La scena rap italiana può sostituire la filosofia rock?

La morte del Rock’nRoll è forse il sacrificio divino per la salvezza della musica contemporanea. Ma, entrando in confini nazionali, può essere sostituito dalla scena rap italiana?

Il Rock, quello degli albori che ha condizionato generazioni anche grazie alla sua capacità di uscire dagli schemi, è diventato esso stesso uno schema destinato a sfumare, anche se lentamente, nel nulla. Prima ce ne renderemo conto, prima sarà possibile voltare pagina e cominciare a misurarsi con le realtà di oggi e comprendere che forse, in qualche modo, possiamo perfino ritenerci più fortunati di chi ci ha preceduto. Non sarà facile, ma proverò a raccontarvi il perché.

 

Oggettivamente, dovrebbe essere una cosa semplice accettare la realtà per quella che è. Ma, nella musica così come in tutti gli altri aspetti della vita, l’uomo è un animale nostalgico. Ingrato, direbbe Fedor Dostoevskij, ma io mi limito a definirlo nostalgico. Questa è una cosa positiva perché ci rende in qualche modo umani, diciamo; la nostalgia è un’emozione che implica ricordi riconducibili non soltanto all’udito, ma a tutti e 5 i sensi, dunque ben venga. Ma a volte, se non controllata, la nostalgia può diventare dannosa e trasformarsi in inerzia, che è la morte stessa delle emozioni. L’inerzia, appunto, con la quale ci siamo “trascinati” il Rock fino ad oggi (a ormai tre anni dal 2020), è sconcertante.

 

Tuttavia, non mi riferisco solamente al Rock in quanto Genere in sé (ricco di sfumature e di evoluzioni che negli anni hanno contraddistinto anche gli stessi autori) ma mi riferisco alle caratteristiche proprie, personali, caratteriali di questi artisti; dei modi con cui sono “esplosi” e con cui sono poi stati in grado di affermarsi, talvolta come Icone indissolubili nel tempo e nello spazio. Parlo del loro stile di vita, del loro approccio alla musica e alla personificazione dell’ambiente musicale ad un livello tale che se oggi sentiamo la parola “Rock”, probabilmente, la prima cosa a venirci in mente non è uno strumento musicale, ma un Artista.

 

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Alcune icone indissolubili del Rock

 

Questo, per deduzione, accade forse perché il vero tramite della musica non è uno strumento, ma una personalità. Quelle di cui una volta la scena mondiale pullulava, quella che per molti oggi manca totalmente. Ma non è così, perché oggi, in un mercato così esasperato e saturo come quello musicale, è proprio la personalità a fare la differenza. Può essere positiva o negativa, ma l’immagine necessaria ad un artista nata proprio con l’avvento del rock sulla scena mondiale, si è oggi evoluta in una qualità e in una differenziazione nei generi che è difficile da non notare, ma tuttavia possibile, se non rammentiamo la necessità ad andare avanti.

Abbiamo sotto gli occhi una generazione di artisti emergenti in grado di dare moltissimo all’aspetto comunicativo dell’espressione di genere.

 

Questa teoria sulla morte sacrificale del rock è una premessa. Un’ introduzione a quella che è una realtà già sotto gli occhi di tutti, ma forse sottovalutata o, peggio, snobbata.

Mi riferisco alla scena Rap, con un riferimento particolare a quella italiana.

Brevemente: il Rap, inteso come un contenitore a sua volta di diversi sottogeneri, oggi registra numeri e introiti da capogiro a livello internazionale e, con ritardo più che decennale, questa cosa sta (finalmente) accadendo anche in Italia.

Qui voglio sottolineare, appunto, quanto la realtà italiana sia ancora emarginata rispetto agli standard di altre realtà occidentali.

Ma suppongo questo isolamento durerà ancora poco.

Ci troviamo, infatti, in uno scenario che sembrerebbe saturo, ma che invece non lo è mai.

 

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La cultura rap si sta finalmente affermando anche in Italia

 

Il Rap, in tutte le loro sfumature, incarna quei sentimenti di ribellione verso la società che un tempo appartenevano proprio alla filosofia del rock. Il desiderio di evadere da una monotonia e da una situazione di disagio viene espressa direttamente dalle vittime di un mondo e di un tempo che dimentica chi non possiede.

L’ostentazione materialistica che viene mostrata in alcuni video del genere in questione, non è altro che la dimostrazione, come una vendetta, che chi viene dal basso può “farcela” e “ce l’ha fatta”; ha vinto la sua battaglia.

Questo non si limita banalmente a quello che molti identificano come una trappola consumistica, ma va ben oltre. Il Consumo viene inteso come una vendetta, non come una rotta da seguire, o peggio, una necessità. Perché chi viene “dal basso” è perfettamente al corrente di che cosa significhi non possedere altro che se stessi e non può temere nulla.

 

Ma non sarebbe neanche corretto intendere questo sfogo come fosse soltanto rabbia, perché se la si osserva e la si ascolta con attenzione, può anche essere gioia e sperimentazione, coraggio. Fame. Oggi più che mai la scena del Rap italiano mostra talenti affermati, ma soprattutto emergenti, con un potenziale poetico degno dei cantautori tanto rimpianti e del coraggio dei rocker ancora oggi giustamente celebrati.

Il rimpianto verso i vecchi artisti è lecito, sia chiaro, da Tupac a John Lennon, per intenderci, è comprensibile provare un po’ di nostalgia. Ma sarebbe troppo diminutivo considerare gli artisti di oggi sulla base di quelli passati semplicemente perché non sappiamo come sarebbero stati oggi.

 

 

In un mondo che mette sulla graticola chi non vende, creare arte è diventato un compito che va oltre l’introspezione degli artisti del passato. E’ esattamente lo step successivo.

 

Se crogiolarsi nell’immagine spettrale dei poeti del passato e provare nostalgia rimane per qualcuno ancora ragionevole, allora io posso alzare il tiro e pensare che forse, se De Andrè fosse nato negli anni novanta, oggi farebbe Rap e verrebbe snobbato dagli stessi che oggi, comprensibilmente, lo rimpiangono.

 

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