Una nuova tappa di trasformazione dell’horror da sotto-genere a prodotto con piena dignità autoriale.

Prosegue la crescita di un genere cinematografico, l’horror, fino a pochi anni fa considerato di seconda categoria – di serie B si diceva una volta –  e ora considerato abito sempre più adatto a prodotti che si fanno veicolo per messaggi più complessi, che vanno a lambire questioni morali o esistenziali prima appannaggio esclusivo del drama.

 

Certo non mancavano eccezioni alla regola – film come Shining, per dirne uno, o Il corridoio della paura, Rosemary’s Baby – ma è solo negli ultimi anni che il genere horror ha conosciuto un importante sviluppo non tanto quantitativo quanto piuttosto qualitativo.

 

Ecco quindi che gli stilemi classici di un genere tra i più riconoscibili e codificati sono di volta in volta presi a pretesto per parlare della diversità (The Others), dell’universo preadolescenziale e del bullismo (Lasciami entrare), della follia e dei suoi confini (Oculus). È soprattutto grazie a film come quello di Tomas Alfredson, Lasciami entrare appunto, che il genere in questione ha potuto acquisire piena valenza autoriale.

L’opera seconda di David Robert Mitchell, It Follows – presentata a Toronto due anni fa – si affida al genere horror per compiere un’interessante riflessione sulle problematiche di un’età – quella del passaggio dalla prima adolescenza alla giovinezza – complessa e per certi versi misteriosa.

 

Non fraintendiamoci, It Follows è anche – e soprattutto – un ottimo horror, che pesca a piene mani dal repertorio del genere, si affida a una saggia alternanza di campi lunghi e primi piani, affidando a questi ultimi – isolando un volto, un corpo, un particolare, e lasciando l’insidia fuori inquadratura e quindi solamente sentita, percepita – il ruolo di generare tensione e spavento. Sfrutta a dovere la colonna sonora per sottolineare, ed enfatizzare, le scene di maggiore pathos, così come faceva un maestro dell’horror come Dario Argento.

 

Buona parte della critica, italiana e internazionale, ha salutato It Follows come il miglior film horror degli ultimi anni; difficile dirlo (personalmente, attribuisco tale titolo a Lasciami entrare), ciò che può dirsi è come il film di Mitchell porti  effettivamente avanti un percorso di crescita – e maturazione – definitiva per un genere che negli ultimi anni ha riscoperto potenzialità inespresse.

 

Miglior film horror(2)

 

Jay (Maika Monroe), diciannovenne protagonista, ha un’esistenza invidiabile; è giovane, avvenente, vive in una villetta residenziale – con sorella e mamma (nominata, ma mai inquadrata; e l’assenza dell’universo adulto è un altro tema interessante del film di Mitchell, sempre sullo sfondo, assente, inutile, insignificante) –, esce con un ragazzo, è spiata dai ragazzini della zona, tanto in piscina quanto nella sua cameretta.

Ma questa normalità viene spazzata via la notte in cui si concederà sessualmente al suo ragazzo. Attraverso il coito, le verrà trasmessa una sorta di maledizione, e sarà resa oggetto di una “cosa” che assumendo sembianze diverse (anche familiari) si metterà al suo “lento” ma inesorabile inseguimento. L’unica possibilità di salvezza è passare la maledizione a qualcun altro, ovviamente attraverso un rapporto sessuale. Ma attenzione, anche in questo caso non si può stare del tutto tranquilli…

 

It Follows, mette in scena le idiosincrasie – e le manie di persecuzione – di un’età in cui il confronto/raffronto con i propri coetanei genera turbamenti e malesseri; la travagliata ricerca di un posto nel mondo si scontra con l’inospitalità del mondo stesso, con l’incomunicabilità con l’universo adulto e genitoriale; ragazzi e adulti come due binari che scorrono in parallelo senza possibilità di incontro.

 

Nell’ottica messa a fuoco da Mitchell, il nemico è un’ossessione che ti perseguita senza soluzione di continuità, che scava un solco profondo nelle difese già fragili, e non importa quanto lontano puoi scappare, perché prima o poi ti raggiungerà, perché in fondo quel nemico, quelle paure sono intorno e dentro di te.

 

Se non si può scappare, l’unica possibilità è allora affrontarle, con consapevolezza. Magari condividendole con qualcuno.