Ecco la prima menzione d'onore del nostro concorso letterario Trenta racconti italiani: Il Sosia di Andrea Anforini.

La neve è caduta… lieve… sull’asfalto freddo, sopra i tetti rossi, sul fiume e sulla montagna, sui prati e sugli alberi. La neve è democratica colpisce tutto e tutti. Un passero più che mai solitario si aggira spaesato e sorpreso sulla coltre bianca a caccia di un po’ di cibo. Non c’è granché da dividere coi propri simili in questa stagione, “meglio aggirarsi da soli” pensa il passero. Chissà se qualche cittadino altruista metterà sul proprio davanzale un po’ di briciole di pane per i poveri passeri affamati.

Mi aggiro coi piedi congelati nella neve fresca e vergine, le auto sono ferme e innevate, la vita intensa sembra essersi spenta, quella giocosa si risveglia; eccitati bambini giocano nella biancura, chi lancia palle di neve, chi invece costruisce un pupazzo; mentre i genitori liberano dalla neve i vialetti delle case e le macchine seppellite.

Passeggiando ti accorgi di quanti cani vivono nel quartiere, basta contare le chiazze gialle sparse qua e là. La neve è pura e non ha segreti, su di essa, come ricordi, le tracce di tutti quelli che passano.

Nel carnevale della neve ognuno ridisegna i suoi ruoli e si perde in attività diverse, la routine è un ricordo oggi.

 

La nevicata è stata totale. Anche in città come Firenze, dove non nevica quasi mai, il selciato è invaso e, anche là, le attività sono le più svariate e i ruoli si capovolgono. La Galleria dell’Accademia è chiusa e il David finalmente si può riposare lasciando la sua scomoda e statuaria posa, essendosi rotto di fare la bella statuina. Si muove a fatica, la gamba destra che sorregge tutto il suo peso è come addormentata, mentre non riesce più a raddrizzare il polso sinistro piegato internamente su se stesso. Anche lui stanotte, nonostante il torcicollo tremendo (per il quale pensa di procurarsi una sciarpetta), per una volta, vuole fare qualcosa di diverso e, copertosi il sesso, esce per la città.

 

Il Sosia 1

“La neve è democratica colpisce tutto e tutti.”

 

Quello che vede è quanto mai insolito, la città è vuota, le auto hanno sostituito le carrozze. Passando per via dei Calzaioli, si accorge che non ci sono più le classiche botteghe, sostituite da negozi extra lusso e grandi firme che espongono abiti per lui incomprensibili, ma dei quali si servirebbe volentieri visto il freddo. L’unica cosa che lo secca è rompere il silenzio ovattato di una Firenze innevata, frantumando una vetrina con la sua infallibile fionda. Passando per piazza della Repubblica si accorge invece che manca il mercato Vecchio, simbolo un tempo del popolino di Firenze.

Arrivato in Piazza Signoria, la sua precedente dimora, nota che è piena di telecamere a sorvegliare le altre statue del loggiato. Si domanda da cosa dovrebbero essere protetti quei capolavori, forse i cittadini hanno paura che qualche mecenate straniero tenti di sottrarle alla città; certo non si immagina che un turista o un vandalo qualsiasi, possa anche solo pensare di voler portarsi a casa, a mo’ di souvenir, un dito di un piede, o magari un pene, di quelle sculture. Allora sì che sarebbe contento di stare nella sua protettissima Galleria.

Attraversando Ponte Vecchio vede l’Arno, quello sì che è sempre lo stesso. Poi, finalmente, arriva a Piazzale Michelangelo da dove desidera vedere la città dall’alto come si conviene a una statua maestosa come è lui. Giunto sul posto, eccitato dal desiderio di dominare il panorama, si imbatte in qualcosa a cui non sa dare spiegazioni. Un’altra statua simile a lui, ferma ed eretta nella posa che era sua, si è presa il piedistallo più alto da cui si può giganteggiare sulla città d’arte.

 

 – Come – esclama – proprio nella piazza intitolata a mio padre qualcun altro ha preso, anzi che dico, usurpato il mio posto, sia mai che mio padre abbia avuto due gemelli senza mai dirmi niente!

 

Come d’incanto, la statua sul piedistallo, senza muoversi, inizia a parlare:

 

 – Caro David, purtroppo non siamo fratelli, e non c’è neanche da credere che siamo in due perché si sono moltiplicati i Golia da sconfiggere. Io sono semplicemente un tuo sosia, che ha preso il posto che spettava a te, tu invece stai chiuso in una stanza nel vocio dei visitatori e io qui, dove splende sempre il sole e dove posso odorare i profumi della primavera, ma anche lo smog che sale dalla città. Come vedi ognuno ha il suo ruolo anche in questo giorno, ma il mio è quello che spetterebbe a te. Sai a me sarebbe piaciuto molto di più poter essere un capolavoro come lo sei te, ma il marmo dal quale sono stato creato era la brutta copia di quello da cui sei stato creato tu e quindi sono costretto ad essere un sosia, chissà, forse, se mio padre non avesse avuto bisogno di soldi, invece di copiare un’opera in fretta e furia per guadagnare, avrebbe aspettato l’ispirazione giusta per scolpire da quel marmo un’opera d’arte da ricordare… ma non è stato così. Forse a mio padre mancava l’ispirazione o forse io non ero degno di essere un’opera d’arte e il mio destino era di vivere all’aperto senza alcun tipo di cura nei miei confronti, quelle cure che invece riservano a te… vedi come è splendente il tuo marmo e come è paonazzo il mio. A me non mi puliscono, quando fra cento anni sarò completamente nero mi venderanno, magari in Africa dove ho più mercato, e mi sostituiranno con un altro sosia che starà qui a lamentarsi come faccio io.

 

 – Tutto questo non è giusto! Anche tu avresti il diritto di essere un’opera d’arte. Ho un’idea, solo per oggi ridammi il tuo ruolo, fammi salire sul tuo, o mio, piedistallo per dominare la città e tu infilati al mio posto nella Galleria tanto quegli sciocchi critici d’arte non si accorgeranno di niente e sarai pulito a dovere, cosicché anche se scoprissero l’inganno e ti rimettessero quassù, ormai il tuo marmo sarà bello limpido e camperai ben più di cento anni. Che ne dici?

 

 – Dico che sono stanco di questa vita da comprimario, non so se sarei felice a vivere più a lungo, magari prima vado in Africa e meglio è.   Almeno là non c’è lo smog, e molti mi scambieranno per quello vero. Comunque voglio farti questo piacere, scenderò per farti vedere la tua  città dal nostro piedistallo”.

 

A questo punto il sosia si mosse, ma non potendo vedere bene gli appoggi per il suo torcicollo e non pensando che poteva avere la gamba destra “addormentata”, scivolò e cadde, e a nulla servì il tentativo di riprendersi con la mano sinistra. In un boato la statua si spezzò in più parti. Il David impaurito prese il primo autobus e tornò senza essere notato dall’assonnato autista nella sua sicura Galleria.

Il giorno dopo al sosia ne fu sostituito un altro e il suo marmo fu fuso per farci della calce; mentre i primi turisti che arrivarono alla Galleria notarono che il David aveva i piedi bagnati e un mucchietto di neve semi disciolta nelle vicinanze. Poi notarono anche il suo sesso, coperto da un foglio di giornale bagnato su cui campeggiava un titolo “Firenze ai fiorentini!”, e tutti pensarono a un simpatico scherzo. Infine, il suo sguardo quel giorno fu un po’ meno eroico e un po’ più triste di quello che spettava al suo ruolo, ma neanche i critici se ne accorsero.

Adesso cade di nuovo una lieve neve…