L'esperienza mistica con un Super Hofmann doppia goccia di un ragazzo alla ricerca di se stesso e delle porte della percezione.

Autunno 2006. Dieci anni volati come un sogno ad occhi aperti. Un sogno che quel giorno assunse parvenza allucinatoria.

 

Noia e curiosità

Avevo diciotto anni compiuti da poco, e, come la maggior parte degli adolescenti, non avevo un cazzo da fare. Midi, il mio migliore amico e grande ‘compagno di merende’, mi chiamò per darmi una notizia.

“Li ho trovati”.

“Cosa?”.

Super Hofmann doppia goccia”.

Silenzio. Quel silenzio di stupore che ti spacca in due come una pietra.

 

Era diverso tempo che cercavamo un trip, ma non uno qualsiasi, noi volevamo assaporare il bambino difficile di Albert Hoffman.

Mi immaginavo già a contrattare con il ‘cappellaio matto di turno’, tra discorsi senza senso e nuvole di fumo che attraversano la stanza. Purtroppo niente di questo si avverò. Ci trovammo davanti ad un eroinomane che non vedeva l’ora di concludere l’affare per potersi sparare una dose.

La nostra iniziazione alla droga risaliva a circa tre anni prima, anni in cui abbiamo provato di tutto: fumo, ganja, cocaina, speed, ecstasy, MDMA, poppers, cloroformio, oppio, funghi allucinogeni e ketamina.

Praticamente quasi tutte le droghe che ci interessavano tranne eroina e LSD; ma sulla prima mettemmo una croce, un giuramento tra fratelli da non infrangere mai.

“Quale volete?”

 

Super Hofmann 1

Una pagina di Super Hofmann

 

Davanti a noi si stagliava una pagina da venticinque trip con un buffo omino in bicicletta e sullo sfondo una montagna simile a quella della Paramount: non c’era dubbio, ci trovavamo davanti a un Super Hofmann.

Midi prese la pagina tenendola alle due estremità con indice e pollice, la girò, si soffermò un attimo ad analizzarla e indicò i due centrali.

“Questi, senza ombra di dubbio”.

Midi aveva scelto due trip completamente impregnati di acido lisergico, macchiati di un rosso stinto che simboleggiava tutta la loro potenza.

“State attenti mi raccomando, sono super Hofmann doppia goccia”.

Ce ne andammo felici con 20 euro in meno in tasca e una bomba di misticismo pronta per l’uso.

 

Cambia tutto, cambia il tempo, che diventa doverosamente al presente

 

Forse è pacco

Mettiamo il trip sotto la lingua, e, nel frattempo, incontriamo Lex. Ci dice che anche lui ne ha preso mezzo dallo stesso spacciatore. Coincidenze? Non penso proprio.

Ci segue all’istante e inizia a girare una canna.

Andiamo in un parco tranquillo e aspettiamo che entri in azione il supereroe di Albert Hofmann.

Fumiamo un paio di canne e il tempo si dilata come sempre quando si ha buona ganja.

 

Passa un’ora e niente di niente. Inizio ad interrogarmi sull’effettiva autenticità del prodotto. E se fosse un pacco? Non posso accettare di esser stato fregato da un fottuto eroinomane di paese, quindi cerco di pensare ad altro e rullo una canna. Un bombone di tali dimensioni da stendere un cavallo.

Dopo qualche lunga boccata la passo a Midi e risputo fuori il fumo in nuvole pregne di THC.

“Ragazzi forse è pacco” esclama Lex in apprensione.

Momento di silenzio. Probabilmente anche Midi aveva pensato la stessa cosa. Siamo tutti e tre sulla stessa barca, un galeone dei pirati senza il suo comandante.

Passa un’altra mezzora e l’unica cosa che sento è una grossa stanchezza da cannabis. Mi alzo.

Vado a pisciare dietro un cespuglio, mi chiudo la zip e mi esplode il petto.

 

Felicità, fattanza e gente che scompare

Vengo assalito da vibrazioni cosmiche. Torno dagli altri completamente inebriato dall’acido e in pace con me stesso.

“Ragazzi anche voi?”.

“Non tanto” risponde Lex.

“Io sono fattissimo” esclama Midi.

Iniziamo a ridere come pazzi, non riusciamo a fermarci, caschiamo dalla panchina e ci rotoliamo sull’erba fresca. Siamo stupidi e felici.

Il vento mi accarezza il viso portandomi un senso di pace addosso, sulla pelle, nella pelle.

Arrivano gli altri e ci chiedono se li raggiungiamo al bar.

“Ok, tra poco arriviamo”. Rispondiamo all’unisono.

 

Dopo poco mi siedo ad un tavolo fuori dal bar. Midi fa lo stesso. Lex entra coraggiosamente dentro.

La mia mente inizia ad essere annebbiata, mi perdo su particolari insignificanti come la punta della scarpa di un amico. Più la osservo e più mi sembra bella e lucente. Incrocio lo sguardo con Midi: è sconvolto.

Il tempo si arresta improvvisamente, tutto quello che ho intorno è immobile, quindi decido di alzarmi per provare l’ebrezza di vagare tra l’immobilità. Dopo tre passi il nodo del tempo si scioglie, ma continuo comunque la mia avanzata fiera verso l’entrata del bar.

Apro la porta e vedo Lex giocare a ping pong con Ale. Non è un’allucinazione, esiste davvero un tavolo nel nostro bar. Seguo una pallina con lo sguardo schizzare in terra. Rialzo la testa e vedo Lex scomparire lentamente dalla spalla in su. Ride e la sua faccia si dissolve come un perfetto Stregatto.

 

Super Hofmann 2

Lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie

 

Fermo, non te ne andare, vorrei urlare a più non posso, ma non ho le forze per farlo.

Alzo la testa e la luce al neon mi acceca come un bagliore divino. Che sia arrivato il momento dell’ascensione? Dio sta comunicando con me tramite una sostanza psicotropa?

Metto le mani davanti agli occhi per pararmi dal fascio di luce invadente.

Sento afferrarmi per un braccio: è Ale, che mi porta fuori dal bar.

“Stai qua, è meglio” scomparendo dopo poco.

Midi mi guarda e sorride, con un sorriso estremamente compiaciuto e perverso.

“Qui c’è gente che scompare” affermo non troppo sicuro.

“Come?”.

“Niente, niente”.

 

Mi sono pisciato addosso

Vedo Giulia arrivare e le chiedo se può prendermi qualcosa da mangiare. Non sono nelle condizioni di entrare nel bar, ma forse neanche di muovermi perché sono paralizzato su una sedia in shock da acido.

Torna con un panino che afferro e mordo in un secondo. La sensazione è quella di masticarmi le guance lentamente, e, come se non bastasse, il panino sa di cartone. Lo sputo.

 

Sono avvolto dalla botta, come una pesante coperta che ti schiaccia.

Il super Hofmann doppia goccia è come un maschio alpha, ti sovrasta e si impone senza che tu possa fare niente.

Vado a pisciare dietro un cespuglio, mi guardo il cazzo ed è un pezzo di gomma rattrappito che fatica a pulsare sangue come si deve. Piscio, lo rimetto nelle mutande e la sensazione che mi resta addosso è di essere bagnato.

Torno a sedere, mi guardo i jeans e sembrano un fiume in piena. Ondulazioni improvvise partono da un lato e si scagliano sull’altro, come onde in mezzo all’oceano.

 

Super Hofmann 3

 

“Mi sono pisciato addosso” dico a Midi.

“Macché, è una tua impressione”.

“Ne sono sicuro. Guarda qui, è un mare in piena”.

“È la tua mente ad esserlo”.

Silenzio.

 

Trip significa viaggio, ma inTripparsi significa fissarsi su qualcosa, esserne ossessionati, e quando un’idea ti si inerpica nella testa diventando convinzione è la fine.

“Mi sono pisciato addosso?” chiedo a Giulia.

È una donna, quindi se anche lei dovesse rispondere di no potrei scacciare questa fissazione che mi sta tormentando da almeno mezzora.

“Come?”.

“Giulia, secondo te mi sono pisciato addosso?”.

Si mette a ridere. Di certo non un buon incoraggiamento.

“No, tranquillo. È una tua impressione”.

“Sicura?”.

“Sì, ci vedo da qui ai tuoi pantaloni…”.

Mi rilasso per un po’, ma dopo poco la sensazione si impossessa di nuovo del mio cervello tenendolo in ostaggio.

Mi sono pisciato addosso?”.

“No” risponde Giulia.

“Davvero?”.

“Davvero”.

“Ma sei sicura che non mi sia pisciato addosso?”.

“Sì, basta, adesso basta. Secondo te ti toccherei le gambe se tu ti fossi pisciato addosso?” urla toccandomi le gambe.

Ok, non mi sono pisciato addosso.

 

Una questione di scelte

Midi mi prende e mi porta via dalla folla. Ci appartiamo su una panchina nel parco. Lui inizia ad ascoltare la musica, io giro una canna. Ho la percezione delle distanze completamente sballata, ma riesco comunque a completare l’opera: una delle canne più brutte di sempre.

Fumo e mi rendo conto di essere in pieno sballo sinestesico. È come se toccassi ogni tiro, tatto e gusto invertiti. Passo la canna a Midi che sembra meditare con gli auricolari incollati negli orecchi.

Ne prendo uno e lo avvicino velocemente.

Un’esplosione di rumori metallici violenta il mio orecchio. Lo stacco subito.

“Te sei pazzo”.

“Sì, sì” risponde con ghigno malefico.

“Basta, sono ore che siamo qui intrappolati in una landa senza tempo. Andiamo dagli altri”.

“È già ora di cena. Sono andati tutti in pizzeria”.

“Andiamo anche noi”.

“No. Aspetta. Siamo troppo fatti”.

“Allora vado da solo”.

 

Lascio Midi sulla panchina e inizio a camminare. Improvvisamente diventa tutto buio e tetro, sento un gufo bubolare davanti a me. Alzo gli occhi e lo vedo, immobile sopra un ramo che mi osserva con i suoi occhi gialli. Inizia anche a pioviscolare, quindi il parco diventa un luogo tremendo ai miei occhi allucinati. Mi giro e vedo Midi sulla panchina, sempre intento ad ascoltare musica spacca timpani. È circondato da un’aura bianca che risplende su tutto. Mi giro verso il centro del parco e il gufo continua a bubolare, mentre gli alberi si allungano come coltelli verso il cielo.

 

Super Hofmann 4

Bosco malefico

 

Quale sarà la scelta giusta? Opto per l’aura magica della fratellanza e raggiungo Midi sulla panchina. Non ho mai amato i gufi.

Mi lascio andare e sprofondo dentro un abisso sintetico. Affogo, risalgo e scalo gli scalini della mia mente più volte. Forme geometriche si stagliano davanti a me come quadri di picassiana memoria. Cubi, sfere, colori e odori si fondono in un valzer psichedelico con me unico spettatore pagante.

 

“Andiamo” esclama Midi con sicurezza.

Vengo trasportato fuori da uno stato di sogno che durava ormai da ore.

Saliamo in motorino e schizziamo via sotto la pioggia. Midi guida quasi a memoria, è come se fosse comandato dal diavolo in persona. Mi aggrappo a lui per non cascare. Arrivato a casa lo saluto ancora un po’ fatto.

“Tra un po’ gli altri vanno al pub. Che fai, vieni?”.

“Ok, cerco di riprendermi un po’ e vi raggiungo” rispondo aprendo la porta.

Salgo le scale e vedo i mattoni del muro pulsare come cuori, intinti di verde, arancio e blu.

Riesco a defilarmi dai miei genitori e chiudermi in camera. Mi tolgo i vestiti, prendo i pantaloni e li passo a mia madre dicendole di lavarli perché sono fradici. Ha piovuto forte, ma per noi erano semplici goccioline che si infrangevano sulla nostra pelle delicate e riverenti.

“Ma dove sei entrato?” chiede mia madre.

In un viaggio”.

 

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