Ryan Adams riesce ogni volta a lasciare un segno nuovo e netto, nonostante la sua musica rimanga sempre la stessa.

David (che adesso tutti conoscono come Ryan Adams) è nato il 5 novembre del 1974.

È il mezzano di tre fratelli e la sua infanzia non può definirsi felice e spensierata. Un tratto comune di tutti i grandi artisti, no? Avere un passato che incombe sempre sul presente.

 

Suo padre se ne andò di casa quando aveva 5 anni e, da quel momento, David crebbe insieme ai nonni. A 8 anni cominciò a scrivere racconti e filastrocche e a 14 prese in mano una chitarra elettrica e non la lasciò più. Dopo aver fatto parte di una serie di band, il nostro ragazzo si rese conto che, da solo, avrebbe fatto di meglio: doveva cercare altrove e trovare la propria strada. Così, all’età di 26 anni, la trova e pubblica il suo primo album Heartbreaker: l’atmosfera folk-rock ricorda Bob Dylan, anche tratti di Neil Young e il nostro David, ora Ryan Adams, si dimostra fin da subito un eccezionale chitarrista e un cantante più che dotato.

 

Da lì in poi, Ryan non fa che partorire un lavoro dopo l’altro. Nel 2001 esce Gold, dove sperimenta genere diversi: rock, blues, lenti, ballate rock… un vero e proprio eclettico insomma. E i primi successi cominciano ad arrivare: ottiene tre nomination ai Grammy e l’album raggiunge il numero di 364mila copie vendute, portando così alla consacrazione di Ryan nella scena musicale internazionale. In più, la frase “Still love you, though, New York” della traccia New York, New York diventa lo slogan di MTV nei giorni seguenti all’11 settembre, poiché nel video del brano, girato 4 giorni prima degli attentati, vi appaiono sullo sfondo le Torri Gemelle.

 

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A 8 anni Ryan Adams cominciò a scrivere racconti e filastrocche e a 14 prese in mano una chitarra elettrica

 

Nel 2002 Ryan Adams aveva in progetto di fare uscire 5 (sì, cinque) album, ma alla fine pubblica soltanto Demolition, raccolta delle canzoni preferite dei cinque differenti progetti e in cui continua a sperimentare generi differenti. L’anno successivo incide Love is Hell, che però non viene apprezzato dalla sua etichetta discografica: Ryan rientra così in studio due settimane più tardi e ne tira fuori Rock N Roll, pubblicato per primo nel 2003 e seguito poco dopo da Love is Hell, che riesce a nascere da un accordo tra Adams e Lost Highway (la casa discografica) secondo il quale i due album sarebbero usciti come due EP a distanza di un mese l’uno dall’altro. Love is Hell esce suddiviso in due parti: la prima nel dicembre del 2003, la seconda nel maggio del 2004.

 

Nel 2005 Ryan pubblica tre album: Cold Roses e Jacksonville City Nights realizzati in collaborazione con i The Cardinals, band creata e fronteggiata da Ryan a partire dal 2004, e 29, lavoro invece da solista.

Nel 2006 parte per un tour mondiale in cui presenta diversi brani inediti che verranno pubblicati nel 2007 nel suo nono album Easy Tiger, realizzato anche questo insieme alla band. Dopo un periodo di totale dipendenza da alcol e diverse sostanze, Ryan parte in tour con i Cardinals, come band di supporto degli Oasis e nel 2008 realizza, sempre insieme alla band, Cardinology.

Nel 2010 escono Orion (album da solista) e III/IV, composto da due CD realizzati con i Cardinals e che saranno gli ultimi lavori della band.

Non si ferma mai e nel 2011 esce Ashes & Fire, nel 2014 pubblica Ryan Adams e nel 2015 realizza 1989, versione personale dell’omonimo album di Taylor Swift.

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Ed eccoci qui oggi, poco dopo la pubblicazione del sedicesimo disco: Prisoner è uscito il 17 febbraio scorso ed è composto da 12 tracce. Ancora una volta, Ryan conferma di essere un grande artista: la chitarra non ha segreti per lui e la sua voce se la gestisce come vuole. Creativo, tormentato, disinvolto. Nella sua semplicità riesce sempre a colpire nel segno, mantenendo la sua identità musicale impeccabile.  

 

Il disco si apre con Do You Still Love Me?, brano rock, che ricorda qualcosa del sound degli U2 e il cui motivetto “Do you still love me, babe?” entra nella testa dopo il primo ascolto. Ovviamente, racconta di un amore andato male, ma in cui ancora si spera: forse c’è ancora qualcosa da dare e da prendere. La seconda traccia è Prisoner, perfettamente nello stile di Ryan, descrive la sensazione di sentirsi rinchiusi e prigionieri dell’amore, perché, quando ci finisci dentro, non ne esci più. Per quanto quel sentimento possa essere sbagliato, è tuo e lo sarà sempre: sei un criminale.

 

 

Terza traccia: Doomsday, dove l’armonica, elemento dominante della musica di Ryan, torna a farsi sentire, aprendo il brano. E si continua a parlare d’amore, di come è sempre tutto complicato, ma comunque irrinunciabile. Poi c’è Haunted House che, con la chitarra protagonista, invece racconta di quei momenti di solitudine e distruzione in cui si diventa come una casa abbandonata: nessuno ci abita e nessuno ci andrà. E allora bisogna uscirne: non si può vivere da soli e a pezzi per sempre, la vita è troppo breve per sprecarla in questo modo e non c’è nessun posto per cadere. Shiver And Shake è il quinto brano che, con un sottofondo di chitarra elettrica (probabilmente semiacustica), fa retromarcia, tornando a parlare di quell’amore finito troppo presto. Non si riesce a respirare, si trema perché manca e mancherà sempre. E si continua con lo stesso mood anche in To Be Without You che non lascia spazio a un ritornello: bisogna ascoltare e ricordare tutto, anche se il punto fondamentale è che è così difficile essere senza di te che sembra non esserci soluzione. Anything I Say To You Now si struttura su una chitarra elettrica e una batteria che accompagnano la voce. L’argomento? Ancora una volta il tormento della relazione.

 

L’ottava traccia, Breakdown, inizia con un arpeggio di chitarra acustica che fa venire la pelle d’oca. In più, ovviamente, non racconta di quanto sono buone le caramelle, ma di un dolore che non può più essere nascosto.

Outbound Train è forse la migliore traccia del disco: quando non sai cosa fare e quando tutto è fermo, l’amore ti salva nel mezzo della notte. E ancora una volta, come in questo e in tutti gli altri album, la chitarra è indispensabile perché, solo con il suo suono, le parole assumono un senso.

 

 

Decima traccia, Broken Anyway, perfetta per un viaggio in macchina, ma è meglio non ascoltarla la sera… a letto… da soli. E il messaggio è uno solo: tanto valeva colpirlo, era rotto comunque. Penultimo brano, Tightrope e più si arriva alla fine, più si va per sottrazione: ci sono sempre meno strumenti, bisogna lasciare spazio all’essenzialità che, alla fine, fa sempre più effetto di qualsiasi elaborata costruzione. Ultimo, ma non ultimo, We Disappear, della serie “finiamo con il botto” e raccontiamo di come tutto cambia e rimane sempre uguale. Però vale sempre la pena provarci.

 

Non lo so come fa a non annoiare mai. So solo che Ryan Adams riesce ogni volta a lasciare un segno nuovo e netto, nonostante la sua musica rimanga sempre la stessa.