Ecco la storia di uno dei locali più leggendari della musica: il CBGB, ovvero la casa del punk.

Josh Feigenbaum scrisse sul Soho Weekly la definizione perfetta per la musica dei Television, per quello che fu il CBGB, per quello che ha lasciato.

 

“The great thing about this band is they have absolutely no musical or socially redeeming characteristics and they know it”.

 

Libertà.

Finalmente.

 

Non se ne poteva più di canzoni impegnate, di poeti, di movimenti popolari, di decine e decine di migliaia di persone che non solo la sapevano più lunga di te, ma soprattutto sentivano, ahimè sì, la necessità di sparare a ripetizione come mitragliatrici caricate a fiori le loro idee. Tralasciando il fatto che una cosa del genere dovrebbe farvi saltare in mente una domanda del tipo: “cosa ha prodotto la rivoluzione di Give peace a Chance”!??!?!? Volendo poi soprassedere anche sulla risposta che la cosa più Punk in Europa ora è il fascismo, verso il CBGB, un luogo in cui bastava entrare per beccare almeno un’epatite e incontrare un bel po’ di persone interessanti, si prova affetto come per lo zio scapestrato che ritorna a casa e travolge tutti con i racconti dei suoi fallimenti, esplosivi, colorati come il film Les Triplettes de Belleville, per la gioia dei nipoti in visibilio, con gli altri familiari a scuotere la testa talmente forte e velocemente, al punto quasi di svitarsela.

 

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L’ingresso del CBGB

 

Céline nel suo libro Morte a credito racconta di uno zio molto particolare, lo Zio Edouard, un irregolare, che è l’unica gioia, il solo ricordo bello per il protagonista, durante un’infanzia brutta, sporca e cattiva. Il CBGB è la casa di zio Edouard.

Questo zio, che tutti incontravano nella Bowery, lui come quello del libro, permetteva ai suoi “nipoti” di fare casino, di gridare, di essere finalmente gioiosi e liberamente inconsistenti e giocosi, come mai nessuno prima gli aveva consentito. Se i fanatici sono quelli pericolosi, i più noiosi sono quelli in cerca d’autore, le anime in pena che vogliono salvare il mondo, in cerca di una causa da seguire per darsi un tono. Dall’esercito della salvezza ai boy scout, tutti uguali, nei secoli fedelissimi, sacrificano l’attuale per un futuro che è sempre e comunque nella loro testa.

 

Per fortuna al Country BlueGrass and Blues non c’entravano. Troppo poco igienico. Quelli così a un certo punto sviluppano una sorta di igiene parossistica, un amore incondizionato per tutto quello che è spugna e sapone. La loro necessità di pulizia diventa così potente da condurli addirittura a scorticare la sottile pellecchia che involucra i loro organi. No Trespassing!!! Another Brick in the wall per tenerli fuori. Al CBGB, il locale di zio, si entra solo senza motivo, no escatologia, nessuna causa prima. Zio Hilly Kristal, il fondatore del CBGB, senza un soldo, puzzolente come mai ed eroico come un profumo alla verbena spruzzato sotto le ascelle di un brahmano per strada a Calcutta, fu per decenni la garanzia che lì si suonasse musica e basta. 

 

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Hilly Kristal, proprietario storico del CBGB

 

– Zio Hilly ce la racconti una favola? – la voce si era alzata da una folla di strafatti.

– Certo. Vi racconto la mia vita. Lo sapete che una volta facevo il vetturino? Avevo una carrozza e accompagnavo i bambini al paese dei Balocchi. Poi un certo Pinocchio mi denunciò…

– Zio… dai! Metti su un po’ di musica.

– Ragazzi la dovete far voi la musica…

Dare a dei ragazzi la chance di fare musica non era certo una cosa nuova. In quella New York, soprattutto nelle periferie come la Bowery, al margine di ogni possibilità di emancipazione lavorativa, di ricchezza che risolve i problemi, la libertà erano il CBGB e altri posti simili, dove si poteva cantare, e una sorta di rito collettivo orgiastico, con o senza l’aiutino del doping, consolidava una comunità che non fosse un puro e semplice gruppo d’acquisto. Altrove? Impossibile.

 

C’era un principio sacrosanto da rispettare, quello della società americana della famiglia, del lavoro, del cercare un’occupazione, la società per intenderci degli anni ‘50, di Eisenhower, quell’idea di infilare la polvere sotto il tappeto, quando ad arrivare erano ospiti rigorosamente previsti:

– Oh… ma che sorpresa…

– Prego accomodatevi…

– Che splendida giornata oggi!

Pettinature con la forma di dischi volanti per le donne, taglio di capelli alla Johnny Unitas per gli uomini, colori vivissimi che sembravano risucchiare ogni luce viva per restituirla grigia, revivalati oggi, una sorta di ikea primordiale con il suo rassicurante conformismo, uomini e donne oggetto di design e progettazione, gli stessi protagonisti dei film di Ed Wood e delle distopie dell’epoca.

 

Ad un certo punto poi arrivò Kennedy, arrivarono le rivendicazioni sacrosante e giustissime delle minoranze, si alzò altissimo il mantra “I have a dream”. Nacque nel salotto di casa tranquillo, tra torte di mele e porridge di zia Mame, un nuovo modo di vedere le cose. Cominciarono gli anni ‘60, l’impegno sociale, i sogni, le utopie da realizzare. In questa sorta di percorso continuo, nel quale i diritti sono solo e soltanto possibili quando hai abbastanza denaro, perché dipendono dal censo e non certo dalla volontà generale, il CBGB è il gradino per cui si inciampa e ci si rompe la testa. È il disimpegno, ma più ancora, un disimpegno talmente sistematico, da diventare nichilismo.

 

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Crowd surfing durante un concerto al CBGB

 

Parliamo naturalmente di un nichilismo da bambini. Artisticamente, è il ritornare sul palcoscenico di quell’esigenza bambina d’onnipotenza appartenente in pittura a Picasso, il quale ci mise una vita a detta sua per imparare a dipingere come un bambino, lui che da bambino dipingeva già come Raffaello. È un modo di fare arte che non ha nulla a che spartire con il sociale e che la critica, una volta che è riuscita a irregimentarlo, lei braccio secolare dell’industria culturale, la muta da ruggito di rabbia giovane in una patetica e squallida rappresentazione contestatrice dell’ovvio, con formule banali e senza nessun vero potere rivoluzionario.

 

Il punk al CBGB, ha a che fare con Maldoror, con Lautremont, è la rivolta contro il romanticismo alla Hugo. Se i Canti di Maldoror furono un’estetica dell’orrido costruita su corpi in disfacimento, per noia e bambina volontà di distruzione, e sì perché i bambini sono i più cattivi a volte, l’opera di Hugo, il romanticismo che ne promanò, fu quella forza una volta dirompente, la profondità del cuore imbrigliata dalla comunicazione che standardizzò il sentimento, sul leit motiv borghese del “tutti siano buoni”. C’è la stessa differenza tra un fulmine, gratuito e idiota, e tra l’elettricità che illumina le strade più o meno ovunque alla stessa ora. Il CBGB fu una scarica elettrica roboante.

 

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Habituè del CBGB

 

Quando i Television dovettero cominciare, io ci scommetto, in quel tugurio schifoso, ritrovo abituale di scarafaggi poeti, sarà entrata una bella boccata di aria fresca. Mentre Dylan e i cantautori che sono talmente bravi da essere vomitati dall’industria culturale come poeti, continuavano a sfornare un sociale di altissimo livello, una visione estetica potente come un cocktail di psicofarmaci, autistica, totalmente e completamente autoreferenziale, un fancazzismo d’antan meravigliosamente leggero, roba forte e noisy, dava finalmente a chi non se ne fregava un cazzo la possibilità di non fregarsene un cazzo.

Bello eh?

Secondo me sì. La libertà nasce dove l’industria culturale finisce. Il punk, quello del CBCG, fu una stagione movimentata, fu una rivolta contro il sociale, contro ogni idea di giusto e sbagliato riferite al gusto. Un’estetica nuova dell’inconsistenza, nel cuore della società industriale, quando sembrava che un progresso delle idee stesse portando all’umanizzazione forzata di ogni aspetto, quando ormai sembrava che si realizzasse il prototipo perfetto dell’umano, per me mostruoso, un cyborg che come un Golem ha in fronte scritto EMET, verità, e così vive. Il punk è una pugnalata alla schiena del progresso applicato alla dimensione sociale, Comte e il positivismo furono assassinati, perché se la vita fosse questo eterno progresso, allora che senso avrebbe raccontare favole con un bel lieto fine? Il punk ci ricorda che la vita può sempre far schifo e che poggia sul niente, musicale in questo caso, suono scadente e ignorante.

 

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L’interno del locale

 

I primi furono i Television quindi a dare rilievo al locale aperto il 10 dicembre del 1973 da Hilly Kristal. Aveva trasformato un posto frequentato da biker ubriaconi che si prestarono poi a fargli da scagnozzi, in quello che sarebbe diventato il centro della scena punk di New York, un lurido orfanotrofio d’artisti.

La musica dei Television fu il primo vagito della new wave. Tom Verlaine, la personalità più significativa del gruppo, legato sentimentalmente per un certo periodo a Patti Smith, suonò la chitarra come groupies strafatte gridano ai concerti di Mick Jagger, tra le sue dita vibrò un coro di adolescenti vanesie, mentre nel cielo una Marquee Moon segnata come il viso colpito dal pugnale di un gaucho, illuminò serafica ogni cosa.

I Television sono ancora quanto di meglio si possa ascoltare per capire, dove, come, e soprattutto da quale mostruoso gigantesco gorilla femmina chiamata New York, sia stata partorita la new wave che avrebbe travolto il mondo. Grandi…

 

 

Grandi… Dicevamo come Patti Smith… anche lei suonò e visse gli anni del punk al CBGB, con la sua poesia underground, quella che appena pronunciata incendiava come napalm, simile al Duende di Garcia Lorca, l’anima delle cose che è una membrana nera, e che oggi, mentre altri soccombono a colpi di premi più che di artrosi, nata come una furia lirica simile a un branco di Horses del ‘73, si sarebbe ritrovata, donna bellissima e indomabile, adulta, ancora a colpi di Banga nel tentare di scuotere un’industria culturale che su di lei nulla ha potuto se non ascoltare Because the night, la canzone di un divieto. Perché la notte appartiene agli amanti, non ai cravattari discografici, né al pubblico lobotomizzato. Magnifica…

 

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Patti Smith al CBGB

 

Un giorno dallo zio si palesarono i Ramones, i più imitati, copiati, adorati. La spazzatura super commerciale figlia di una generazione le cui uniche tracce di idee e speranze giacciono bruciate su roghi tele/internettari che oggi insozza l’aria con le sue pessime vibrazioni, ottenebrando l’azzurro del cielo e levigando il cobalto dei fumi con il suo suono conformista, non fa altro che tributare i Ramones. Per fortuna però, come durante le serate al CBGB, la loro Blitzkrieg Bop continua, mentre Judy is a Punk e I wanna Be Sedated restano sul fronte di una battaglia fondamentale per il destino di tutto l’edificio culturale occidentale, riguardante non solo la musica.  A colpi di Rocket to Russia, con il loro esordio che fu una vera e propria dichiarazione di guerra, i Ramones sono ancora gli alfieri del disimpegno come gesto comico. La loro operazione estetica è capitale. Ad avercene di Ramones autentici.

 

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I Ramones posano davanti al locale

 

Prendere in giro la musica, violare il sancta sanctorum della musica sociale, dylaniata dalle solite questioni, con un riso caustico, con una leggera ironia che precipitava in comiche cadute, nei testi, tra le note che a forza di suonare, alla fine dovettero pure impararle, libera finalmente l’ascolto e le menti, oltre che le pelviche. Il riso è la chiave della libertà. È la sua espressione storica più vitale. È quello che nessuno può incatenare. Ci si può fidare solo di persone che sorridono e ridono davvero di gusto, si può star certi che non costringeranno mai nessuno a dare qualcosa contro la sua volontà. Forse ai Ramones si può imputare una colpa. Vero è che infatti, dopo i Ramones soprattutto, tutti si sentirono in dovere di cominciare a fondare gruppi, sempre pessimi. Eppure non si può dare ai padri e alle madri la colpa dell’idiozia filiale. A grande inizio, possono corrispondere ingloriosa fine dopo mediocre sopravvivenza. Furono memorabili… indiscutibilmente Gabba gabba hey

 

 

La quaterna perfetta la chiudono i mezzibusti, i Talking Heads, il genio di David Byrne, al servizio della crociata dei bambini che sarebbe partita alla conquista del mondo dal CBGB. Psycho killer, una per tutte, assolutamente perfetta. La musica, le parole, tutto al suo posto senza nessuno spazio per dubbi o incertezze. Questo per chi accusava il punk & dintorni di essere solo casino e il CBGB d’essere solo un luogo per tossici e ubriaconi.

 

I Talkin Heads nobilitarono la musica, il genio di David Byrne si sarebbe mostrato in tutta la sua grandezza al mondo, lasciando un patrimonio musicale degno dei più grandi musicisti di tutti i tempi. Il suono imbrigliato, masticato, misto, shakerato, gustoso, autentico, non come i beveroni proteici musicali di oggi, semplicemente salutari (?). Furono profeti. Il killer oggi ha quasi compiuto il suo lavoro. Lo spleen è diventato indolenza, mentre la lobotomia frontale prosegue con click e baith. La critica dei primi della classe, dei bambini più svegli, le teste appunto, ha mostrato come la nevrosi post-moderna (va tanto di moda da allora questa definizione) sia non solo peggiore di qualsiasi male anche fisico, ma sia una mattanza che riguarda tutti, perché in gioco c’è la capacità di sentire che una volta persa arrivederci Roma. Jack the Ripper o Psycho killer. Il primo ha avuto più pietà. Le sue vittime furono pochissime…

 

 

Zio con questa gente era molto felice. A un certo punto, poi per anni, fu strapieno, decine di persone, con un locale sempre più famoso e sempre più musicale. Alle volte bastava anche entrarci la mattina, quando non c’era nessuno, per sentire ugualmente delle vibrazioni di una potenza inaudita, la musica che era andata via, la voglia, la gioia di un gruppo di bambini.

A un certo punto però zio con un’altra generazione di ragazzi, ancora una volta condusse una crociata sanguinaria e violenta contro il conformismo.

Negli anni ‘80 che arrivarono successivamente, fu l’hardcore punk e anche allora fu figo. Prima che diventasse naturalmente un divertissement per ragazzi liceali il cui unico obiettivo fosse di scopare, oppure di “farlo con la persona giusta” alla Linkin’ Park. La gioia che trasudava dalle mura si era sciolta e gocciolava sul pavimento come vernice.

 

Furono gli anni degli Yuppies, gli anni ‘80, con il loro ottimismo monetario, la perfetta fusione delle due idee di società. Quella di Ike Eisenhauer e quella di JFK, unite dal capitalismo, dalla certezza che il lavoro e il raggiungimento della ricchezza come sua unica finalità fossero il senso della vita. Un’unione che aveva messo a tacere ogni forma di opposizione. E il sociale? I poeti? Anche la solfa del cantautorato impegnato era sempre più flebile, i Mr Tambourine man continuavano a suonare, ma ormai nessuno li sentiva più. Miami Vice e moto d’acqua, un attore presidente, un’auto parlante, i reduci del Vietnam, Magnum e la Ferrari, etc etc, il WRESTLING, TRUMP già da allora palazzinaro e parruccato, coprirono tutto con un velo di Maya fatto di acrilico. Inglobati, amati, ricordati. Finita l’ispirazione di quelli che avevano messo fiori nei cannoni. Charly Manson li aveva seppelliti, loro e la loro filosofia, con la follia omicida che si annidava nel più profondo cuore della filosofia hippie. Sarebbero ritornati dopo anni, con il ciarpame new age. Il punk? Suicidio. Non lo sentono più. E parlo di sentire non di ascoltare. I ragazzi del disimpegno al vetriolo si erano consumati. Produrre dischi, lavoro & manager, li avevano trasformati in macchine d’intrattenimento. Nella migliore delle ipotesi, o erano morti, o stavano morendo, oppure erano in cima alle classifiche raccontando ramazzottianamente i loro heart of glass. Blondie e dorati. Anche lei cominciò al CBGB e tutti la ricordano bellissima ed eterea…

 

 

I gruppi della stagione hardcore furono tanti e indimenticabili.

Rumore. Il noisy divenne ruggito sconclusionato e scomposto. Fu necessario per farsi sentire, alzare ancora di più il volume. La domenica, momento in cui si facevano i “Matinee day”, un ruggito violentissimo, decibel come cannonate infrangevano vetri e anime come fossero state bicchieri vuoti caduti dalle mani di ubriaconi narcotizzati. Alla fine dovettero smetterla con quelle giornate musicali, a causa delle risse.

 

Ci furono i Gorilla Biscuits, il cui nome stesso indica una natura selvaggia e rozza, unita però strettamente a un aspetto dolce, quasi tenero come un biscotto, di quelli che la mattina si mettono nel latte caldo che mamma ha lasciato in cucina. Insomma si diventa adulti, ma senza dimenticare l’affetto di mamma. L’album esplose come un fuoco d’artificio, fu uno Start Today nel nome e di fatto per la direzione che prese, una New Direction, dove le accelerazioni musicali si sposarono con un controcanto rabbioso, una sorta di memento, per dire al mondo che per quanto si fosse giovani e la voce potesse essere forte e chiara, non si sarebbe mai riusciti a stargli appresso a una musica velocissima. Il mondo accelerò con un capitalismo d’assalto e d’arrembaggio all’arma bianca. Nella direzione opposta, l’hardcore spinse a manetta, per dimenticare, per scomparire se necessario, per non essere uguali, ancora per l’anticonformismo sano di pochi, in periferia. 

 

 

I Sick it All furono ancora più cattivi. Le domeniche pomeriggio con loro, all’insegna di Blood Sweet and No Tears, non lasciarono tregua. Fu come se uno spirito notturno, una Banshee avesse deciso di passare i pomeriggi a fare shopping per strada e sbagliando strada, o forse per una sorta di affinità elettiva, fosse giunta al CBGB e saltata su un palco avesse cominciato a cantare. Loro rappresentano il termine medio tra punk e metal. Uno Step Down verso l’inferno, per ricordare che l’umano quando precipita non è simile a una roccia che prima o poi si ferma. La caduta per l’uomo è il Maelstroem. Non finisce. Sopratutto la domenica pomeriggio, prima di tornare a lavoro il lunedì.

 

Dopo gli anni ‘80 Hilly cominciò a invecchiare. Il CBGB nel 2006 chiuse, per i soldi, per le battaglie legali, perché Hilly che lo aveva perso sarebbe morto prima di tentare nel 2008 di riaprirlo da qualche altra parte, perché ormai per le Tortuga non c’è più posto. Oggi il CBGB è diventato un negozio dove roba costosa standard è venduta a ricconi standard in modo standard per vite standard.

Non va santificato. Va ricordato con la musica, con quanto di vivo oggi è rimasto. È stata una stagione entusiasmante e affinché altre possano esserci, non ne facciamo un santino, un’icona, un mantra. Era un posto vivo. Le cose vive muoiono. È il modo in cui la vita si rinnova, anche la vita musicale, e va bene così.

 

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