Il nostro sogno è avere un'Europa Unita, ma non dai muri!

Un nuovo e grande muro sta per sorgere nel cuore del Vecchio Continente, esattamente a Calais, l’ultimo fazzoletto di terraferma prima del canale della Manica, dove il 20 settembre scorso sono iniziati i lavori per la costruzione di una grande barriera a difesa del chilometro finale di autostrada che porta all’imbarco verso la Gran Bretagna.

Il muro, lungo un chilometro e alto quattro, costerà quasi due milioni di sterline alle tasche degli spauriti contribuenti della Gran Bretagna post Brexit, ma sarà di gestione esclusiva della gendarmeria francese. Tale operazione, ha l’obiettivo di isolare e circondare la Jungle, la babele di diecimila profughi di quindici nazionalità diverse che vivono in condizioni disumane nell’attesa di un approdo oltre Manica. The Great Wall, grigio e liscio in direzione Jungle ma ricoperto di fiori e piante sul lato francese, secondo i poco lungimiranti politici autoctoni scoraggerà i profughi dall’intraprendere un confortevole viaggio nelle budella di un tir o una rinfrescante camminata sotto al mare, nell’Eurotunnel della Manica.

 

Europa Unita 1

Vista aerea della Jungle di Calais (REUTERS)

 

 

Nel campo di Calais, prigione di fango e melma costruita su una discarica in disuso, nessuno vuole restare, e piuttosto che morire ogni giorno in una fogna a cielo aperto, così vicina e così lontana dalle bianche scogliere di Dover, i profughi si rimettono alla completa mercè di trafficanti senza scrupoli e di passeur improvvisati, che affinano le loro capacità e si specializzano per fronteggiare i controlli transfrontalieri.

Un muro di cemento la scelta delle due più antiche democrazie europee, culle del liberalismo e del multiculturalismo: la Gran Bretagna patria di John Locke e del Bill of Rights del 1689 e la Francia dell’Illuminismo e della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo, dove già nel 1789 si proclamava che “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti”.

 

 

Ma tutto ciò non deve stupire: nel repentino processo di fortificazione dell’Europa Unita il muro di Calais va a collocarsi idealmente al vertice alto di un enorme triangolo isoscele che vede ad ovest i muri spagnoli di Ceuta e Melilla e nell’area balcanico-orientale la cortina di filo spinato di 175 km lungo il confine tra Serbia e Ungheria.

Tre avamposti posizionati strategicamente al fine di bloccare i tre flussi umani che marciano dal sud al nord del mondo: la via atlantico-occidentale spagnola attraverso le Canarie e lo stretto di Gibilterra, la via orientale i cui flussi si dirigono verso l’Europa in direzione Grecia e Turchia e poi lungo la rotta balcanica, ed infine la via centro- mediterranea, che si dirige verso nord approdando (delle volte affondando) in acque italiane.

 

Europa Unita 2

Direzione flussi migratori e frontiere fortificate dei paesi europei (ANSA)

 

 

 

Se è vero che per comprendere meglio ciò che sta accadendo in Europa occorre guardare Oltreoceano, si scopre come anche l’America possa diventare nel futuro prossimo cattiva maestra. Il tycoon Donald Trump, candidato repubblicano alle presidenziali americane, tra urla, gaffe e minacce intercetta il desiderio isolazionista degli scontenti americani, che a dieci anni dalla crisi economica e a quindici dall’attacco alle Torri Gemelle, sono stanchi del politically correct democratico incapace di arginare la prima e sconfiggere il terrorismo islamico.

Trump parla alla pancia delle masse ineducate, che si riempiono d’orgoglio e di amor patrio quando il multimilionario promette un’utopistica chiusura delle frontiere ai musulmani e la costruzione di un enorme muro al confine con il Messico, manco a dirlo, a spese dei messicani.

Le parole di Barak Obama, all’ultimo discorso all’ONU da Presidente degli Stati Uniti, <<Un paese circondato da muri imprigionerebbe sé stesso>>, sembrano un monito destinato a cadere nel vuoto.  Così come quelle del Pontefice, che nei suoi Angelus auspica la costruzione di ponti e non di muri.

Il vento populista che soffia sul mondo trova però campo fertile nella società contemporanea, disgregata e destabilizzata dall’incapacità dei governi tradizionali di fronteggiare la crisi economica e la crisi umanitaria nonchè l’imponente ondata migratoria. Una società la nostra, che vede nel terrorismo e nell’immigrazione le due facce dell’identica minaccia alla propria identità. La tendenza ad assimilare e sovrapporre i concetti di migrazione e terrorismo – non confinata agli stereotipi del pubblico meno istruito – insieme all’eco mediatico della sindrome da assedio deformano il quadro globale. Le percezioni catastrofiste riportate dai mass media occidentali fanno a pugni con i freddi dati reali, che nel 2015 parlano di 28.328 vittime di terrorismo a fronte di circa 500mila morti da influenza di stagione, e di “soli” 244 milioni di migranti (ridotti a 36,5 milioni se si tiene conto dei flussi e non dello stock, ndr) che invece pesano sulla popolazione mondiale nella misura del 3,3%.

 

 

Ma la concentrazione nello spazio e nel tempo, come nel caso europeo, di una gran quantità di arrivi in pochi mesi e verso pochi paesi, unita alla recente sequenza di attentati terroristici di matrice jihadista, specie in Francia e Germania, alimentano il desiderio di chiusura della società occidentale, che rifiuta di includere lo straniero nella propria comunità.

La retorica dell’invasione viene cavalcata da numerose forze politiche che strizzano l’occhio alle paure della popolazione attraverso la promessa di innalzare muri e barriere dal classico sapore populista – propagandistico.

Il vuoto politico dell’Europa del libero mercato dove i tabù sono inflazione e debito pubblico, ma che non considera tali le etichette di “rifugiato”, “migrante economico”, “clandestino”, ha lasciato il campo alle reazioni miopi dei governi nazionali, che hanno messo in discussione la libertà di circolazione degli stessi cittadini europei, uno dei pochi elementi che dava il senso di una comune appartenenza.

L’incapacità di prendere un’iniziativa comune ed efficiente per fronteggiare questo fenomeno ormai strutturale della nostra epoca si traduce in un gioco allo scarica-migrante tra i paesi europei e in un repentino ripristino delle vecchie frontiere nazionali, ricordo lontano dell’epoca pre Schengen. Così, tra le faglie socio economiche prolifera una necessità di definire chi siamo, una questione identitaria che riporta inevitabilmente in auge il concetto di confine.

 

Europa Unita 3

 

 

Sta ora all’Europa decidere quale significato attribuire al concetto di confine. Se intenderlo come limes, che indica il punto da non oltrepassare, la linea di confine che divide il mondo conosciuto da quello ostile e sconosciuto, dal quale occorre difendersi e separarsi, o interpretarlo come limen, che rappresenta la soglia, un ingresso, che consente il passaggio e può essere condizione di rapporto e incontro. Le strutture democratiche dell’Unione Europea sono obbligate a scegliere se chiudersi nell’esclusivo limes, o aprirsi all’inclusivo limen.

E nell’attesa di questa decisione fondamentale e forse determinante per il suo futuro, non può dimenticare i migranti che già vagano allo sbando nel territorio europeo, tra fughe, sgomberi e rimbalzi alla frontiera. Un atteggiamento lassista e repulsivo ha come conseguenza il proliferare delle tendopoli sulle linee frontaliere e l’ammasso di carcasse di barconi sui fondali del Mediterraneo. Senza dimenticare l’allargamento del bacino cui attingono le forze terroriste. La loro manovalanza viene reclutata tra i discriminati, umiliati e senza futuro che crescono in mezzo a noi, che al cospetto di una vita priva di dignità, preferiscono una morte carica di significato.

 

 

Il passato insegna che non c’è potenza senza integrazione; dall’antica Roma all’America, ogni protagonista della storia universale ha beneficiato dell’integrazione come segno di suprema egemonia, attraverso il talento di trasformare gli “alieni” in cittadini.

L’Europa deve assumersi le proprie responsabilità e dare una risposta tempestiva e costruttiva, non nell’accezione edile del termine, pena il rischio di schiantarsi proprio sugli stessi muri da essa innalzati, muri che rappresentano un’affannata e quanto mai anacronistica risposta di una Comunità che forse non è mai stata tale.

 

*****

Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: L’istinto di sopravvivenza non teme il Mediterraneo.