God only knows what I'd be without you.

Il 23 Dicembre 1964 i Beach Boys erano in volo da Los Angeles verso Houston, dove avrebbero dovuto suonare in serata alla Music Hall. Era stato un anno particolarmente stressante: avevano registrato quattro album e nel frattempo avevano girato l’America (e non solo) per 169 concerti. Brian Wilson era fisicamente e psicologicamente a pezzi, da tre anni ormai non smetteva di lavorare: studio e palco, palco e studio. Fino a quella vigilia di Natale, quando su quell’aereo il suo equilibrio interno alzò bandiera bianca. Un isterico attacco di panico: la sua faccia divenne prima rosso fuoco, poi sbiancò di colpo. Brian iniziò ad urlare “sto morendo!”, prima di scoppiare a piangere e singhiozzare. Si rese conto di non poter continuare il tour e tornò subito nella città degli angeli per riprendersi. 

 

Scrive Nick Kent nel suo The Dark Stuff – Scritti sul rock: “Era il principino dello stato dorato, il giovane dagli occhi celesti e dal cuore fragile che era riuscito in qualche modo ad accordare il suo unico orecchio buono con la musica delle sfere finché l’incredibile intensità del loro suono non l’aveva condotto alla follia”. Il maggiore dei fratelli Wilson aveva solo 23 anni.

Sembrava la fine di un’epoca. Del surf, della vita da spiaggia, delle bionde in bikini ed in generale della California per quella che era diventata nell’immaginario collettivo anche grazie agli acquerelli dei Beach Boys. Sembrava, appunto, ed in un certo senso lo fu. Ma lo sappiamo: chiusa una porta, si apre un portone, soprattutto se sei un genio come Brian Wilson. Perchè non si fa peccato a dire che quell’attacco di panico ha significato per la musica pop quello che l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo è stato per la storia contemporanea.

 

 

Qualche giorno dopo Brian radunò i colleghi, li informò del fatto che non era in grado di continuare il tour ma li rassicurò: ne sarebbe valsa la pena perchè nel frattempo avrebbe scritto “qualche buona canzone” (disse così, letteralmente). Fece molto di più, realizzò il suo sogno di bambino: scrivere musica che facesse sentire la gente amata. Praticamente come “one man band”, realizzò Pet Sounds, che si rivelò essere non solo il suo, di sogno, ma anche quello di tanti. Un disco sulla fine dell’estate, intesa come gioventù al canto del cigno. Un disco che c’entrava poco con quello che erano stati i Beach Boys fino a quel momento. Osteggiato dalla Capitol Record che non riusciva a pensare oltre il potenziale commerciale, incompreso dal resto della band di ritorno da un tour in Giappone nel Gennaio 1966 (“This isn’t our kind of shit!” fu la reazione dei fratellicome riporta Peter Ames Carlin nel suo Catch a Wave), addirittura dileggiato dal cugino bullo e invidioso Mike Love (“Who is gonna hear this shit? The ears of a dog?”… insulto che poi ispirò a Wilson il titolo dell’album)parodiato per la sua maniacalità, Pet Sounds è il disco che ha elevato ad arte la canzone pop da radio.

 

 

Arriviamo ai giorni nostri. Il 21 Gennaio è stata annunciata la lineup del Primavera Sound, che nel corso degli anni si è guadagnato l’etichetta di festival europeo di riferimento. Nella trepidazione con la quale tutti gli appassionati hanno cercato di fotografare nel più breve tempo possibile il cartellone con i nomi, uno è subito saltato all’occhio, nonostante ce ne fossero altri scritti più in alto e con caratteri più grandi: Brian Wilson performing Pet Sounds. In occasione dei 50 anni dall’uscita, il prossimo 4 Giugno il genio di Brian suonerà il suo capolavoro per intero al Parc del Fòrum di Barcellona, colorando un festival di altissimo livello, dai nomi altisonanti e assolutamente affascinanti, ma con alcuni headliner che rischiavano di rendere il tutto un po’ soporifero (vedi Radiohead e Sigur Ros). Per adesso si tratta dell’unica data europea al di fuori del Regno Unito di un tour già annunciato lo scorso anno, quando Wilson dovette rimandare alcuni concerti britannici per la promozione del biopic Love & mercy (incredibilmente non ancora distribuito in Italia), diretto da Bill Pohlad, con protagonisti Paul Dano e John Cusack che interpretano rispettivamente Brian da giovane e da adulto. Sarà l’occasione per celebrare un compleanno speciale, le nozze d’oro che legano ogni fan a questo gioiello che invecchia solo anagraficamente, ma non musicalmente ed emotivamente. E sarà anche l’ultimo tour europeo di Brian Wilson, come da lui stesso dichiarato.

 

© www.youngmusicwriters.it

Paul Dano in “Love & Mercy” © www.youngmusicwriters.it

 

Lunedì 25 Gennaio, ecco l’annuncio ufficiale del tour dei 50 anni: si parte a Marzo con una serie di concerti in Australia e Nuova Zelanda, poi si vola in Giappone e a Maggio, finalmente, oltremanica, tutto ciò aspettando l’appuntamento clou del 4 Giugno in Catalogna. Brian sarà accompagnato sul palco da Al Jardine, membro fondatore dei Beach Boys, e da Blondie Chaplin, cantante e chitarrista sudafricano che fece parte del gruppo del 1972 al 1974 in contumacia Wilson, che in quel periodo soffrì particolarmente di paranoia e depressione e faceva largo uso di droghe. Gli amici buoni, oltre che grandi musicisti.

Al di là di torte e candeline, si tratta di un’ultima volta da donare all’immortalità. Un collante per generazioni diverse, ognuna delle quali, però, si è trovata sicuramente a pensare una cosa: “God only knows what I’d be without you”.

di Alessio Provinzano