Pur rivolgendosi principalmente al popolo coreano, Train to Busan di Yeon Sang-ho si dimostra perfettamente esportabile anche oltre i confini nazionali.

É un giorno come tanti quando Seok-woo (Gong Yoo), manager finanziario, sale su un treno da Seoul per accompagnare la figlia di dieci anni dall’ex moglie a Busan. Sennonché un misterioso virus si diffonde a perdita d’occhio in Corea, mutando in zombie ogni soggetto che ne viene contagiato. Il panico si scatena in fretta nel momento in cui il virus comincia a mietere vittime anche fra i passeggeri, la cui unica speranza è di raggiungere vivi la città di Busan, rimasta ancora sicura. Poco importa delle cause, importa solo salvare se stessi. Anche se così non sembrano pensarla una coppia in dolce attesa, un senzatetto, due teenagers, un’anziana e una bambina (la bravissima Kim Soo-ahn): ultimo baluardo di un’umanità capace di empatia, coraggio e altruismo cui Seok-woo si unirà.

 

 Train to Busan 1

 

 Seoul Station, uscito nelle sale neppure un mese dopo Train to Busan, ne è il prequel animato, non esattamente una novità per il regista Yeon Sang-ho, affermatosi proprio grazie a lungometraggi d’animazione come The King of Pigs (2011) e The Fake (2013). Noto per l’estremo nichilismo con il quale dipinge personaggi e situazioni, va da sé che per Yeon l’apocalisse zombie sia in primis il pretesto per descrivere come gli uomini siano in grado di trasformarsi in mostri prima ancora di venire contagiati.

 

Partendo da una carriera quasi interamente percorsa nel mondo dell’animazione, Yeon riesce sorprendentemente a passare al live-action confezionando non solo un adrenalinico film di genere, ma anche un blockbuster di successo, tanto da essersi dimostrato facilmente esportabile all’estero. Dalla Francia (ove si è tenuta l’anteprima mondiale in occasione del Festival di Cannes) a Hong Kong e Stati Uniti, guadagnando – ad oggi – oltre 81 milioni di dollari.

 

Tuttavia vi sono due aspetti che fanno intuire come il destinatario principale dell’opera resti comunque il popolo coreano: il primo è proprio il virus, in qualità di potente livellatore sociale che democraticamente si abbatte su una società gerarchica e capitalista. Il secondo aspetto è da ricercare nella storia stessa del paese, ai tempi delle proteste studentesche degli anni Ottanta, richiamate sul piano diegetico dagli schermi televisivi sul treno che parlano di violente rivolte per le strade e di tempestivi interventi governativi.

 

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