Il proibizionismo è una politica fallimentare e incapace di produrre risultati utili. Ecco alcuni motivi per cui vorremmo una cannabis legale.

Venerdì 2 settembre, nel celebre e folcloristico quartiere semi-autonomo di Christiania a Copenaghen, nato negli anni ’70 in qualità di città autogestita basata su ideali hippie per poi trasformarsi tristemente negli anni a venire come crocevia dello spaccio in mano a grandi organizzazioni criminali (mantenendo comunque il suo fascino a tal punto da rimanere la quarta attrazione più visitata della Danimarca), gli abitanti in rivolta hanno deciso di smantellare il mercato all’aperto destinato alla vendita della droga, le cosiddette ‘bancarelle dell’hashish’. L’iniziativa ha avuto origine su base spontanea, senza l’intervento delle forze dell’ordine, come reazione al susseguirsi di episodi di violenza dettati dalle infiltrazioni di grossi trafficanti all’interno dell’economia del quartiere. L’ultimo infelice episodio è avvenuto mercoledì 31 agosto, quando uno spacciatore in fuga dalla polizia ha aperto il fuoco ferendo due poliziotti e un passante per poi trovare in seguito a sua volta la morte.

 

Cannabis legale 1

Lo smantellamento delle bancarelle dell’hashish a Christiania

 

Questo evento ha ridestato in me un forte interesse per un dibattito mai interrotto (almeno in Italia) riguardo la legalizzazione delle sostanze stupefacenti, cannabis in primis.
Ultimamente ha preso sempre più voce in capitolo un punto di vista che non tenga esclusivamente in considerazione l’ottica della salute, cercando di comprendere quali siano i danni dettati dall’utilizzo di tali sostanze, quali i rischi dovuti alle ‘sostanze di taglio’ utilizzate per rendere il mercato della droga più redditizio e la conseguente possibilità di ridurre il numero di overdose attraverso l’accesso a sostanze qualitativamente migliori, quali i potenziali benefici ottenibili tramite i principi attivi contenuti negli stupefacenti in presenza di alcune patologie particolarmente invalidanti.
Il dibattito si è esteso ad un tentativo di comprendere gli eventuali vantaggi di natura economica ottenibili attraverso la statalizzazione del mercato delle cosiddette ‘droghe leggere’. Attraverso una simile politica deriverebbe, oltre ad un maggior controllo riguardo la qualità della sostanza messa in commercio, anche un arricchimento delle casse dello Stato attraverso la tassazione di prodotti altrimenti venduti esclusivamente in maniera illecita. Ne conseguirebbe così al contempo sia una lotta alla criminalità organizzata, che continua ad arricchirsi e ottenere fondi per le proprie operazioni grazie al mercato della droga, sia la possibilità di poter utilizzare parte dei proventi per portare avanti campagne di prevenzione e promozione della salute o intervenendo in situazioni in cui si rendono necessarie cure e percorsi riabilitativi.
Si possono prendere come esempi di politiche che portano avanti questa nuova visione delle sostanze stupefacenti la decriminalizzazione di ogni tipo di droga in Portogallo, la legalizzazione della cannabis in Paesi come la Spagna, i Paesi Bassi, alcuni degli Stati appartenenti agli USA (Colorado, Washington, Alaska, Oregon e Washington D.C.), Repubblica Ceca e Argentina ed i numerosi passi in avanti eseguiti da molti Paesi al fine di rendere legale l’utilizzo di prodotti contenenti cannabinoidi a fine terapeutico.

 

Cannabis legale 2

Una mappa che mostra lo stato legale della cannabis nel mondo

 

Ho così colto la palla al balzo e deciso di prendere parte a un dibattito organizzato dalla Consulta Giovanile della mia città, una piccola realtà provinciale piemontese, che avrebbe trattato il tema della canapa e i suoi diversi possibili utilizzi, con l’intento di far conoscere meglio al grande pubblico un prodotto dalle molteplici proprietà ma spesso considerato tabù dato il forte legame con il mondo delle droghe nell’immaginario collettivo.
Durante il confronto avrebbero esposto le proprie esperienze a diretto contatto con la suddetta pianta Giovanni Foresti,  responsabile del Coordinamento Piemontese per la legalizzazione della canapa e Cesare Quaglia, agricoltore di mestiere e produttore diretto di canapa.
Quaglia introduce il dibattito partendo subito a gamba tesa, cercando di illustrare agli uditori l’insensatezza della campagna repressiva e proibizionista portata avanti dallo Stato nei confronti di una sostanza conosciuta da sempre nella storia dell’umanità e dalle innumerevoli proprietà (pensate che c’è chi ha chiamato il THC una nuova droga diecimila volte più potente della cannabis). La canapa è infatti diventata tabù a partire dal 1937 negli Stati Uniti d’America ed in seguito in tutto il resto del mondo per via di uno dei numerosissimi cannabinoidi contenuti al suo interno, il delta-9-tetraidrocannabinolo, meglio noto come THC, dalle proprietà psicotrope.
Per dimostrare lo storico utilizzo di questa pianta nella penisola italiana Quaglia descrive un affresco osservabile sulla volta all’incrocio tra via Indipendenza e via Rizzoli a Bologna recitante (il pane è vita, il vino è allegria, la canapa è protezione) in commemorazione della ricchezza e dello sviluppo della città grazie alla coltivazione della canapa.

 

Cannabis legale 3

Panis vita, vinum laetitia, canabis protectio

 

Il tessuto prodotto dalla canapa è stato inoltre a lungo utilizzato in passato come la principale risorsa per produrre vestiti e lenzuola finché non è stato soppiantato dal cotone, grazie anche ai costi di produzione pressoché inesistenti dettati dallo sfruttamento di lavoratori, spesso bambini, all’interno dei campi.
Le ragioni per cui secondo Quaglia un ritorno massiccio all’utilizzo della canapa sarebbe auspicabile sono numerose. Anzitutto si tratterebbe di una coltivazione ecologica e particolarmente salutare.
Questa pianta è adatta ad un tipo di coltivazione biologica, non necessitando di trattamenti chimici e si può utilizzare con ottimi risultati come coltura ‘da rotazione’, rigenerando il terreno e rendendolo più fertile. Questa coltura possiede la proprietà di sequestrare CO2 dal suolo contribuendo a mitigare i cambiamenti climatici ed è particolarmente apprezzata dalle api.
Inoltre la canapa si adatta ad ogni tipo di clima ed è possibile coltivarla anche ad altitudini considerevoli.
Un altro aspetto di pregio di questa coltivazione è dettato dalla possibilità di utilizzarne ogni componente in settori impiegatizi differenti, non comportando alcuno spreco o materiale di scarto.
Il seme della canapa ottiene il suo principale utilizzo all’interno dell’industria alimentare, producendo olio e farine attraverso un processo di decorticazione. Nell’industria agroalimentare questi prodotti sarebbero particolarmente apprezzati per le notevoli proprietà di protezione endogena ed esogena del metabolismo umano e le ragguardevoli proprietà nutritive che li renderebbero particolarmente indicati all’interno di diete vegetariane e vegane.
La parte residua, le cosiddette ‘paglie’, sono invece utilizzate all’interno dell’industria edilizia con il fine di creare pannelli isolanti e contribuire in questo modo al risparmio energetico. In alternativa da queste sostanze ‘di scarto’ è possibile creare cellulosa e dunque carta.

 

Le ragioni per cui una coltivazione dotata di un così gran numero di proprietà di pregio sia così scarsamente diffusa sono da individuare nel proibizionismo dilagante che rende particolarmente gravosa e stringente la regolamentazione per la coltura di questa pianta.
Anzitutto l’agricoltore che desidera coltivare canapa deve esclusivamente utilizzare sementi di varietà industriale, il cui contenuto di THC è inferiore allo 0,2%. Il seme deve inoltre essere certificato attraverso una normativa agricola. L’agricoltore non sarebbe poi autorizzato a  seminare una semente ottenuta dal precedente raccolto, ma ogni anno sarebbe costretto a rifornirsi di una semente certificata per evitare sanzioni.
Dopo la semina il coltivatore è infine tenuto a notificare alle forze dell’ordine la propria attività entro 30 giorni, permettendo eventuali controlli sulla qualità del prodotto piantato ed evitando possibili malintesi.
Una domanda sorge spontanea da parte dell’uditorio riguardo le eventuali conseguenze che deriverebbero dalla legalizzazione della cannabis. Ci si chiede infatti se la legalizzazione implicherebbe un utilizzo di canapa dagli effetti psicotropi in ogni ambito precedentemente analizzato.
Quaglia ritiene di conseguenza particolarmente opportuno sottolineare che esistano differenti varietà di canapa dalle proprietà estremamente diverse tra loro. Egli riporta a tal proposito la propria esperienza diretta all’interno del Coordinamento Nazionale per la Canapicoltura AssoCanapa, all’interno del quale si impegna per il mantenimento di una tipologia di semente molto pregiata, la qualità piemontese Carmagnola.
La canapa possiede infatti a livello chimico un fitocomplesso comprensivo di oltre cento cannabinoidi con differenti proprietà. Eppure quest’immensa varietà non è conosciuta dal grande pubblico che tende ad associare la canapa ad uno soltanto dei suoi fitocomplessi, quello più noto a tutti come THC, famoso per gli effetti psicotropi dettati dall’assunzione.
Il THC in varietà della pianta utilizzate come sostanza stupefacente avrebbe subito una serie di processi dettati dall’intervento umano, che tramite una serie di innesti avrebbe potenziato questo specifico fitocomplesso.
Di conseguenza, nell’eventualità in cui la produzione di cannabis utilizzata a fine ricreativo dovesse diventare legale, sul mercato si avrebbe la possibilità di acquistare differenti tipologie di canapa a seconda dell’utilizzo che si desidera ottenere (noi ci siamo fatti un giro anche a Barcellona per sapere come se la passano la).

 

 

Cannabis legale 4

 

 

Smascherato definitivamente il legame tabù tra la canapa e l’utilizzo ricreativo di questa sostanza come stupefacente appare inevitabile che il dibattito assuma una nuova piega, interrogandosi sugli effetti prodotti da questa pianta sulla psiche e il corpo degli utilizzatori.
Anzitutto Quaglia e Foresti concordano sulla necessità di trovare una definizione comune di droga.
Quaglia sostiene che gli endocannabinoidi siano naturalmente presenti all’interno del cervello umano e svolgano la funzione di legame neuronale tra cellule. Di conseguenza, essendo la cannabis responsabile di un’alterazione dell’attività di questi endocannabinoidi senza però produrre una dipendenza fisica, egli arriva a sostenere che l’appellativo di droga risulti eccessivamente stigmatizzante.
Foresti sostiene invece che la cannabis produca un’alterazione del sistema psicofisico, per cui a livello teorico questa sostanza deve essere categorizzata come droga. Anch’egli ritiene però opportuna una distinzione tra questa sostanza e altri tipi di droghe responsabili di un meccanismo di sballo unita a una sensazione di piacere che può portare a una dipendenza fisica e psichica, riscontrabile ad esempio negli oppiacei.
Foresti, con le sue abili doti da oratore, complici gli anni passati in teatro presentando spettacoli sulla canapa, desidera proseguire il suo intervento provocando gli ascoltatori e portandoli ad affrontare il dibattito con maggior spirito critico. Per riuscire nella sua impresa decide di rivelare alcuni paradossi riguardanti la percezione della droga all’interno della società attraverso i corsi e ricorsi storici.
Egli anzitutto sottolinea come l’umanità sia responsabile dell’utilizzo della droga sin dall’antichità. In origine le sostanze stupefacenti erano considerate un tramite per avvicinarsi al divino ed erano utilizzate nel corso delle cerimonie religiose.
Inoltre la definizione di cosa sia considerabile droga ha subito notevoli cambiamenti nel corso dei secoli, con una successione di epoche storiche maggiormente liberali ed epoche maggiormente proibizioniste.
Basta considerare che in passato sostanze quali il cioccolato o il caffè sono state considerate illegali.
Un ulteriore paradosso analizzato è la distinzione tra droghe legali e droghe illegali, riscontrabile nella distinzione tra la legalità di sostanze come alcol e tabacco e l’illegalità di altri tipi di sostanze.
Foresti ritiene assurdo che l’argomento droga sia considerato tabù quando al contempo ogni giorno si è a contatto con una droga come l’alcol, sempre presente sulle nostre tavole sin dall’infanzia e utilizzato nella tradizione popolare come strumento di cura di numerosi mali infantili (si pensi all’utilizzo della grappa per far passare il mal di gola).

 

Cannabis legale 5

E’ veramente giusta la nostra distinzione tra legale ed illegale?

 

Secondo il relatore i costi a livello sanitario per rimediare ai danni provocati dall’alcol e dal tabacco supererebbero addirittura gli incassi ottenuti attraverso i monopoli statali, ma permetterebbero di mantenere florido il mercato della cura legato alle case farmaceutiche, invalidando così ogni tentativo di far fronte a una simile problematica.
Foresti desidera infine dimostrare con alcuni esempi pratici il perché, a suo avviso, il proibizionismo sia una politica fallimentare e incapace di produrre risultati utili.
Anzitutto egli riporta come in Italia all’incirca il 26% della popolazione faccia utilizzo di cannabis. Un dato decisamente troppo elevato per poter sostenere che il proibizionismo funzioni. Anche la Direzione Nazionale Antimafia avrebbe rivelato come il proibizionismo risulti efficace nel colpire i grandi trafficanti.
Secondo Foresti il proibizionismo si limita a “fottere i poveri cristi e mai chi può permettersi gli avvocati”.
A suo avviso anche l’utilizzo dei cani antidroga nelle scuole risulterebbe improduttivo, poiché si limiterebbe a stigmatizzare e punire coloro che malauguratamente si ritrovano in possesso di quantitativi minimi di sostanza ma non andrebbe mai a colpire i principali rivenditori che, grazie a un sistema di passaparola e di vicinanza con personalità dedite allo spaccio in contesti più ampi riuscirebbero a evitare questi controlli.
Una buona alternativa agli strumenti repressivi potrebbe derivare da un sistema educativo efficace, capace di prevenire le problematiche legate al consumo e incentivare ad un utilizzo “adeguato” della sostanza, teso ad evitare azioni sconsiderate dettate dall’ignoranza dei più giovani.
Foresti non vuole definire la propria visione politica attinente al mondo della droga come antiproibizionista, in quanto nella sua mente tale parola rievocherebbe una mentalità che favorisce lo sballo e lo promuove come uno stile di vita adeguato. Egli sostiene al contrario che la propria visione consista in un tentativo di mettere in atto campagne indirizzate ad evitare il disastro sociale.
L’attuazione di questa modalità di intervento implicherebbe un monopolio statale sulla cannabis e la possibilità di coltivare per uso personale. Sarebbe però vietata ogni forma di pubblicità, estendendo questo divieto anche a sostanze attualmente pubblicizzate come gli alcolici, in quanto la pubblicità insinuerebbe il desiderio nell’osservatore e sarebbe indirizzata a vendere un maggior quantitativo di prodotto.
E’ inoltre assolutamente infondata, secondo Foresti, la definizione di “droghe leggere”. Tale espressione sarebbe da considerarsi erronea in quanto non esisterebbero diversi tipi di droghe “leggere” ma un unico principio attivo, il THC, riscontrabile in quantità differente a seconda della sostanza presa in analisi. Dunque le “droghe leggere” potrebbero essere paragonate alle bevande alcoliche. Infatti tanto nella birra quanto nel vino, nella vodka o nel gin il principio attivo contenuto è l’alcol, seppur con fattori di concentrazione differenti.

 

Cannabis legale 6

La formula magica del THC

 

 In conclusione Foresti sottolinea come non si debba sottovalutare la presenza massiccia di sostanze stupefacenti i cui effetti sono di portata decisamente maggiore rispetto alla cannabis in settori professionali ritenuti particolarmente di pregio. Ne è uno sconvolgente esempio la creazione di una task force in Piemonte per contrastare le problematiche derivanti dall’assunzione di cocaina tra i medici.
Alcune droghe avrebbero addirittura assunto lo status di legali e sarebbero vendute sotto forma di farmaci, basti pensare agli ansiolitici prescritti costantemente al fine di contrastare e risolvere problemi all’ordine del giorno, talvolta addirittura ‘salutari’ e necessari per il corretto sviluppo della personalità di un individuo, il cui utilizzo sfocia spesso in un abuso.
A chiudere il dibattito è un ultimo intervento di Quaglia che lancia una provocazione al pubblico presente. Egli sostiene che “non sarà possibile ottenere una miglior regolamentazione dell’utilizzo della canapa finché l’economia basata sul risparmio non sarà presa seriamente da parte della politica anziché esser ritenuta una problematica”. Secondo Quaglia l’utilizzo massiccio della canapa nei differenti settori precedentemente illustrati (tessile, agroalimentare, edile) permetterebbe infatti un aumento del benessere senza però creare crescita economica ed abbassando il PIL.
Di conseguenza si potrebbe sostenere, a partire dalle parole dei relatori, che la canapa ha tutte le carte in regola per diventare in futuro la miglior ricetta per la felicità, senza però dover necessariamente ricorrere alla stimolazione derivante dal principio attivo in essa contenuta.