Azione e dramma s’intrecciano in un film frizzante e genuino con un inedito Stefano Accorsi.

La migliore arte proviene dalle pieghe della vita. E’ lì dentro che si trova la genuinità. Negli anfratti, nei ritagli, nei ricordi.

 

Giulia De Martino (l’esordiente Matilda De Angelis) è una diciassettenne che ha dovuto crescere troppo in fretta. Ha una vita diversa da quella delle sue coetanee, delle quali, in fondo, nemmeno s’intravede l’ombra.
Giulia vive in una bella casa di campagna, con una grande rimessa, adibita da tempo a officina. La ragazza ha un fratellino più piccolo, Nico (Giulio Pugnaghi), un bambino tutto occhiali e poco sorriso.

 

La madre di Giulia e Nico se n’è andata, li ha abbandonati da tempo. Il padre, invece, non li ha lasciati per scelta, bensì per forza di causa maggiore, un infarto che non gli ha lasciato scampo.
Ed è proprio al funerale del padre che i due orfani incontrano, dopo una decina d’anni di silenzio e lontananza, il loro fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi).

 

Così come lo era stato suo padre, anche Giulia è una giovanissima – ma determinata – pilota professionista che partecipa al campionato italiano GT.
Anche il fratello Loris era una sorta di pilota prodigio. Era “il ballerino”, soprannome dei tempi che furono. Ora Loris è solo un disperato, un tossicodipendente che vive in una sgangherata roulotte con la sua ragazza, anche lei tossica.
Loris aveva perso la stima del padre, così come l’affetto dei fratelli. Per loro Loris è un estraneo e, quando il tossico s’insedia nella loro casa dopo la morte del padre, anche un peso da sopportare.

 

Unico vero legame tra i due fratelli, Giulia e Loris, sembra essere quello creato dall’amore per i motori e l’alta velocità.
Ma anche in questo i due sono molto differenti fra loro: Loris, pazzo e scellerato, è un amante del rischio, del pericolo. Così è accaduto che il suo temperamento si è riversato in entrambe le sue vite, quella sui suoi piedi e quella sui circuiti. Schiacciato dalla sua stessa sfrenatezza Loris ha perso tutto, dalla macchina con cui gareggiava alla salute, sempre più compromessa dall’abuso di crack. Capelli incolti e unti, denti consumati, unghie sporche, occhi iniettati di sangue, abbigliamento trasandato e brutte ciabatte da anziano strascicate a fatica, chiamate ad accompagnarlo in quella sua andatura emaciata, flemmatica e accartocciata. Insomma, Loris è un disperato vero e proprio e come tale si presenta.
All’estremo opposto c’è sua sorella Giulia, una ragazzina troppo matura per la sua età, troppo posata. Una dura, una tosta, che della vita ha già visto il peggio. Giulia cerca costantemente di mantenere il controllo, alla guida e nella vita, perché se anche lei sbandasse che ne sarebbe di Nico?
La velocità è per Giulia l’unica vera valvola di sfogo. Attraverso il casco le vediamo gli occhi, quei grandi occhi trapelanti terrore e ardore e contornati da sudore. La passione quindi c’è, sepolta nella vita di tutti i giorni ma capace di esplodere in quei pochi minuti dove lei è finalmente sola con l’altra metà di se stessa, la sua macchina da corsa, la sua bella Porsche.

 

Veloce come il vento (2)

Stefano Accorsi con Matilda de Angelis in una scena del film

 

 

C’è però un grande problema. Il padre di Giulia, Nico e Loris era sommerso di debiti. Debiti che aveva promesso di saldare cedendo la casa a un inquietante individuo. L’unica chance per i fratelli De Martino di tenersi la casa è vincere il campionato. Solo Giulia può gareggiare, solo Giulia può vincere.
Ed è allora che la giovane si rende conto della reale utilità del fratello: Loris, quando gareggiava, quando era il Ballerino, era molto bravo. Giulia decide perciò di farsi allenare dal fratello, il quale accetta l’incarico sia per soldi, sia per l’intrigante tentazione sussurrata dal motore accesso e brontolante.
I due, per assurdo, formano un team brillante. Loris si prende una pausa dalla sua disgraziata nullafacenza da emarginato sociale e comincia a potenziare tanto il fisico quanto la mente della ragazza. Le basi ci sono, ma la giovane va plasmata, assistita; ma soprattutto, deve prendersi dei rischi e smettere di fare “le curve tonde”. Chi non risica non rosica. Loris questo lo sa bene, lui che ha rischiato tutto e ha perso tutto. Ma non si può vincere il campionato se non si corrono dei rischi. Rischi veri. Ed è così che Loris inizia la sua folle e stravagante terapia del rischio, costringendo la povera Giulia a delle situazioni pericolose e inevitabili.
Ma il folle piano del Ballerino sembra funzionare: Giulia migliora a ogni gara, si posiziona sempre meglio, guadagna punti.

 

Manca una sola gara. Vincere o perdere (la casa). E’ tutto nelle mani di Giulia.
Ma l’irresponsabilità di Loris è sempre in agguato, dietro l’angolo, ad attendere che l’idillio instaurato – precariamente – finalmente vacilli e che il castello di sabbia crolli miseramente su se stesso. Chi troppo vuole nulla stringe. E a rimetterci non sempre è chi lo merita.
Laggiù, al confine con l’orizzonte, resta una sola, letale e marcia possibilità per la redenzione di Loris: l’Italian Race, corsa illegale dispensatrice di morte, fatta apposta per i disperati veri, quelli come Loris il Ballerino il quale, per l’ennesima volta nella vita, corre il rischio e si gioca tutto.

 

Meravigliosi personaggi fuoriescono dall’immaginario del regista Matteo Rovere. Personaggi costruiti immaginando e guardando personalità reali: mentre Loris guarda all’orgoglioso ex pilota di rally Carlo Capone, Giulia si fa a immagine e somiglianza della pilota Michela Cerruti (la quale si è prestata volentieri a una sorta di identikit professionale).
Ad ispirare l’intreccio di Veloce come il vento, seppur con molte note tratte dalla fantasia, è infatti una serie di fatti realmente accaduti, raccontati al regista da Antonio Dentini, detto Tonino (a cui da vita nel film il grande Paolo Graziosi), ex appartenente al mondo dei circuiti.

 

Motori, umori e amori s’intrecciano splendidamente in questa frizzante pellicola che sprizza genuinità e strizza l’occhio a un mondo che il cinema italiano non ama molto, un mondo di serie B, quello dei motori.
La morale non manca, ma non è autoreferenziale, né fa troppo rumore. Anzi, è silenziosa e discreta nella sua evidenza.
Veloce come il vento bilancia sapientemente azione e dramma (merito probabilmente di una solida sceneggiatura – scritta a sei mani –, ma ancor di più dell’esperienza di Accorsi, da sempre artista posato, anche in un ruolo eccessivo come lo è quello di Loris).
Così come s’intrecciano anche i personaggi che abitano questo film: Giulia e Loris si fondono per poi separarsi, avendo donato la vita ad un Loris un po’ meno scellerato e ad una Giulia che sta imparando a divertirsi. Giulia ha imparato a non stare perennemente in apnea; Loris ha capito che forse gli è stata data una seconda occasione.

 

Ma è Giulia ad aver appreso la lezione più importante:
Se non hai mai perso il controllo, significa che non stai andando abbastanza forte
(Colin McRae)