Con Jackie torna al cinema un Pablo Larraín sottotono, aiutato da una splendida interpretazione di Natalie Portman.

Jackie: un titolo che contiene un diminutivo, che sottolinea inmediatamente il senso di un nome semplice, accessibile a tutti e, per tanto, di una forza mediatica e sociale  che ha fatto la storia degli Stati Uniti. Con queste intenzioni, il regista Pablo Larraín costruisce, perciò, una pellicola intima che è un delicato ed introspettivo ritratto di una delle donne simbolo degli anni Sessanta, Jacqueline Kennedy, interpretata da Natalie Portman.

È inevitabile non notare immediatamente l’avvicinamento quasi magnetico della cinepresa al volto di Natalie-Jackie, in continui primi piani che risaltano l’intimità emotiva della protagonista, ma che rappresentano, nello stesso tempo, il rischio più grande, ovvero quello di sovrapporre inevitabilmente l’immagine di due personaggi di una certa fama, che sembrano quasi confondersi. I primi piani come scelta narrativa dimostrano l’interesse di Lorraín a svelare tutte le emozioni vissute dalla Kennedy dal giorno dell’attentato a Dallas, quel maledetto 22 novembre del 1963, in poi. Si passa dalla gioia di un progetto di governo ricco di speranza e di cambiamento per il Paese, portato avanti dal marito John, fino alla disillusione di un sogno interrotto, che lasciò gli statunitensi orfani e ormai lontani da quel nuovo vento di opportunità.

 

Natalie Portman è il film: incarna tutta la tensione e la responsabilità di Jacqueline, una donna che passa dall’aver ottenuto tutto all’averlo perso in pochissimo tempo. Il suo magnetismo è magistrale, le sue espressioni mettono in luce il sacrificio di Jackie, e poi la paura, ma anche la forza, quella che ha tirato fuori nel non arrendersi, anche dopo l’attentato.

 

Jackie 2

Jackie è interpretata da una splendida Natalie Portman

 

Inoltre, Larraín ha un’enorme capacità di costruire la sacralità del luogo-simbolo della vita dei Kennedy, qual è la Casa Bianca, attraverso le scene che ricreano lo stesso film che Jackie aveva realizzato per mostrare la loro vita all’interno di quella casa. La composizione delle sequenze alternate (prima, durante e dopo l’attentato) risaltano ancor di più questo intento: un luogo perfetto, pieno di illusioni e speranze, macchiato dal sangue del vestito e dei guanti di Jackie quando ritorna piena di dolore, dopo l’assassinio di suo marito, camminando tra le stanze di quel luogo e creando un’immagine quasi inquietante. L’illusione e la disillusione si fondono, l’amore e la morte, il bianco della casa e il rosso del sangue. Un ossimoro che dà forza alla protagonista, senza alcun dubbio, giacchè lei stessa nella realtà visse questo tormentato cambio di emozioni.

 

Ma una tale strategia non ha giovato al film in sè che possiede, purtroppo, un ritmo debole. La presenza solo accennata del fratello di John Kennedy, Bobby, non viene risaltata come si dovrebbe, nonostante in quel momento storico lui stesso acquisì un’enorme influenza politica; le scene dell’intervista a Jackie non hanno forza visiva nè narrativa di spessore, nonostante siano state volute per ricreare, probabilmente, un effetto ricordo; e l’attentato come fulcro monotematico intorno al quale ruota tutta la storia risulta spesso pesante.

 

La forza della pellicola, insomma, è tutta concentrata su Natalie Portman che apporta una grande intensità visuale al film, grazie alla sua espressività e al suo carisma. La pellicola,  però, resta immobile nella sua intimità  e non è in grado di concentrarsi sul resto: l’esterno, l’ambiente circostante e gli altri personaggi non sono così necessari, rappresentano quasi delle ombre che poco fanno e poco regalano al ritmo della narrazione. Ringraziamo la Portman per averci regalato, comunque, una grande interpretazione.

 

Più ombre che luci in Jackie di Pablo Larraín; a risaltare è allora l’interpretazione di Natalie Portman che porta sullo schermo Jacqueline Kennedy.

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