Prende forma dalla matita dall'andamento onirico-grottesco dell'artista svizzero H.R.Giger e si anima infine grazie a Carlo Rambaldi: Alien Ridley Scott. 1979.

Oscurità selvatica, nera. Silenzio. Liquami. Una creatura – nera, oscura, viscida, letale – si annida nel profondo. Riposa, in attesa che qualcosa – o qualcuno – la risvegli dal suo lungo sonno e la restituisca a nuova vita.

 

 

Nello spazio nessuno può sentirti urlare”.

 

 2120. È lecito ipotizzare che sulla Terra si siano esaurite molte fra le risorse primarie per l’uomo.

L’astronave da trasporto Nostromo, assieme al suo equipaggio composto da 7 membri, sta facendo nuovamente rotta verso la Terra con un enorme carico di petrolio. Il fluido magico è stato estratto ed è tempo di tornare a casa.

 

Il tenente Ripley (Sigourney Weaver) ed il suo team si stanno preparando per l’ibernazione. Anche la loro mascotte-portafortuna, il pacato e ben nutrito gatto Jones, verrà messa sotto ghiaccio.

Un viaggio come un altro.

Ma a pensarla così non è MOTHER, il cervello del computer di bordo. C’è qualcosa che non va.

La Madre ha captato uno strano messaggio, proveniente da un pianeta deserto nelle vicinanze della rotta della Nostromo. È un SOS. La prassi intergalattica prevede di prestare soccorso a chi lo richiede.

 

Dopo essere atterrati sul pianeta sconosciuto – una landa nera, desolata, cupa, fangosa – alcuni membri della Nostromo, con visibile riluttanza, escono in avanscoperta.

Non passa molto tempo prima che gli sventurati avventurieri si imbattano in quello che ha tutta l’aria di essere un relitto di una navicella aliena. Relitto.

All’interno, ma non diversamente dall’esterno, una disgustosa oscurità dall’aria malsana e maleodorante. I resti della navicella si sono ormai fusi con quella che si suppone essere la flora del posto, regalandoci la spiacevole illusione di trovarsi dentro lo stomaco di un grosso mammifero, le interiora qua e là.

 

Nel frattempo Ripley e gli altri rimasti sulla Nostromo, fanno una scoperta sconcertante. Il messaggio captato da MOTHER non è un SOS. Si tratta di un avvertimento.

 

Alien Ridley Scott

 

All’interno del relitto alieno distrutto gli astronauti in esplorazione hanno trovato delle uova, molto grandi, molto strane e piuttosto inquietanti. Ed è un secondo. Una delle uova si schiude, catapultando una raccapricciante creatura non troppo dissimile da un gigantesco aracnide direttamente sulla faccia di uno degli esploratori.

Disperati, i compagni trascinano così il malcapitato sull’astronave, ignorando le proteste di Ripley e violando il rigido protocollo di bordo (nessun possibile contagiato può rientrare all’interno della Nostromo).

La creatura (che un domani avrà un nome, Facehugger) non si stacca dal volto del malcapitato, ormai in coma. Ore dopo, l’uomo si risveglia indenne. Il parassito alieno si è finalmente staccato dalla sua faccia ed è morto, senza causa alcuna.

 

Ma durante la cena, l’uomo lamenta un malessere e, dopo poche – inarrestabili, implacabili – convulsioni, si ritrova a terra morto sventrato, in un lago di sangue e budella.

Qualcosa è fuoriuscito dal suo corpo (grottesca rappresentazione di un ipotetico parto maschile o semplice trovata truculenta?). Quel qualcosa è fuggito via, velocissimo, e si è nascosto in uno qualsiasi degli innumerevoli antri della gigantesca Nostromo.

Inutile sottolineare quanto vane siano le ricerche: dell’essere, dell’alieno, del mostro nessuna traccia.

Ma l’alieno, l’essere, la creatura, il mostro si è già ambientato; la sua struttura fisica muta ad una velocità impressionante, ed appare chiaro fin da subito che si tratta di un predatore. Agguerrito e letale.

 

Habitat meravigliosamente perfetto alle esigenze dell’essere, l’astronave si è trasformata nel peggiore dei labirinti. Ed è squisitamente semplice la molla per scatenare l’ansia (e forse, il terrore). Infiniti antri bui. Astronauti spaesati e terrorizzati che si muovono a tentoni. Un alieno, ormai gigantesco, che si mimetizza alla perfezione – enorme e scivolosa creatura fattasi invisibile. La mano tasta le pareti nel buio, l’altra stringe forte il lanciafiamme, l’occhio che disperato capisce il suo limite ma ostinato continua a cercare nell’oscurità. L’occhio che cerca l’alieno trova il gatto; l’occhio che scova il gatto, dà le spalle all’extraterrestre.

L’alieno (della specie Xenomorfa, lo sapremo in un capitolo successivo della saga) è una meravigliosa creatura nera e vischiosa, veloce e dalle movenze eleganti, nata per combattere e sopravvivere, a spese degli ospiti. Cacciare, cibarsi, riprodursi e sopravvivere a qualsiasi costo.

Una vera e propria macchina da guerra. Incarnazione dell’evoluzione (perfezione) o dell’involuzione (aberrazione), l’alieno è, secondo l’obbediente membro robotico dell’equipaggio, “un perfetto organismo, la sua perfezione strutturale è pari solo alla sua ostilità… un superstite, non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”.

Allora, forse, solo un superstite può comprenderne e sconfiggerne un altro.

Il punto è: a chi spetta la sopravvivenza? Chi è il Mostro e chi l’Essere Perfetto? Merita la sopravvivenza il più adattabile, spietato e forte oppure deve spuntarla l’essere dotato di razionalità e sentimento?

 

Alien è il viaggio finale verso le nostre paure.