A metà strada tra Garage e Acid Rock, A Web Of Sound dei The Seeds è l’album che mezzo secolo fa ha spianato la strada ai Doors.

Il 1966 fu un anno cruciale in America.

 

La Beat Generation prende campo, le rivolte studentesche si strutturano, il rifiuto per la guerra in Vietnam è sempre più forte, l’affermazione delle droghe e del femminismo creano le condizioni giuste per un nuovo fermento musicale, una scena underground clandestina e rumorosa che si svilupperà in vari sottogeneri, uno dei quali è il Garage Rock.

Testi aggressivi, vocalismi urlati e trascinati, l’utilizzo ossessivo delle solite tre corde e chitarre portate all’estremo, spesso distorte da un fuzzbox.

 

Queste band cresciute negli scantinati a “Birra e Beatles” della periferia americana, erano notevolmente influenzate da gruppi inglesi della cosidetta British Invasion, come: Kinks, Rolling Stones ed ovviamente da John Lennon & Co.

Centinaia di Band fiorirono in America cavalcando l’onda del Garage Rock, ma solo poche di loro ottennero qualche hit che ebbe risonanza nazionale: The Seeds, The Sonic, The Shadows of Knight, The Count Five, The Standells.

Da notare come molte delle scene locali finiranno per dare il nome ad uno stile ben preciso: la California e il Texas saranno più psichedeliche, Boston più morbida e raffinata, Seattle più aggressiva e sporca, Detroit poi farà genere a sé grazie a The Stooges e Motor City 5, precursori del punk rock ed Heavy Metal.

 

I The Seeds si formano a Los Angeles nel 1965, in questa cornice californiana di fermento culturale, dall’incontro di Sky Saxon (vero nome: Richard Marsh) con il chitarrista Jan Savage, ai quali si aggiungono poi Rick Andridge al piano elettrico e Darryl Hooper alla batteria.

La Band dopo una serie di concerti regolari al famoso Bido Lito’s Club di Los Angeles, guadagna un buon seguito locale per le loro esibizioni energiche e assolutamente rumorose. Nel 1965 il loro primo singolo “Can’t Seem to Make You Mine” diventa un successo locale nel sud della California e viene passato da molte radio rock locali.

 

 

Ma è il 1966 il loro anno fortunato.

 

Nel luglio 1966, esce infatti il loro primo album “The Seeds”, firmato interamente da Sky Saxon, che qui suona anche il basso. L’album ha una formula vincente e provocatoria: pochi accordi, molto distorsore e un elemento che diventerà il loro marchio inconfondibile e che da lì a pochi anni sarebbe stato determinante anche per i Doors, l’immancabile organo.

Le pochissime variazioni di suono lo rendono un lavoro acerbo, dal quale però emerge una grande personalità grazie al cantato aggressivo di Sky Saxon.  

Pushin’ Too Hard, verrà trasmessa per tutta l’estate dai disc jokey radiofonici, in particolare nella trasmissione del dj Huggy Boy, e alla fine dell’anno riesce a collocarsi al 36° posto della classifica statunitense. Ha tutte le caratteristiche per essere una hit a tutti gli effetti: due minuti e trentasei secondi di rabbia repressa, due accordi, ritmica ossessiva, poche righe di testo e il gioco è fatto.

 

Cavalcando questa onda anomala, la band fa una scelta vincente, facendo uscire il secondo album appena sei mesi dopo il primo.

A Web of Sound fu pubblicato infatti dalla GNP Crescendo Records nell’ottobre del 1966. Il disco fu registrato il luglio precedente tra l’RCA Victor Studios e il Columbia Studios di Hollywood in California.

Il titolo parla chiaro, grazie all’onnipresente organetto e alle atmosfere oniriche, sembra che i suoni siano intrappolati nella sua densa rete sonora.  E’ un disco meno acerbo, più strutturato ma sempre sporco e compatto, con qualche apertura ad atmosfere psichedeliche e non è certo un caso. Nell’ottobre del 1966 negli Stati Uniti si registra un fatto di cronaca drammatico per le miriadi di garage bands: la messa al bando dell’LSD. Il nuovo provvedimento non ebbe ovviamente l’effetto desiderato, anzi, non fece altro che rendere ancora più presente, in modo capillare quanto clandestino, questa nuova onda musicale.

 

L’ammirazione fanatica di Sky Saxon per Mick Jagger e gli Stones si sente forte e chiara nel tessuto sonoro del disco, ma non è certo totalizzante. A Web of sound è un album che anticipa le soluzioni acide doorsiane che domineranno il panorama del rock californiano da lì a poco.

Lo dimostra immediatamente il primo pezzo Mr. Farmer, una filastrocca scandita da una spensierata presenza dell’organetto, ricamata da una tastiera ridondante e barocca. Sarà inserita nella colonna sonora di “Quasi famosi”, il film di Cameron Crowe del 2000.

Nel ritornello di Pictures and Designs, l’organo si intreccia al suono scivoloso della chitarra, suonata rigorosamente con lo slide. Per il resto è solo la voce del cantante a far da padrona, violenta e rabbiosa, mantiene stretto il raccordo col garage rock.

Tripmaker, si presenta invece una incalzante cavalcata ribelle fatta di chitarre elettriche frenetiche, ritmi tirati e coloratissimi fraseggi d’organetto, e in Tell Myself, più pacata, dominata da una splendida chitarra molleggiata e plastica.

Anche Faded Picture unica perla rara che ha le sembianze di una ballata di cinque minuti, trasuda acidità ad ogni strofa.

Infine con l’ultima incredibile Up In Her Room, con una durata complessiva di quasi quindici minuti siamo davvero in piena psichedelia, trascinati da organetto, basso, batteria e chitarra in nebbiose ed instabili atmosfere trasognanti ed ipnotiche. In questo pezzo i The Seeds si sganciano dalle loro modalità schematiche, brevi e rabbiose, per lasciare spazio a tutt’altro. Il modello sono ancora una volta i Rolling Stones che avevano appena sigillato il loro album Aftermath con un pezzo di oltre 11 minuti.

 

A Web of Sound è stato un album determinante, che in sordina ha preparato il terreno a quello che di lì a poco sarebbe stato il fenomeno Doors, che avrebbe spalancato definitivamente le porte della percezione, annebbiando tutto ciò che li aveva, anche se per poco, preceduti.