Federico Fellini con I Vitelloni passa con disinvoltura dalla poesia all’umorismo, dal fantastico al grottesco, dal magico al burlesco.

A m’arcord è la traduzione in dialetto romagnolo della frase “Io mi ricordo” e già dal titolo il “romagnolo” Fellini dichiara i suoi intenti: ricordare gli anni dell’adolescenza trascorsi a Rimini. Quindi, un film della memoria nel quale il regista ricompone il suo universo adolescenziale attingendo soprattutto alla fantasia che l’aiuta a ricostruire il “magico” borgo in cui trascorse i primi vent’anni della sua vita come fosse un teatrino o la pista di un circo dove far muovere le sue marionette e i suoi clown.
Siamo negli anni Trenta, quelli del fascismo trionfante e della proclamazione dell’impero sabaudo-mussoliniano, e il contrasto fra le ambizioni di grandezza dell’Italia e la misera realtà della sua provincia genera situazioni paradossali.

 

Fellini utilizza proprio il paradosso per riesumare dal baule della sua memoria i luoghi, i personaggi e i fatti del suo vissuto. I primi resi fantastici dal passare degli anni, i secondi rivisti con il distacco del tempo e ridisegnati con tratti caricaturali, gli ultimi ricordati con immutato candido stupore di ragazzo.
Fondendo tutti questi ingredienti fra loro, Fellini cucina un tipico menù romagnolo condito con le musiche del grande Nino Rota. In Amarcord ritroviamo i sapori e gli umori di una terra sanguigna che l’autore racconta con amore e nostalgia. I personaggi sembrano arrivare sullo schermo direttamente dal carosello finale di Otto e mezzo. Sono caricature, macchiette, alcuni solo semplici fantasmi che sembrano usciti dalla matita del primo Fellini che lasciò la sua città natale proprio per fare il disegnatore satirico prima a Firenze e poi a Roma.

 

La barista Gradisca, la Volpina, l’avvocato, lo zio matto, don Balosa, il preside e i professori, il proprietario del cinema Fulgor, muovendosi come in una vignetta, conferiscono coralità al film che ha in Titta non un protagonista ma un filo conduttore a cui è affidato il compito di legare fra loro personaggi e situazioni.
Seppur visti con la tenerezza del ricordo, gli eventi che scandiscono la vita del Borgo sono rappresentati umoristicamente in netta contrapposizione al modo retorico e altisonante in cui venivano vissuti negli anni Trenta.
Il passaggio del transatlantico Rex, quello delle Mille Miglia, la festa per il Natale di Roma, la liturgia delle feste religiose vengono riproposte in maniera burlesca.

 

Fellini riesce a “suonare” in Amarcord tutte le corde a lui più congeniali passando con disinvoltura dalla poesia all’umorismo, dal fantastico al grottesco, dal magico al burlesco tanto da creare un universo irreale che si distacca dalle originarie storie della provincia romagnola per assumere i contorni di metafore dell’esistenza dal valore universale. Per questo il film fu fino alla sua uscita apprezzato in tutto il mondo ottenendo il premio Oscar come miglior film straniero nel 1974.