La nostra quinta menzione d'onore è La leggenda dei titani del vuoto di Nico Ovi, un fantasy di ispirazione tolkeniana.

Il vecchio attizzò il fuoco e sedette, facendo cenno al giovane di fare altrettanto. Gli occhi bianchi della cecità sembravano scrutare immagini attraverso le fiamme, e dopo un profondo respiro iniziò a parlare, la sua voce profonda e incredibilmente ferma per la sua età, spezzava l’aria gelida della notte con la stessa tenacia del fuoco che si frapponeva tra loro…

 

“Oggi ti narrerò una storia che molti hanno ormai dimenticato. Poco inchiostro è stato speso per trascriverla, ma spesso la voce e i ricordi sono più duraturi di qualsiasi libro, e questo è uno di quei casi.

Questa storia ebbe inizio secoli fa, prima che gli uomini camminassero sulla terra. Prima, quando solo pochi pianeti danzavano sul mantello del Dio del Vuoto e genti dai nomi persi nei meandri della storia camminavano su di essi, vi erano due entità che governavano l’equilibrio del tutto. Luce ed Ombra, Ordine e Caos, Vita e Morte. Essi ponderavano ogni loro scelta, affinché i popoli vivessero in pace e armonia. Sono stati attribuiti molti titoli e nomi a quegli esseri, ai giorni nostri vengono ricordati come Vahel e Abalor, i Titani del Vuoto.

 

Si dice che fossero due possenti giganti, con braccia più lunghe delle catene montuose, gambe senza fine poggiate sui confini dell’universo e poteri che vanno oltre la comprensione terrena. Vahel era solcato di crepe violacee dai riflessi bianchi lungo tutto il suo nero corpo, che dalla testa calva scendevano, percorrendo il viso e i suoi occhi freddi e profondi del medesimo colore. Passando poi sul collo, ornato da una collana di meteoriti che arrivava fino a metà del suo petto nudo e anch’esso marchiato. Al centro vi era il suo cuore, un’enorme sfera luminosa che volteggiava tra il petto e la vita, nella quale confluivano tutte le venature. Si dice che una notte, Vahel strappò con le sue stesse mani una parte del nucleo creando la luna, per ricordare agli umani che anche quando le tenebre inghiottivano le loro terre, i Titani erano sempre presenti per difenderli. Abalor invece aveva una folta chioma ed una barba dorati, che arrivavano fin dove solo il Dio del Vuoto aveva accesso. Un lungo mantello di luce avvolgeva il suo corpo bianco come la neve, e gli occhi sprigionavano una luce talmente forte che persino Vahel faticava a guardare. Le leggende narrano che egli creò il sole nel momento in cui li aprì per la prima volta, e che da allora non li abbia mai più richiusi, temendo di spegnerlo per sempre.

Alla nascita dei primi pianeti, Abalor concentrò la sua essenza tra le mani, creandone centinaia di frammenti e mandandoli su di essi come tramite per il suo potere. Quei frammenti fecero germogliare piante, scorrere fiumi e nascere mari. Vennero chiamati “Lor’ Nahri”, che nelle lingue antiche significa “Vate della Luce“, rispettati e venerati in ogni pianeta su cui si posavano.

 

Ma venne il giorno in cui l’equilibrio che per secoli era stato mantenuto incolume vacillò, e l’ago di quell’ancestrale bilancia cominciò pericolosamente ad oscillare verso un’inesorabile rovina. I popoli iniziarono a venerare i Titani come loro Dei, erigendo templi in cui praticare riti e portare doni, statue a cui rivolgere le loro preghiere, sacre scritture dove riportavano miti e leggende riguardanti le loro gesta. Ma come la storia ci ha insegnato non può esistere bene senza male, e così anche i Titani con il tempo vennero visti non più come fratelli al servizio della pace e dell’equilibrio, ma come eterni rivali destinati a combattere fino alla fine dei loro giorni. Fu così che Abalor venne chiamato dalle genti “Salvatore, Portatore di speranza, Messia della Luce”, e Vahel a suo malgrado, fu etichettato come “Demone, Signore delle Disgrazie, e Mastino del Vuoto“.

 

In ogni pianeta su cui posava il suo sguardo, Vahel vedeva solamente odio e terrore smisurato nei suoi confronti: i popoli distruggevano le sue statue, bruciavano i templi a lui dedicati, alcuni vietavano persino di pronunciare il suo nome. Non riusciva a comprendere la fonte di tale odio, non poteva concepire che i popoli che tanto aveva amato e protetto, ora lo ripudiassero come se fosse il peggiore dei mali. 

Cercò in ogni modo di far capire loro che si sbagliavano sul suo conto: Rese ancor più luminosa la luna, distrusse un’ennesima parte del suo nucleo per creare le stelle, spargendone talmente tante da far quasi sparire il buio sul quale poggiavano. Ma la mente mortale è contorta, figliolo, e spesso le persone vedono solamente ciò che vogliono vedere. Difatti, per ogni azione che Vahel compiva il merito veniva dato ad Abalor, come se lui stesse combattendo il buio del Mastino utilizzando i suoi strumenti a proprio vantaggio. Tutto ciò rattristava Vahel, ma allo stesso tempo un altro sentimento stava nascendo in lui, qualcosa che non aveva mai provato prima e che incrinò il suo animo gentile: invidia. Iniziò ad invidiare ed odiare Abalor come se tutto fosse opera sua, un vile trucco per indurre le genti a venerare lui e lui soltanto. Non gli importava più dei suoi popoli, dell’equilibrio dell’universo o della pace, voleva soltanto vedere il Titano della Luce cadere nelle tenebre. Con un solo gesto della mano spazzò via le stelle che tanto aveva faticato per creare, così che la notte potesse essere ancor più tenebrosa. Oscurò la Luna, creando un’ombra per avvolgerla poiché distruggerla significava privarlo di gran parte del suo potere. Abalor cercò di farlo ragionare, di dissuaderlo dal portare morte e rovina ovunque, ma egli era troppo accecato dalla rabbia per ascoltarlo. Iniziò a caricare la sua Essenza, voleva far capire ai popoli dell’Universo che nessun essere vivente sarebbe mai stato al sicuro da quel momento in avanti; urlò così forte che i pianeti stessi tremarono di terrore, e le sue venature violacee iniziarono a crepare sotto il peso del suo potere. Quando la sua potenza raggiunse il limite la rilasciò nell’universo: una scarica di fulmini iniziò a colpire ogni pianeta, lacerando la terra, distruggendo interi popoli e decimando ogni creatura vivente con cui venivano a contatto. Fu allora che Abalor decise di intervenire per fermare l’ormai perduto amico.

 

Protese le braccia verso Vahel, stringendolo a se nel tentativo di usare la sua Essenza per placare l’animo del Titano, e per un istante, un flebile momento, Vahel ricordò il motivo per cui era stato creato dal Dio del Vuoto, proteggere l’universo e mantenere l’equilibrio. Ma la rabbia, ragazzo, ti consuma dentro, svuota l’animo delle persone e lo riempie d’odio. E l’odio unito ad un potere immenso come quello di un Titano, porta solo ad una cosa: una fame insaziabile di distruzione e dominio. Vahel abbracciò a sua volta Abalor stringendolo con tutta la forza che aveva, e allora accadde qualcosa. Una volta uscito dalla morsa del Mastino, Abalor guardò il suo petto, dove un’enorme chiazza nera stava lentamente consumando la luce del Titano; venature nere salivano lungo tutto il suo corpo, e come sanguisughe prosciugavano l’energia di Abalor, il quale stava lentamente perdendo luce diventando un guscio vuoto senza più alcun potere. Le terre avrebbero iniziato ad inaridirsi e perdere vita, il sole stava già perdendo splendore e i popoli di tutti i pianeti iniziarono ad aver paura di ciò che sarebbe accaduto.

 

Fu allora che Abalor, in un ultimo sforzo disumano, rilasciò tutto ciò che gli era rimasto nell’universo, come una pioggia di luce che andò a colpire tutto ciò per cui per secoli aveva lottato. C’è chi dice di aver sentito delle parole infrangere il vento quel giorno, non erano parole di dolore, nè odio… ma di speranza.

“Verrà il tempo degli Eredi del Sole, figli della Speranza e ricettacoli della volontà del Titano Lucente. Essi diverranno la Fiamma che spezzerà il buio che ora pervade questo mondo, e saranno i salvatori della loro era e di quelle avvenire. Perché non vi è oscurità dove la Luce non possa brillare”. E dopo queste parole, il corpo ormai completamente nero di Abalor iniziò a sgretolarsi e perdersi nei meandri dell’universo, lasciando spazio solo all’oscurità creata dal Mastino del Vuoto.

Ebbe così inizio ciò che noi conosciamo come “Era dell’Ombra”, secoli dove Vahel regnò come il tiranno che per anni le genti avevano dipinto. Mari, fiumi e laghi iniziarono a prosciugarsi cosi come la vita che li popolava, gli alberi persero le loro chiome e i loro frutti, e morirono assieme ai prati e agli animali che vi vivevano. Lentamente anche molte città e civiltà iniziarono a cadere come foglie, lasciando solo i resti dei popoli che erano. Vahel riuscì a corrompere i Lor’Nahri, rendendoli spiriti oscuri, che sottraevano la vita di ogni essere per prolungare la propria.

In tutto questo però, non riuscì mai a spegnere il sole che Abalor creò secoli prima. La volontà dei suoi Eredi riusciva a farlo splendere, anche se solo flebilmente, ma abbastanza affinché Vahel temesse il loro arrivo.

 

Nessuno conosce il momento preciso, si sa solo che quando uscirono allo scoperto, la loro luce brillò così intensa da infuocare il grande Vuoto. Furono chiamati “I cinque Messia“, profeti di pianeti diversi ma uniti da un’unica Essenza. Essi non solo avevano ereditato l’Essenza del vecchio Titano, ma anche i suoi antichi ricordi e le sue conoscenze, e le avrebbero usate per proteggere i pianeti e sconfiggere il Mastino del Vuoto.

Il primo dei Cinque Messia, un alto e snello essere dalle lunghe orecchie ricurve sulla schiena e dalla pelle corvina di nome Erebor, impugnando un corno cristallino fece risuonare nell’universo una lunga e profonda nota che placò all’istante ogni Lor’Nahri che ne avvertiva l’intenso tepore, restituendo loro la luce che avevano perduto secoli prima. Poi fu la volta di Kalstan, Neol e Terrok, tre possenti esseri che parevano fatti di roccia, ma attraverso i quali scorreva un liquido trasparente e puro come acqua, che dava l’idea di connetterli con la terra stessa. Grazie alla loro Essenza Luce ed ai loro bastoni grandi quanto i pilastri di un tempio, crearono un velo di Luce abbastanza ampio da ricoprire ogni pianeta conosciuto affinché la vita tornasse a scorrere su di essi. L’acqua sgorgò copiosa dalle conche aride dei laghi, lungo i corsi d’acqua e in ogni mare ormai estinto. Gli alberi e i prati ripresero colore, e animali e frutti ricomparvero laddove non ne rimaneva che il ricordo. Infine Selestior, un gracile essere dalla pelle così sottile da lasciar intravedere uno scheletro pervaso di Luce, creò un portale per radunare gli altri eletti e compiere il loro destino. Era il più anziano dei Cinque, ma il suo potere sembrava di gran lunga superiore a chiunque altro. Levò le mani al cielo, e dopo una serie di parole in una lingua a noi sconosciuta un cerchio comparve sotto di essi, e i loro corpi si dissolsero nell’aria divenuta improvvisamente secca. Si dice che in quel cerchio i Messia ascesero a Titani per poter affrontare Vahel alla pari e compiere così il volere di Abalor.

Il Titano chiamò a se i pochi Lor’Nahri ancora corrotti dalla sua Essenza e li assorbì per ottenere maggior potere. Avrebbe schiacciato quei falsi Dei e posto fine una volta per tutte alla Luce. Dopotutto come potevano degli stolti mortali competere con la grandezza di un Titano?

 

Ma la volontà di Abalor e dei suoi Messia fu incrollabile. I Cinque distrussero il velo d’ombra che copriva il sole da secoli, lasciando che il potere di quella sfera scorresse in loro e squarciasse quel velo buio che da troppo soffocava la vita. Un’enorme esplosione colpì Vahel, e spaccò a metà il suo corpo mandando in frantumi la sfera d’Essenza. Egli cadde sul mantello del Vuoto accecato da quella luce, e quando i suoi occhi tornarono a vedere i Messia era intorno a lui, le teste basse e le mani giunte in preghiera. Le loro voci intonavano un canto all’unisono che lentamente andava crescendo di intensità fino a risuonare in tutto l’universo. Vahel si rese tristemente conto che più le loro voci erano forti, più un cerchio andava a disegnarsi intorno al suo corpo distrutto, e fasci di luce simili a sbarre scendevano lentamente sulle teste dei Messia, ora più lucenti che mai. Egli era immortale, pertanto l’unico modo di porre fine al suo regno era quello di rinchiuderlo in una prigione di Luce talmente potente da bloccarne l’Essenza al suo interno, e per far ciò i Messia erano disposti a dare la loro stessa vita.

D’un tratto cadde il silenzio, i Messia sbarrarono gli occhi e spalancarono la bocca, lasciando che quelle luci trapassassero i loro corpi e fuoriuscissero verso il suolo, creando una prigione attorno al Mastino dalla quale non sarebbe più riuscito ad uscire. I loro corpi brillarono non appena le Luci si unirono al cerchio di Luce nel suolo, e Vahel emise un urlo talmente forte e disperato da far tremare il Sole. L’era dell’ombra, finalmente si concluse.

Si dice che ai giorni nostri egli abbia ricostruito il suo corpo, e tutt’ora stia cercando un modo per uscire e far ripiombare il mondo nelle tenebre dalle quali è nato.”

 

Il vecchio si alzò, lentamente e con la fatica tipica di chi sente il peso degli anni gravargli sulle spalle, e iniziò a camminare verso la sua piccola e modesta casa. “Ma se dovesse riuscire nel suo intento, cosa succederà? Che ne sarà della Terra e di tutti gli altri pianeti?” Chiese il giovane, con la voce pregna di sincera paura. Il vecchio girò la coda dell’occhio, e per un attimo parve quasi che i suoi occhi stessero veramente vedendo il ragazzo “Sarebbe la fine. La fiamma della vera Essenza si è spenta con il sacrificio dei Messia, e anche se vi fosse qualcuno con un tale dono, sarebbe impossibile affrontare la potenza di un Titano”. Il giovane si intristì di colpo di fronte a quella realtà, come se temesse veramente ciò che il futuro portava inesorabilmente verso di lui. Il vecchio guidato dal suo bastone si avvicinò a lui, e tese una gracile mano sulla sua spalla, sorridendo come farebbe un nonno con il piccolo nipote. “Via via figliolo, non essere così silenziosamente cupo. Dopotutto sono solo storie di tanti secoli fa, no? Ora torna a casa, domani ti racconterò un’altra storia, magari un po’ più allegra”. Il ragazzo fece un lieve sorriso, e dopo aver salutato, si incamminò verso casa.

Il vecchio lo guardò allontanarsi finché non divenne un minuscolo punto all’orizzonte, e dopo che il giovane sparì completamente dal paesaggio, passò con un movimento fluido la mano sul fuoco cristallizzandolo dalle braci fino alla punta delle fiamme, e con un soffio lo mutò in polvere che si disperse nell’aria. “Se mai Vahel dovesse tornare, spero solo che il Titano della Luce abbia misericordia di tutti noi, ragazzo”.

Dopo queste parole, il vecchio si girò e rientrò a casa.

 

Parole di

Nico Ovi

 

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Se il nostro concorso letterario ti appassiona leggi anche la quarta menzione d’onore, La trappola è in te di Nicoletta De Lellis.