisti e fra gli editori che guarda caso dovevano inventarsi sempre format nuovi per ricavarsi il proprio spazio sul mercato dell’epoca.

 

Bene, ho già spoilerato abbastanza. Insomma, non vi resta che andare a giudicare coi vostri stessi occhi. Avete tempo fino al 29 gennaio 2017 per compiere il vostro viaggio nel mercato dell’immagine giapponese, quello che aveva colpito dritto al cuore artisti come Monet, Van Gogh e Degas e soprattutto, quello che influenzò e influenza tuttora l’intera produzione manga di oggi e di domani.
Se non ne sarete deliziati, ne uscirete sicuramente arricchiti.

 

 

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Se sei un appassionato di arte leggi anche il nostro articolo su Maurits Cornelis Escher a Milano.