Dalle Emoticons alle Emoji, ecco l'evoluzione dei nuovi linguaggi che stanno cambiando la storia della comunicazione.

Immaginate un romanzo. Immaginate tutte quelle parti descrittive che ci accompagnano in una storia, quei frammezzi che ci aiutano a capire le espressioni del volto e dell’animo dei nostri personaggi. Immaginate parole come corrucciato, indispettito, sorpreso, e mille altri aggettivi che, nella storia della letteratura, si sono sviluppati ed affinati per fare in modo che il lettore avesse una chiara immagine dello stato d’animo del personaggio di cui il narratore vuole parlare. Immaginate ora tutte le dispute sulla lingua, da Pietro Bembo e le sue Prose della volgar lingua del 1525 al dibattito ottocentesco che si risolse con Manzoni che risciacquò nell’Arno Renzo e Lucia, per dare così all’italiano una forma sempre più simile a quella in auge ora. Immaginate tutto questo, poi fate una bella pallina, come si fa con un vecchio appunto ritrovato in qualche cassetto, e mirate al cestino della spazzatura più vicino e, magari, immaginate pure di fare canestro. Perché se è vero che il processo di alfabetizzazione ha portato la lingua anche in posti dove prima non esisteva, è altrettanto vero che poi è arrivata la tecnologia ad uniformare definitivamente la situazione, in un modo tanto sbalorditivo quanto affascinante.

 

Tutta colpa di Forrest Gump, mi verrebbe da dire. Da quando si è pulito la faccia sporca di fango con una maglietta bianca, creando casualmente quello che tutti chiamiamo “Smiley”, il mondo della comunicazione ha iniziato a cambiare lentamente la sua faccia. Ovviamente, Gump è la leggenda che si racconta ai bambini, perché il padre della “faccina” è Harvey Ball, colui che per primo, era il 1963, riuscì ad intuire l’immediatezza di una semplice faccia gialla stilizzata. “Smiley”, “smile”, sorriso, ma anche qualcosa di più, qualcosa che si racchiude dietro un sorriso, che forse potremmo chiamare felicità. Insomma, in quella pallina, ancora lontana dalle nostre tastiere, già c’era tutto il nostro futuro, un futuro proiettato su due – ma anche tre o quattro – dimensioni. La dimensione reale e quella fittizia, la dimensione in cui sorridiamo per davvero e quella in cui lo facciamo capire, e poco importa se espressioni come “mi fai morire dal ridere” siano state sostituite da mille di questi mostricciattoli gialli che spruzzano lacrime di gioia dagli occhi. Poco importa, perché nei secoli abbiamo inventato milioni di metafore che servissero a chiarificare stati d’animo anche semplici, ma non siamo mai riusciti a raggiungere lo stesso effetto che le Emoticons prima e le Emoji poi hanno saputo offrire. Non sarà alta letteratura, non finiranno mai sulla costituzione di nessun paese, eppure sono nel nostro mondo, sono degli amici immaginari che ci accompagnano nell’arco della giornata. Sono l’evoluzione di un complesso sistema di comunicazione millenario.

 

storia della comunicazione 1

Harvey Ball, l’inventore dello Smile

 

Ho distinto tra Emoticons ed Emoji perché, ovviamente, parliamo di due cose diverse, sebbene una sia la conseguenza dell’altra. Le Emoticons sono figlie della punteggiatura, sono le classiche 🙂 sviluppate poi in =P o altri affini, e, sebbene talvolta si trasformino in faccine gialle e tonde, non hanno nulla a che vedere con le Emoji. Dalla crasi di “emotion” e “icons”, queste sono le prime faccine che sono comparse nel nostro vocabolario e che hanno mantenuto il primato almeno sino a quando Whatsapp non è entrato, oltre che nei nostri telefoni, anche nei nostri cuori. Ovviamente, con lo sviluppo delle tecnologie di supporto, si sono evoluti anche i mezzi comunicativi. Così, via i punti e le virgole, via le parentesi e le lettere, perché è stato creato un arsenale di micro-immagini che, pur sempre rispettando il principio della semplicità, riescono comunque a descrivere ogni sfaccettatura del nostro animo. Sono le Emoji – dove “e” più “moji” in giapponese vorrebbe dire pittogramma – e, malgrado esistano dal 1990, è solo nell’ultimo decennio che sono entrate nella nostra vita quotidiana. Insomma, se non si fosse capita la differenza, le Emoticons sono un prodotto artificiale della nostra lingua, giocando con la percezione visiva dei caratteri, mentre le Emoji sono una vera e propria lingua, nella quale A, B, C, o D sono state sostituite da faccette raffiguranti gatti che al posto degli occhi hanno cuoricini – per dirne una particolarmente cara agli amanti dei felini. È un sistema nemmeno troppo complesso, d’altronde, è arrivato a noi proprio con la convinzione di semplificare la nostra vita.

 

Ora, infatti, abbiamo un’immagine che ci ricordi ogni evento della nostra giornata. Da una tazza di caffè ad un treno, da un cocktail al dito medio, da un hamburger al sole o alla luna. Probabilmente più della metà di quelle che ci sono non le useremo mai nella vita, eppure ci sono, quasi a voler dimostrare la loro forza dirompente, la loro ambizione più recondita, per la quale forse, un giorno, non ci sarà più bisogno di scrivere parole. Utopia o distopia a parte, se prendiamo per intero il repertorio di Emoji che la nostra tastiera ci offre, possiamo notare come esse si siano sviluppate seguendo le direttrici che la società le ha indicato. McDonald’s e Starbucks sono ormai ovunque? No problem, ecco che, nel processo di globalizzazione, anche il nuovo alfabeto si è piegato al mercato, offrendoci numerosissime immagini che ricordano proprio quella sfera del consumo. Sono solo esempi, che mettono in luce le influenze di determinate componenti della nostra società. E le immagini del cibo sono, forse, quelle che più di tutte mettono in mostra la globalizzazione delle nostre culture. C’è un’immagine per ognuna delle principali tradizioni culinarie, dai noodles agli spaghetti, dagli hot dogs ai tacos, insomma, tutti i prodotti che hanno ormai sdoganato le frontiere e sono rintracciabili in ogni parte del mondo. Perché, come le Emoji stesse, non conoscono giurisdizione e possono essere comprese da tutti. Universalità ed uniformità del linguaggio, da un lato per abbattere le barriere transnazionali, dall’altro per offrirci la possibilità di mettere in chiaro le nostre emozioni senza dover essere per forza Ernest Hemingway. Così, sebbene alcune hanno finalità dubbie – soprattutto agli scopi pratici – altre invece sono riuscite a rendere leggibili emozioni più di quanto abbiano fatto mille altre parole, oppure, nella peggiore delle ipotesi, a dare parola anche a chi non avrebbe saputo cosa dire. E non prendiamoci in giro, perché rispondere con una faccina ci salva da inesplicabili silenzi e brutte figure che parrebbero garantite.

 

Storia della comunicazione 2

 

Sono figlie e specchio della nostra società, servono a rappresentare il nostro mondo forse meglio di quanto non riusciremmo a fare noi, con le parole. Sono stilizzate, ma anche umanizzate, soprattutto da quando possiamo scegliere se mandare il nostro pollice di assenso bianco, nero, marrone o giallo. Sono politicamente corrette, a volte ai limiti dello scorretto, quasi della presa in giro. Se sei omosessuale hai la tua Emoji personalizzata; checché ne dicano le leggi sulle adozioni, con le Emoji puoi anche avere un bambino, se sei invece musulmana puoi far indossare il velo anche alla tua faccina. Insomma, sono variazioni, sono piccoli strumenti che consentono ad un piccolo ceppo infuocato di diventare il più grande incendio della storia della comunicazione, in grado di ardere una miriade di rami secchi che, nel caso soprattutto della nostra lingua, custodiamo, fin troppo gelosamente, chiusi nei cassetti di accademici obsoleti. Non sono il male, o meglio, non sono ancora il male assoluto. Credo che demonizzare un nuovo modello comunicativo, che ci ha accompagnato non solo nella nostra quotidianità, ma anche nella nostra evoluzione – dai primi forum, a Windows Messenger, a Facebook o Whatsapp – offrendoci la possibilità di smettere di ponderare le parole, dandoci, quantomeno nel momento di un messaggio, la possibilità di far trasparire in maniera sempre più veritiera le nostre emozioni, sia un errore. Così come credo sia un errore sostituire una vera risata, una di quelle in cui senti gli occhi bruciare dalle lacrime e le mandibole contorcersi, con una faccina che rida al posto nostro. Ovviamente questo è il rovescio della medaglia, ma, per una volta, sarebbe logico riporre le teorie negative ed invece affacciarsi al nuovo millennio, seppur con quindici anni di ritardo.

 

Credo sia superfluo aggiungere al dibattito tutti quei valori etici e morali di vita sana che, intanto, non rispetteremo mai. Credo sia altamente nocivo fare i puristi della lingua quando, quella lingua sì casta e pura, è appannaggio di talmente tanto pochi da essere sconosciuta ai più. Non dobbiamo scordare che il progresso ha tanti lati negativi, ma parecchi positivi. Io scrivo, non solo per chi mi legge, ma anche per i fatti miei. Io ho studiato, mi sono laureato, posso dire di aver masticato talvolta la lingua di Dante e Petrarca, di essermi emozionato, è vero. Ma nessuna emozione che mi possa aver trasmesso la lingua italiana è lontanamente paragonabile alla prima volta che – anni fa – la mia prima ragazza mi mandò il primo cuore per messaggio. Non a caso, me lo ricordo ancora.

 

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