Esce Under the Sun, l'ultima espressione di un artista completo.

Mark Pritchard è uno di quegli artisti così imponenti e completi che risulta difficile inquadrarlo con poche parole. I suoi molteplici progetti solisti e collaborativi (Africa HiTech, Global Communication, Harmonic313, Link, etc.) sono la prova concreta della sua capacità di esplorazione  che mantiene vivida la sua musica nel tempo.  La Warp Records, pochi giorni fa, ha pubblicato il nuovo album a suo nome intitolato Under The Sun. Il musicista britannico ha realizzato sedici tracce dotate di notevole intensità che accarezzano vari stili e sfumature, coniugando bene il suono anche nelle tracce con ospiti vocali di un certo tenore come Thom Yorke e Bibio.

La componente ambient è quella che viene fuori immediatamente e che nelle sue varie rielaborazioni mette in mostra il ricamo di Pritchard: l’apertura con “?” mette in risalto tutta la sua abilità con la trama minimale, quattro minuti di essenziali vibrazioni (che ritroviamo nel malinconico racconto di “Sad Alron” e nella spettrale “Khufu”); “Falling” alza il tono ma con un controllo notevole e una graduale dissolvenza. L’etereo e il cosmico, con la loro discontinuità e ‘assenza’ di ritmo, si rivelano in una delle tracce più intense dell’album ovvero “Where Do They Go, The Butterflies”.

 

 
I loop magnetici di “Cycles of 9” e della conclusiva title-track mettono in risalto anche l’aspetto cinematografico della sua musica e la meticolosa costruzione fatta su crescite impercettibili, sovrapposizioni indefinite ed efficaci. Le pulsioni e i i ritmi vengono fuori in buona parte nella spinta dosata di “Rebel Angels” e in quella ‘soffocata’  e cupa di “Infrared” e “Hi Red”. C’è anche una parte psichedelica che emerge e l’elettronica graffiata e solenne di “Ems” è la prova più concreta, così come il ‘trip’ di “Dawn of the North”.

Un discorso a parte meritano le collaborazioni vocali che si integrano perfettamente nel contesto narrativo. Il contributo vocale di Beans in “The Blinds Cage” porta la parte più astratta della musica di Pritchard, uscendo da un certo modo di comporre ma rimanendo coerente con i toni e gli umori. Bibio con “Give It Your Choir”, al contrario, ha l’influenza opposta permettendo all’artista di realizzare il brano più melodico dell’album. I contributi di Thom Yorke (“Beautiful People”) e Linda Perhacs (“You Wash My Soul”) sembrano attingere dalla stessa fonte ma con risultati diversi, essendoci retaggi folk nelle composizioni: mentre la voce di Yorke si sottrae al protagonismo diventando strumento aggiunto dell’egregia coreografia strumentale di Pritchard, la Perhacs incide notevolmente sull’intimità della composizione con una grazia ben rappresentata dalla delicatezza e la fragilità del pezzo.

Mark Pritchard, senza girarci intorno, ha realizzato uno degli album più significativi di quest’anno. La capacità di spogliare l’elettronica e rivestirla in differenti stili dimostra tutto il suo valore nell’edificare composizioni che demoliscono la struttura ‘classica’ dei generi, pur essendo frutto di una ricerca scrupolosa e di un’intelaiatura perfetta.