Con La ragazza senza nome il valore e la bellezza di un’idea di cinema prevale, nel giudizio finale, su un film non del tutto riuscito.

A voler riassumere in una parola il cinema di Jean-Pierre e Luc Dardenne, mi verrebbe senz’altro alla mente onestà. Difatti, a prescindere dal valore intrinseco del prodotto finale – e quindi anche quando questo non convince appieno come, diciamolo subito, è il caso di questo La ragazza sconosciuta (La fille inconnu nel titolo originale) – è impossibile non affezionarsi a un modo di fare cinema che non solo rappresenta sempre più un’eccezione nel panorama mondiale ma che colpisce cuore e mente per impegno, passione, rigore.

 

Onestà, abbiamo detto. Ma anche coerenza. Coerenza di linguaggio prima di tutto. Un linguaggio cinematografico scarno, essenziale, depurato di ogni fronzolo, che si affida alla camera in spalla e a un uso minimale della colonna sonora. Un lavoro di sottrazione, quindi, quello dei fratelli belgi, in palese antitesi con il cinema moderno, votato piuttosto all’accumulo.

 

Un cinema che tanto successo ha ottenuto nel corso degli anni al Festival di Cannes, riuscendo a conquistare diversi riconoscimenti, in primis le due Palme d’oro per Rosetta e L’Enfant. Capolavori della prima ora, assieme a Il Figlio. Solido passato documentaristico alle spalle e una forte vocazione a farsi cantori di un’umanità autentica, a volte disperata, altre ancora emarginata, completano il curriculum di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Il loro è cinema di incontri (e scontri), un cinema di sentimenti terribilmente umani e, per questo, veri.

 

E al centro dell’ultimo lavoro dei fratelli Dardenne si erge proprio uno dei sentimenti più umani e inafferrabili di tutti, il senso di colpa. Jenny Davin (una bravissima Adèle Haenel), è un giovane medico di famiglia, stimata e rispettata, completamente asservita alla propria professione, che svolge con estrema professionalità e dedizione. Una sera, ben oltre l’orario di chiusura del suo ambulatorio, lo squillo del citofono trova Jenny e il suo giovane stagista Julien nel mezzo di una discussione sul distacco che serve per essere un buon medico e poter fare una buna diagnosi. Contrariamente a quanto suggerisce Julien, Jenny decide di non rispondere al citofono. La scelta, apparentemente innocua, avrà conseguenze drammatiche. Il mattino seguente, infatti, la polizia informerà Jenny che la ragazza che aveva suonato al suo ambulatorio – alla disperata ricerca di un rifugio – è stata trovata senza vita, forse ammazzata.

 

 La ragazza senza nome 1

 

 

Preda dei sensi di colpa, Jenny – con ammirevole determinazione – prodigherà tutta se stessa per dare un senso a quella morte; per restituire un nome – e un’identità – a quella ragazza di origini africane, persa in un tragico e inspiegabile destino.

 

Un’altra dimensione preminente del cinema dei fratelli Dardenne è senz’altro quella politica. A partire da Rosetta per finire con questo La ragazza senza nome, passando per Il matrimonio di Lorna e, soprattutto, Due giorni, una notte. Perché raccontare l’altruismo di chi lotta per il riconoscimento dell’altrui identità è tanto politico quanto lo è parlare di salario e precariato.

 

Purtroppo, rispetto ai loro lavori precedenti, La ragazza senza nome non riesce a essere tagliente come dovrebbe (vorrebbe) e finisce per avere l’effetto di un bisturi spuntato. Una certa fretta nel concludere la vicenda – annacquando quanto di buono seminato nella prima parte – completa l’impressione di un film interessante, ma ricco di potenziale inespresso. Forse dilatare i tempi non ha aiutato i Dardenne, e ha finito per restituirci un film dal passo incerto.

 

In ogni caso, non si riesce a non apprezzare un cinema radicale come pochi altri, un microcosmo cinematografico da amare e conservare, nella speranza che, presto o tardi, qualcuno ne prenda esempio e, con coraggio, abbracci un diverso modo di raccontare storie, non nuovo ma sicuramente efficace.

 

Perché, come i Dardenne ci hanno ampiamente dimostrato nel corso della loro carriera, basta poco per denunciare, riflettere e trasmettere emozioni.

 

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