Maiali che si confondono fra gli uomini, per non scordare che spesso l'uomo è il più animale degli animali.

“Il signor Jones, della Fattoria Padronale, aveva chiuso a chiave i pollai per la notte, ma era troppo ubriaco per ricordarsi di fissare anche gli sportellini. Col cerchio di luce della sua lanterna che ballonzolava da una parte all’altra, attraversò con passo malfermo il cortile, si sbarazzò a calci degli stivali sulla porta del retro, si spillò un ultimo bicchiere di birra dal barilotto nel retrocucina e poi salì fino in camera da letto, dove la signora Jones già russava”. Così inizia in modo quasi favolistico il romanzo di turbolenta pubblicazione La fattoria degli animali.

Errore ormai diffuso è quello di far leggere questa brillante satira orwelliana a studenti in tenera età che, non avendo gli strumenti per poter decifrare tutto quel sottosuolo narrativo che impervia per tutta l’opera, possono solamente apprezzarne la superficie, lo specchio della vera storia che Eric Athur Blair alias George Orwell vuole invece raccontare.

 

La fattoria degli animali 1

George Orwell, autore de La fattoria degli animali

 

Sin dalle prime battute la magia orwelliana prende corpo, un vecchio maiale che tutti chiamano il Vecchio Maggiore, rispettato dagli altri animali per via della sua lunga età che gli ha conferito una grande saggezza, con scaltrezza arringa i suoi compagni di stalla con un bel discorso, introducendo i fondamenti della teoria marxista: il lavoro di un animale produce più valore di quello necessario al suo mantenimento e il surplus viene prosciugato dall’uomo parassita.

Potremmo identificare il Vecchio Maggiore anche con Lenin poiché riesce a ridurre una complessa filosofia in massime facilmente comprensibili al resto degli animali; ma tre giorni dopo aver gettato le basi e gli ideali su cui la rivoluzione si dovrà basare, ovvero l’Animalismo, il Vecchio Maggiore morirà, mentre Lenin riuscì a guidare la Rivoluzione d’ottobre.

Le chiavi del futuro sono state svelate, ora tocca agli altri animali applicarle nel migliore dei modi.

 

La fattoria degli animali 2

Una delle frasi chiave del libro

 

Ogni animale rappresentato da Orwell è studiato con cura, niente è lasciato al caso, il maiale Palladineve dalla parlantina vivace può essere identificato con Lev Trotsky, un rivoluzionario sincero che si batterà con valore nella battaglia della stalla (Rivoluzione d’ottobre del 1917) che porterà al rovesciamento della dittatura di Jones (zar), del padrone, del nemico da sconfiggere, lo sfruttatore di un popolo.

Napoleone (Stalin) è un maiale corpulento, dall’aria feroce, non si districa altrettanto bene come il compagno Palladineve nei discorsi ai suoi compagni, ma riesce a distinguersi per via del suo opportunismo, la mancanza di freni morali; è disposto a tutto per arrivare al potere, usa una demagogia spicciola lasciando che il maiale Piffero vero e proprio propagandista, indottrini le pecore (le masse facilmente manipolabili) affinché belino slogan da usare a proprio vantaggio che si possano insidiare nella testa degli altri animali come una litania che non va più via.

 

Altre figure interessanti sono quelle del corvo Mosè (chiesa ortodossa) che cerca di fare più adepti possibili inculcando agli altri animali strane idee riguardanti un luogo bellissimo chiamato la Montagna di Zucchero Candito dove tutti potranno andare dopo la morte e quella di Boxer, cavallo instancabile atto a rappresentare il lavoratore sovietico incarnato nella realtà dal minatore Aleksej Stachanov.

 

La fattoria degli animali 3

Il minatore Aleksej Stachanov

 

Palladineve diventerà ossessionato dal mulino a vento non rendendosi conto che gli altri animali non riescono a stare al passo delle sue idee per il rinnovamento della fattoria e per questo Napoleone lo bandirà trattandolo come un traditore, accusandolo di sabotaggio, scaricandogli addosso le colpe di ogni evento negativo.

Ma i tempi peggiorano, i maiali e i cani inizieranno ad essere privilegiati, sfrutteranno i loro compagni per oziare e mangiare a sbafo a più non posso.

Per mantenere la sua autorità Napoleone si circonderà di cani rabbiosi (la polizia politica e lo squadrismo) pronti a sbranare chiunque si opponga al volere del nuovo despota.

La situazione inizia a precipitare, tutti lavorano come schiavi, le parole che Orwell ci consegna attraverso la cavalla Trifoglio, figura materna della stalla, scivolano dritte al cuore, sono tempi difficili, il malcontento è all’ordine del giorno.

 

“L’idea che Trifoglio si era fatta del futuro, se mai se n’era fatta una, era quella di una società di animali affrancati dalla fame e dalla frusta, una società di uguali in cui ciascuno avrebbe lavorato secondo le proprie capacità e i più forti avrebbero protetto i più deboli, come aveva fatto lei proteggendo con la zampa quella sperduta nidiata d’anatroccoli, la notte in cui il Maggiore aveva tenuto il suo discorso. Invece – e non capiva perché – erano arrivati tempi in cui nessuno osava dire ciò che pensava, in cui si aggiravano ovunque cani ringhiosi e crudeli, in cui si dovevano vedere i propri compagni fatti a pezzi dopo aver confessato delitti sconvolgenti. Non c’erano pensieri di rivolta o insubordinazione nella sua mente. Sapeva che, persino in quelle circostanze, adesso si stava molto meglio che ai tempi di Jones e che la necessità prioritaria era quella d’impedire il ritorno degli esseri umani. Qualsiasi cosa potesse accadere, lei sarebbe rimasta leale, avrebbe lavorato sodo, eseguendo gli ordini che le avrebbero impartito e accettando la guida di Napoleone. Eppure non era in questo che lei e gli altri animali avevano sperato, non era per questo che si erano tanto affannati. Non era per questo che avevano costruito il mulino a vento e sfidato le pallottole di Jones. Ecco quali erano i pensieri di Trifoglio, anche se le mancavano le parole per esprimerli”.

 

Sono pagine forti queste, la favola che molti ragazzi hanno letto si trasforma in un bagno di sangue, il terrore all’ordine del giorno, maiali che commerciano con gli uomini, birra che scorre a fiumi, fino ad arrivare alla tragica conclusione, la realizzazione del totalitarismo riassunta nel settimo comandamento dell’Animalismo appena modificato: Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri.

E’ lo spettro della fine, maiali che si confondono fra gli uomini, per non scordare che spesso l’uomo è il più animale degli animali.

 

*****

Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: Fedor Dostoevskij – La libertà del bene e del male.