Marquee Moon, il capolavoro dei Television, tra decadentismo, irruenza poetica e alienazione metropolitana.

In una sera di metà luglio di un paio di anni fa, i Television portarono Il capolavoro Marquee Moon a Firenze. Lo fecero con la classe che li contraddistingue da sempre, in un luogo magico: Il teatro Romano di Fiesole.

Quando presi posto sulla gradinata del teatro romano, riuscii a sentire la vibrazione porosa di un luogo millenario, caratterizzato da una storia inconfondibile. Un’energia sprigionata dal luogo, ma anche da quello che avrebbe accolto da lì a poco. Forse non è un caso che una pietra miliare della New Wave fosse suonata in un luogo così epico. Forse a tutto c’è un perché.

Si abbassarono le luci ed è come se il tempo si fosse contratto quando Tom Verlaine attaccò Prove it. Sorrisi e rimasi a bocca aperta perché l’incantesimo delle sei corde non si era spezzato, anzi.

Come se non fossero passati quasi quaranta anni, come se si ascoltasse tutto per la prima volta, come risuona un gran disco senza tempo. Tutt’altro che polveroso il risultato.

Inutile dirlo, fu un concerto incredibile.

 

Marquee Moon

I Television dal vivo

 

D’altronde, poteva andare diversamente?  Marquee Moon uscì nel Febbraio 1977 in America e fu una perla rara nel panorama discografico statunitense, un capolavoro assoluto che conquisterà la critica di tutto il mondo. In patria vendette poco, il panorama musicale statunitense era troppo dispersivo e il disco troppo proiettato in avanti per idee compositive e stilistiche per poterne apprendere le potenzialità.  Verlaine e soci spopoleranno invece in Inghilterra, influenzando non poco il passaggio alle forme più desolate della New Wave di Joy Division, Echo & The Bunnymen, Cure, Siouxsie and The Banshees, Smiths e tanti altri.

 

Ma facciamo un passo indietro: Siamo nella sporca e violenta New York della metà degli anni 70. Una città dissestata e degradata, assediata da droga, delinquenza, ingiustizie sociali e inquinamento. La Grande Mela è un brulicante laboratorio a cielo aperto dove tutto, dalle strade di Brooklyn ai palazzi malfamati del Queens, sembra sprigionare un nuovo estro creativo. La città diventa il centro ideale di una musica studiata come sfogo dei propri malcontenti generazionali, e il CBGB, storico locale di Hilly Kristall nel Lower East Side di Manhattan, il palco prediletto per accogliere tutto questo dove già gravitavano Ramones, Blondie, Patti Smith.

 

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Patti Smith e Tom Verlaine

 

Tom Verlaine (all’anagrafe Thomas Miller) emerse come Patti Smith dagli ambienti intellettuali di Manhattan. Affascinato dalla poesia decadente, come testimonia il suo pseudonimo, si destreggiava come scaricatore di porto e commesso di libreria.  Ebbe una formazione classica e nutriva un interesse sconfinato per le opere di Wagner, ma anche per il free jazz di John Coltrane e Albert Ayler, e con questo background raggiunse la conversione chitarristica nella tarda adolescenza, sedotto dalle partiture di ‘19th Nervous Breakdown’ dei Rolling Stones e ‘All Day And All Of The Night’ dei Kinks.

In coppia con Billy Ficca, Verlaine incontra nel 1972 Richard Hell, redattore di una fanzine underground. Con Richard Lloyd alla chitarra ritmica i ragazzi formano il trio proto-punk Neon Boys. Due anni dopo Fred Smith sostituisce Hell al basso, Ficca passa alla batteria e Verlaine prende in pugno le redini del gruppo, mutando il nome in Television.

 

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Tom Verlaine con Richard Hell

 

Verlaine nel frattempo si procura con la nuova formazione la scrittura al CBGB, così da potersi esibire ogni domenica al locale. Musicalmente i Television si ispirano ad un altro grande gruppo newyorkese, i Velvet Underground. Il loro suono si distacca quindi dall’aggressività del Punk, eppure ne conserva la carica, le chitarre hanno poca distorsione, ma creano linee melodiche incredibilmente dinamiche e cariche di giri ipnotici.

Insieme a quanto stavano facendo Devo e Ultravox, ma soprattutto i Pere Ubu in Ohio, che con la loro Modern Dance urlavano la desolazione urbana e la paura per il futuro, la musica dei Television definì di fatto l’estetica della New wave: alterare la canzone rock con gesti sonori che esprimono le nevrosi della gioventù cresciuta senza gli ideali degli anni ’60.

 

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I Pere Ubu

 

Definire il termine New Wave non è facile, era un’etichetta pronta all’uso per catalogare quei gruppi che pur non suonando musica punk in senso stretto, avevano forti legami con essa. In realtà dietro c’era molto di più. Alla base del movimento c’era un recupero dei più disparati generi musicali (dal progressive al garage, dal rock’n’roll al soul, dalla psichedelia al rhythm and blues, dall’hard al funky) rielaborati in una sintesi che è cosa nuova rispetto al passato per gusto, sensibilità e contesto storico. La New Wave diventa quindi un approccio stilistico cosciente e motivato.

Verlaine rientra pienamente in questa nuova ottica e innanzitutto nobilita il ruolo della chitarra elettrica, elevandola a linea guida della canzone, proprio nel mezzo di una stagione, quella del punk, che ne aveva declassato l’importanza. Infatti mentre la canzone punk supera raramente i tre accordi e i due minuti e mezzo di durata, la dimensione preferita di Verlaine e compagni è composta da jam alienate e desolate, figlie della psichedelia dei Grateful Dead, che si trascinano maestosamente in agonie interminabili. La voce strozzata di Verlaine è tesa e nevrotica, mentre il suo canto può considerarsi una variante elegante del recitato perverso di Lou Reed.

 

Nell’Agosto del 1976, il gruppo firmò un contratto discografico con la Elektra Records, la stessa dei Love e di Doors e nel settembre 1976 Marquee Moon venne registrato presso l’A & R di  New York.

 

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I Television a New York nel 1977, anno di uscita di Marquee Moon

 

Il disco è una struggente rivisitazione della vecchia psichedelia underground, un mosaico di accompagnamenti dissonanti e assoli stranianti, che strizzano l’occhio al free jazz ma anche al blues con riff ricchi di arpeggi.  La chitarra di Verlaine suona acida, stridula, straniante, assecondando le tonalità gutturali del suo canto un po’ alienato. I testi si rifanno all’ immaginario urbano e sono ricchi di riferimenti a Lower Manhattan, ai temi dell’adolescenza e comunque sempre fortemente influenzati dalla poesia dei poeti maledetti francesi. L’uso di giochi di parole e doppi sensi conferisce alle canzoni un taglio impressionista che descrive la percezione di un’esperienza, piuttosto che fornirne i dettagli.

Le note algide di See No Evil, aprono Marquee Moon. Uno scampanellare di chitarre e un poderoso giro di basso che percorre tutta la sua durata, gli strumenti che si scambiano di continuo, sino al finale, un ripetersi infinito della stessa frase, che poi sfuma nella successiva Venus.

Incredibile questa seconda traccia dell’album dalle reminiscenze sixties (c’è aria di Byrds) che contiene in sé un universo parallelo, un inseguimento di un affilato fraseggio di chitarra con coretti avvolgenti e allusivi, piccole magie percussive e un assolo misteriosamente vellutato. Da lacrime. Una melodia di sfuggevole bellezza, dal testo magico e surreale. Ma è soprattutto la cristallina voce di Verlaine ad emozionare, seducente ed evocativa.

 

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Gli autori di Marquee Moon in una rivista degli anno 70

 

E’ invece acida e black l’atmosfera in Friction, con un certo profumo funky: anche qui la ritmica ovviamente non è lineare ma si alternano esplosioni, rallentamenti e accelerazioni.

Poi appare Marquee Moon, cuore dell’album e sintesi incredibile della poetica dei Television: qui Lloyd e Verlaine si concedono un altro memorabile duello-dialogo a suon di corde sfiorate, sviolinate, contorte. Sono dieci minuti netti di una ballata vibrante nella sua pennellata impressionista, tra echi di Velvet Underground ed improvvisazioni alla Coltrane, trascinando l’ascoltatore in un crescendo quasi catartico, purificatorio. Ciò che però colpisce maggiormente è lo straordinario timbro delle sei corde, che da sofferto, lacerante, dissonante, diventa aereo ed impalpabile.

 

La seconda parte del disco si apre con Elevation, caratterizzata da echi psichedelici. Pezzo che riesce a toccare i tasti di un indefinito dolore, con un chorus perentorio, il tutto sigillato da un organo che chiude meravigliosamente il cerchio. Dal melodramma scivoliamo nella grazia incantata di Guiding Light, dove a rallegrarci troviamo la morbida presenza di un piano ed il frastagliarsi vivace degli arpeggi. E c’è pure modo di dare libero sfogo al sarcasmo grazie agli umori esotici di Prove It, con un estroso Ficca ai tamburi.

Con Torn Curtain, brano dalle tinte buie e drammatiche, cala il sipario, splendida nel suo incedere lento, maestoso ed allo stesso tempo suggestivo, densa di malessere e spleen esistenziale reso dall’urlo agonizzante della chitarra di Verlaine.

 

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Le urla agonizzanti della chitarra di Verlaine risuonano in tutto Marquee Moon

 

Molte delle canzoni furono registrate in presa diretta, tra cui la title-track. Le registrazioni finali sono state lasciate senza particolari interventi o effetti, senza fronzoli. Condizione necessaria per Verlaine, che voleva mantenere il suono il più limpido e cristallino possibile.

Completa il tutto la cover del disco, uno scatto del grande e controverso fotografo newyorkese Robert Mapplethorpe, grande amico di Patti Smith di cui aveva scattato la foto di copertina dell’album Horse. La foto ritrae Verlaine un passo di fronte al resto del gruppo, in una posa nervosa e ieratica. Quando Mapplethorpe consegnò alla band lo scatto, Lloyd lo portò in una tipografia a Times Square per poterne fare delle fotocopie a colori e confrontarsi insieme agli altri. Le copie vennero alterate nei colori, che risultarono molto più saturi, freddi e irreali rispetto allo scatto originale. Dopo aver mostrato al gruppo l’originale e la copia, la band scelse quast’ ultima, decisamente più in linea con la loro onirica poesia.

 

A volte nella vita è bello prendersi del tempo. Non ne serve molto, a volte basta poco. Quindi se avete 45 minuti liberi e volete fare un’esperienza sensoriale incredibile, un viaggio dentro voi stessi, un giro irreale e notturno che sia tra il Queens e il Lower Manhattan o dietro l’angolo di casa vostra, che vi permetta di vedere il fondo più buio, ma vi assicura una risalita lenta e felice, beh sapete cosa fare. Aggrappatevi a una delle chitarre più innovative di sempre, ascoltatelo e inchinatevi: è Marquee Moon.

 

 

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