Sotto l’albero della Sub Pop i blasfemi, scomodi, irriverenti TAD.

Il Natale è dietro l’angolo e nell’atmosfera di buonismo forzato e aggressivo marketing di vendita, l’industria discografica si risveglia malamente proponendo cofanetti glitterati di Laura Pausini e Best of di qualsiasi gruppo che abbia sfornato almeno un paio di canzoni. Preferibilmente uscito da un Talent, magari con televoto.

Per chi ha gusti un po’ diversi, d’altronde, comprare musica è sempre più difficile, non esistono più negozi di dischi e il Web risulta essere un paese dei balocchi e allo stesso tempo un buco nero infinito in cui entri, ma come ne esci?

 

Fortunatamente ci pensa la Sub Pop, storica, immensa etichetta discografica di Seattle, a selezionare qualche prezioso gioiello del passato riproponendolo in nuova veste con qualche bonus track. In particolare la trilogia possente e graffiante dei TAD in versione Deluxe: i tre dischi God’s Balls (1989), Salt Lick (1990), 8-Way Santa (1991), con singoli assortiti dal 1988-1992, disponibili in vinile, cd o formato digitale.

La ristampa include del buon materiale bonus, brani tratti dal 7″ di debutto del 1988, pezzi mai pubblicati come Tuna Car, tracce dal singolo Wood Goblins, lo split con i Pussy Galore, gruppo noise di Washinghton e molto altro. La versione in vinile della ristampa sarà accompagnata da un LP bonus contenente tutto questo materiale aggiuntivo.

 

Finalmente un po’ di spazio a questa band incredibilmente sottovalutata all’epoca, ingiustamente declassata in un angolo del mercato discografico. Nonostante siano stati l’ultimo gruppo di Seattle a firmare per una major, la parte più significativa della loro carriera è decisamente quella che prese forma sotto l’ala protettrice della Sub Pop.

TAD 1

 

Capitanati dal possente ex macellaio Tad Doyle (136 kg di peso) alla chitarra ed alla voce, la band si formò nel tardo 1988, con Kurt Danielson al basso, Gary Thorstensen alla chitarra e Steve Wied (ex Skin Yard) alla batteria.

I Tad erano decisamente la band più pesante e meno accessibile della scena di quegli anni. Incarnavano alla perfezione quel ruolo di outsider sporchi, brutti e rumorosi, attraverso un rock sgraziato e irriverente. A differenza di altri colleghi, le loro influenze musicali si radicavano nel metal e non nel punk: influenze a metà strada tra Black Flag e Stooges, aggiornate con le nuove sonorità di Seattle e di Chicago.

 

Il loro inizio è rozzo, blasfemo, come sottolinea chiaramente il titolo dell’album God’s Balls, prodotto da Jack Endino. Il disco è diviso in 2 facciate, la prima intitolata Jesus e la seconda intitolata Judas, uno Yin e Yang provocatorio e dissacrante.

Si alternano accordi elementari dove la melodia è assolutamente bandita e il tutto è sovrastato dalla voce di Doyle, che più che cantare, sbraita in un urlo primordiale.

Tutto l’album è una fusione acida tra hard rock ed hardcore. Ci sono brani imperdibili, come Satan’s Chainsaw e Behemoth, dove la distorsione è la protagonista indiscussa e riff e voci pesanti sono ingredienti fondamentali.

 

 

Per promuovere il loro primo album, i TAD partono con i Nirvana per il tour europeo. Sette musicisti, la loro attrezzatura, un tour manager e un fonico stipati in un furgone Fiat per una quarantina di giorni. Oltre trenta concerti in piccoli locali e aneddoti ai limiti del raccontabile. Come sappiamo bene, non sono certo loro che tornano vincitori.

 

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Tad Doyle con Kurt Cobain, Roma

 

La loro corsa però procede, in sordina ma senza freno e nel 1990, esce Salt Lick, prodotto da Steve Albini (ideatore dei progetti Big Black e Rapeman negli ‘80), da cui infatti eredita in parte le coordinate stilistiche e compositive. Il risultato è un (mini)album più maturo del precedente, che non risparmia alcune piacevoli sorprese, come l’apertura melodica di Glue Machine dove addirittura appaiono accenni di chitarre acustiche. Potlatch ricorda i Big Black, mentre Hibernation preannuncia un’atmosfera che esploderà poi negli Helmet. Il suono cavernicolo si trasforma: l’evoluzione della specie è quindi possibile.

Nel 1991 esce il terzo lavoro, 8-Way Santa, con alla produzione del guru Butch Vig (che aveva già le mani in pasta nella produzione di Nevermind dei Nirvana e Gish degli Smashing Pumpkins).

8-Way Santa chiude la parentesi Sub Pop dei Tad, e lo fa per certi versi nel migliore dei modi con una ulteriore crescita compositiva.

 

Questo album è sicuramente il più melodico della band, l’unico disco dotato di un minimo appeal commerciale. La band non riuscì però a raccogliere a pieno i frutti di questo lavoro a causa dei problemi legali che l’etichetta dovette affrontare. In primis la causa intentata dai due soggetti, una coppia di ex hippy ritratti in copertina, che una volta riconosciutisi nella foto (immagine scovata a pochi dollari in un robivecchi) ne hanno preteso il ritiro immediato. A seguito della disputa legale, il disco venne ristampato con una copertina diversa raffigurante i membri del gruppo (fortunati i possessori con la cover originale!). La seconda disavventura era legata alla multinazionale Pepsi-Cola, che intentò una causa al gruppo per l’utilizzo indebito del loro logo sulla copertina del 45 giri Jack Pepsi. Grane giudiziarie a parte, 8-Way Santa è un disco meno ispido dei due precedenti. Gli episodi migliori del disco? decisamente l’incalzante Jinx e Delinquent, che riesce a entrarti in testa martellante, una clamorosa hit mancata.

 

Barlumi melodici si intravedono anche in Plague Years e 3-D Witch Hunt, mentre in Jack Pepsi elementi innovativi si intrecciano nella strofa, che risulta quasi rappata.

Jinx fu inserita nella colonna sonora del film Singles di Cameron Crowe, un manifesto generazionale (brutalmente tradotto in italiano: L’amore è un gioco), di basso spessore cinematografico, ma ad alto, altissimo contenuto musicale. Nell’intreccio trova spazio anche Tad Doyle, presentandosi in un Cameo esilarante di una manciata di secondi, che riassume in pieno il suo rapporto con la telecamera: nella scena la protagonista Bridget Fonda alza la cornetta, compone il numero, ed esprime in modo non equivoco la sua voglia, pensando di parlare con “il bello e dannato” Matt Dillon. Dall’altro capo del telefono risponde Tad, grasso, barbuto e assolutamente poco telegenico, che apprezza notevolmente l’invito della donna, che al momento della sua risposta però, capisce d’aver sbagliato numero.

 

 

D’altronde i TAD erano questo, un gruppo estremamente coerente, che non voleva e non poteva, per certi versi, essere piegato al mercato musicale di larga scala. Non c’erano accordi orecchiabili o particolarmente radiofonici, capelli biondi o cardigan sdruciti, niente di lontanamente iconico da poter essere impacchettato ad hoc in un video di MTV e lanciato in pasto agli adolescenti del momento. erano il lato ruvido, ironico, irriverente di una scena che già in quegli anni stava cambiando.

 

 

Dopo l’esperienza Sub Pop, i TAD stipularono un contatto con la Giant Records, etichetta di proprietà della Warner Bros, che porterà qualche buon disco (prodotto da J Mascis dei Dinosaur Jr.) tra il 1993 ed 1995, dalle vendite quasi inesistenti ma che ebbe il pregio di non svendere la loro personalità.

L’obiettivo di fare il salto di qualità fallisce, nonostante la band vada in tour per promuovere l’album come supporto ai Soundgarden. L’ambiente major è sicuramente più rigido e scomodo e sembra che la band non ce la faccia ad entrare “nel giro giusto”, il lato insofferente infatti riemerge nuovamente con un poster promozionale dell’album Ihhaler, che ritrae Bill Clinton che fuma uno spinello accompagnato dalla didascalia “This is Heavy Shit”.

 

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Un poster promozionale dell’album Ihhaler

 

La Giant incassa il colpo e visto le vendite non eccezionali dell’album decide di rescindere il contratto.

Per questo e per altri aneddoti simili I TAD vivono nella memoria dei più scrupolosi amanti del sound di Seattle, complici questi tre album che Sub Pop ci ripropone, che sono piccoli capolavori che suonano ancora oggi rudi e vivi, estremamente sinceri, che non scendono in nessun caso a compromessi.  Lusso che davvero in pochi si sono potuti permettere.

 

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