Un viaggio lungo tutta l'America che passa attraverso due grandi capolavori della letteratura americana: Furore e A sangue freddo.

Diversi anni prima che Kerouac scrivesse il romanzo di culto Sulla strada, l’America – reale e letteraria – era già stata percorsa da innumerevoli personaggi che inseguivano il proprio destino on the road: a piedi o sui treni merci nelle canzoni blues, su una zattera nelle Avventure di Huckleberry Finn e poi, finalmente, in macchina. Non a caso John Steinbeck, raccogliendo in un libro i propri articoli sui contadini dell’Oklahoma costretti dalla povertà a mettersi in viaggio per cercare fortuna a Ovest, sceglie il sottotitolo On the road to the Grapes of Wrath. Da questo reportage nasce Furore, pubblicato nel 1939, con cui Steinbeck trasforma i resoconti giornalistici in uno dei romanzi americani più di successo.

 

A Sangue Freddo 1

Foto di Walker Evans, Mississippi

 

Alcuni anni dopo, nel 1966, Truman Capote dà alle stampe A sangue freddo, in cui racconta il massacro di una famiglia del Kentucky messo in atto da due giovani, e la loro fuga sulle strade d’America. Anche in questo caso il racconto letterario si basa su un fatto realmente accaduto, tanto che l’autore scrive in una nota iniziale che «tutto il materiale del libro non derivato da […] osservazione diretta o è stato preso da registrazioni ufficiali o è il risultato di colloqui con le persone direttamente interessate».

 

Che cos’hanno in comune Furore e A sangue freddo, due romanzi comparsi in momenti profondamente diversi della storia americana? A prima vista, si può dire che entrambi sono percorsi dal simbolo Usa per eccellenza: la strada, lungo cui i protagonisti intraprendono un viaggio che dovrebbe permettergli di lasciarsi alle spalle le difficoltà per raggiungere una terra promessa, sia essa il Messico o la California. Eppure, c’è molto più di questo: l’analogia tra i due romanzi ha radici profonde e, se si ha la pazienza di seguirne il percorso, si può giungere al cuore di aspetti fondamentali della cultura americana.

 

Prima di tutto, entrambi i libri scandalizzarono molti lettori al momento della pubblicazione, facendo nascere polemiche e schieramenti opposti nell’opinione pubblica. Steinbeck e Capote furono criticati per il medesimo motivo: nei loro libri c’era un’eccessiva presenza di realtà. O meglio, c’erano aspetti della realtà sgradevoli, violenti e brutali, che non vengono smorzati o edulcorati in alcun modo:

 

Pa’ disse, a disagio: «Non lo possiamo fare a modo suo. Dobbiamo arrivare in California prima che finiamo i soldi». Tom intervenne: «Certe volte quando zappano capita che trovano un morto e fanno l’inferno perché si pensano che l’hanno ammazzato. Al governo gli interessano più i morti dei vivi. Magari se trovano Nonno fanno l’inferno per scoprire chi era e com’è morto. Io dico di mettere un biglietto dentro una bottiglia e lasciarla accanto a Nonno, con su scritto chi è e com’è morto, e perché è sepolto qui».  (Furore)

 

«Un attimo prima che gli chiudessi la bocca il signor Clutter mi domandò, e quelle furono le sue ultime parole, come stava sua moglie, se stava bene, e io dissi che era tutto a posto […]. Non lo stavo prendendo in giro. Non avevo intenzione di fargli del male. Mi pareva un signore molto simpatico. Cortese. La pensai così fino al momento in cui gli tagliai la gola». (A sangue freddo)

 

Steinbeck e Capote ci offrono la realtà così come si presenta ai loro occhi: i contadini hanno una visione del mondo spesso limitata, gli assassini uccidono per pochi spiccioli, molti innocenti soffrono ingiustamente. Alla decisione di rappresentare il mondo per quello che è, addirittura basandosi su vicende realmente accadute, si accompagna la scelta di occuparsi di personaggi che vivono ai margini della società organizzata, fuori dai limiti imposti dalle convenzioni.

 

Qui si gioca anche la grande differenza che divide i due romanzi: la famiglia Joad di Furore, nonostante sia costretta dalle circostanze a occupare i gradini più bassi della società, cerca di preservare la propria dignità. La loro marcia attraverso l’America assume così i contorni di una vicenda biblica, anche se Steinbeck non trasforma mai i personaggi in qualcosa di diverso da ciò che sono: contadini senza più terra né casa, con una scarsa conoscenza del mondo che li circonda. Al contrario i protagonisti di A sangue freddo, Dick e Perry, decidono deliberatamente di compiere un’azione malvagia, anche se nel corso del libro veniamo a sapere che entrambi hanno vissuto esperienze di violenza e degradazione, che, unite a una serie di scelte sbagliate, hanno limitato le loro possibilità di vivere una vita convenzionale, in linea con i fondamenti della morale comune.

 

In ogni caso, i protagonisti di entrambe le storie sono degli emarginati. Una volta che lo strappo dalla società si è verificato, che sia nell’infanzia o nell’età adulta, non c’è modo di tornare indietro. Nessuno dei due romanzi è una storia di redenzione, perché Steinbeck e Capote non cercano di dimostrare teorie astratte sul mondo secondo cui i poveri o i cattivi, purché rispettino certe condizioni, possono riscattarsi. Nella vita reale questo non accade quasi mai, e così deve essere anche in un libro che racconti il mondo in cui viviamo. Dunque i Joad, Dick e Perry non possono trovare posto nelle fattorie ben organizzate del Midwest, abitate da famiglie benestanti e rispettabili che rappresentano un mondo da cui sono stati esclusi. L’unico luogo in cui possono vivere gli emarginati, fin dalle origini della storia degli Stati Uniti, è la strada.

 

A Sangue Freddo 2

Foto di Stephen Shore

 

Le distanze infinite degli Usa diventano così il simbolo tangibile della possibilità di raggiungere una terra promessa (il Messico di Perry o la California dei Joad), lasciandosi alle spalle la propria sofferenza: bisogna solo essere disposti a proseguire ancora un po’, fino al confine dello Stato o della terraferma, secondo un mito della frontiera vecchio e nuovo allo stesso tempo:

 

E Noah disse pigramente: «Mi piacerebbe starmene qui. Mi piacerebbe starmene qui per sempre. Senza avere mai fame e senza essere mai triste. Starmene nell’acqua tutta la vita, a non far niente come un maiale nel fango».

E Tom, guardando le vette frastagliate di là dal fiume e i picchi aguzzi a valle: «Mai viste montagne così. Pare un paese morto. Pare fatto d’ossi di morto. Chissà se un giorno riusciamo a arrivare in qualche posto dove non tocca combattere colle pietre e le rocce. Avevo visto le fotografie d’un paese tutto in pianura e pieno di verde, e colle case bianche come dice Ma’. Ma’ sogna di starsene in una casa bianca. Mi sa che non c’è da nessuna parte quel paese lì. […]».

Pa’ disse: «Aspetta che arriviamo in California. Vedrai che bel posto». (Furore)

 

«Ma, accidenti, Dick. È semplicissimo» osservò. «[…] Una volta che siamo in Messico, una volta che abbiamo cominciato a darci da fare, laggiù, guadagneremo dei soldi. A palate».

«Come?»

«Come?…» cosa intendeva Dick? La domanda sbalordì Perry. Dopotutto, avevano discusso di tante e tali avventure. Caccia all’oro, immersioni in profondità alla ricerca di tesori affondati, questi erano solo due dei progetti che Perry aveva entusiasticamente proposto. E ce n’erano altri ancora. […] Ma delle molte risposte che avrebbe potuto dare, preferì rammentare a Dick il patrimonio che li attendeva sull’isola Cocos, un puntino di terra al largo della Costarica. (A sangue freddo)

 

Sulla strada, il migliore e il peggiore degli uomini viaggiano insieme. Non sono i valori morali ad accomunare coloro che decidono di mettersi on the road: sia l’onesta famiglia Joad sia i sadici assassini Dick e Perry intraprendono un viaggio su strada, ed è da qui che si sviluppa il legame tra romanzi diversi come Furore e A sangue freddo.

 

A Sangue Freddo 3

Foto di Stephen Shore, Oklahoma

 

Infatti, due aspetti fondamentali accomunano i protagonisti dei libri di Steinbeck e Capote: da un lato, come detto prima, la marginalità, dall’altro la ricerca incessante di una condizione di vita migliore. Ciò che rende simili tutti quelli che si mettono in viaggio è l’aspirazione alla felicità, per la quale si è disposti ad affrontare ostacoli continui, senza mai fermarsi lungo il percorso; è il motore con cui anche la Chevrolet più scassata d’America percorre miglia su miglia. Ma la ricerca della felicità, così importante da esser presente addirittura nella Dichiarazione di indipendenza americana, è una condizione che accomuna tutti gli uomini, non solo gli emarginati.

È così che torniamo al punto di partenza: Furore e A sangue freddo suscitarono scandalo perché rivelano che tutti gli uomini sono uguali, cioè che un contadino povero e semianalfabeta, un assassino spietato e il lettore sono legati dal desiderio inestinguibile di una vita migliore, magari di una terra promessa. Ma solo chi ha perso tutto è disposto a mettere in gioco la propria vita on the road; gli altri si limitano a guardare dalle finestre di abitazioni confortevoli e sicure. Grazie a Steinbeck e Capote, abbiamo la possibilità di uscire momentaneamente dalle nostre case, per mettere in discussione certezze e luoghi comuni.

 

Furore e A sangue freddo sono due romanzi che cercano di aderire il più possibile alla realtà, lasciando ben poco spazio alle metafore: terminata la lettura, il solo simbolo che ne emerge con contorni nitidi è quello della strada; è vecchio quanto l’origine degli Usa, ma non ha mai perso il potere di rivelare l’essenza dell’uomo.

 

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