Il grande sonno di Raymond Chandler è uno dei capostipiti del romanzo noir, un vero e proprio capolavoro del giallo diventato un cult.

Un mondo alla malora. Un mondo ormai disilluso dove tutti i concetti morali come l’amore, il rispetto verso il prossimo, sono ormai morti. E Chandler, sentendosi lentamente escluso da questo mondo, non può che cominciare a scrivere per poterlo recuperare, per farlo nuovamente suo. E per farlo, sceglie il genere che può sembrare il meno adatto. L’hard boiled. L’hard boiled che recupera il giallo trascinandolo per la strada, l’hard boiled crudo e violento, l’hard boiled che riporta inevitabilmente Chandler verso quel mondo immorale da cui si sente tradito. E lascia intendere, tra le righe, che non esiste modo migliore per esorcizzare le proprie paure che infilarcisi dentro, fino al collo, senza un dubbio. E lo fa egregiamente con il ciclo di Marlowe, dove per mettere le cose in ordine, per ricostruire il puzzle morale della sua mente, crea un personaggio dalla personalità decisa e con principi saldi, impossibili da cambiare. E infatti ne esce fuori un personaggio che non può vivere senza il suo autore (anche se Chandler in alcune interviste ha rivelato che stava cominciando a vivere di vita propria) perché lo rispecchia in pieno. Un po’ come Henry Chinaski per Charles Bukowski, Marlowe rappresenta lo sguardo dell’autore sul mondo, la sua concezione romantica ma nello stesso tempo cinica e lievemente nichilista del tutto.

 

Così diviene obbligatorio parlare un po’ di Raymond Chandler. Nato nel 1888 nell’Illinois, figlio di uno statunitense e un’irlandese, assiste alla prima delusione della sua vita quando i genitori divorziano, e si trasferisce con la madre in Gran Bretagna. Tornato negli Stati Uniti si arruola nell’esercito canadese combattendo la Prima Guerra Mondiale. Dopo alcuni lavori inutili, finalmente nel 1933 l’esordio letterario con Il Grande Sonno. Un debutto che l’autore fa a 45 anni, il tempo di osservare con fare critico il mondo e di diventare un alcolizzato. Il suo talento verrà notato qualche anno dopo, tanto che comincerà a lavorare per Hollywood (che farà anche un film sul romanzo di esordio con uno splendido Humphrey Bogart). Il Grande Sonno comincia con la convocazione di Marlowe a casa di un cliente, l’ex generale Sternwood, ormai stroncato dalla vecchiaia (ma pur sempre ricchissimo, grazie ad alcuni campi petroliferi). Il vecchio viene ricattato da un certo Geiger, proprietario di una libreria antiquaria (che si scoprirà essere il centro di un enorme traffico di materiale pornografico). Inoltre il generale è preoccupato per le figlie, Carmen, coinvolta nel ricatto, e Vivian.  Saranno le colonne portanti del romanzo, le tanto famose quanto immancabili femmes fatales.

 

Da qui nascerà un intreccio torbido costruito da omicidi, sesso e corruzione che terminerà con una considerazione stupenda del nostro antieroe, Philip Marlowe. “Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ci se ne fotte di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come il vento e l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora”. Probabilmente lo stesso pensiero che ha fatto Chandler nel 1955, quando tentò il suicidio dopo la morte della moglie. Un tentativo non riuscito che ha il suono della sconfitta, come se Chandler, una volta persa la moglie, si sentisse nuovamente smarrito in quel mondo immorale che aveva conosciuto prima del matrimonio, quando cominciò a scrivere questo grande romanzo noir. Ma a riscattarlo rimarrà sempre Philip Marlowe, grande prototipo dell’antieroe, fonte infinita di ispirazione per tutto il genere (e non solo). Un personaggio immortale perché tenta a tutti i costi di infondere il bene in un mondo maledetto. E lo fa con mezzi tutt’altro che consoni per la concezione di un protagonista positivo. Cinico, alcolizzato, violento, barcolla sempre sul filo del rasoio della correttezza, tra luci e ombre. Questo è il bene secondo Chandler (o secondo Marlowe, fate voi). Un bene diverso, continuamente a stretto contatto con il male, costretto a farsi strada a suon di cazzotti e pallottole. E’ un bene ormai stufo di farsi chiamare tale, e sta qui la grande forza dell’opera di Chandler, nella sua “bipolarità”, nella sua ambiguità. Un opera eterna, come un grande sonno infinito.