The Velvet Underground & Nico è un'opera monumentale senza tempo, senza età.

Peel slowly and seeEra l’unica indicazione sulla copertina del famoso album The Velvet Underground & Nico, pubblicato il 12 Marzo del 1967 dall’etichetta Verve Records.

Una provocazione  pura e semplice, collocata in copertina senza nessuna altra informazione, a parte la firma dell’autore Andy Warhol . Scelta estremamente innovativa, non solo per l’uso degli stilemi della pop-art che fino ad allora si erano visti raramente, ma anche per una straordinaria  invenzione:  la  possibilità  di  rimuovere  la  banana-adesivo  per  rivelare  l’immagine della  sottostante  banana rosa shocking, fortemente  evocativa  e  provocatoria.

La  fotografia  sul  retro  (l’attore Eric Emerson  che fa la verticale) compare solo nella prima tiratura del disco per essere poi ritirata per motivi legali. Emerson infatti, fece causa per guadagnare qualche soldo, dichiarando che quella foto fosse stata  usata senza il suo permesso e l’etichetta ritirò il disco, ristampandolo poi senza  l’immagine incriminata.

 

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La famosa copertina di The Velvet Underground & Nico

 

A mezzo secolo dalla sua registrazione, l’album The Velvet Underground & Nico suona ancora estremamente trasgressivo,  nichilista,  avanguardistico. Impossibile non inserirlo tra le  pietre miliari del rock, precursore di generi  determinanti come  punk e new wave.

Era il 1964 quando John Cale conobbe LouReed ad una festa a New York. John Cale era un musicista ventiduenne di formazione classica, un prodigioso talento giovanile del Galles meridionale amante della viola, arrivato in America da poco più di un anno. Riuscì ad inserirsi  profondamente  nell’avanguardia artistica del Lower East Side di New York, cuore pulsante della comunità di musicisti sperimentali, compositori eccentrici, poeti,  artisti e cineasti.

 

Lewis Allan Reed detto Lou, anche lui ventiduenne, era  laureato alla Syracuse in letteratura inglese , amico del poeta libertino Delmore Schwartz, che artisticamente lo influenzò tutta la vita. Conduceva una trasmissione radiofonica serale e collaborava come compositore su commissione per la piccola etichetta di musica commerciale Pickwick .

 

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Lou Reed e John Cale durante la prma ripresa televisiva dei Velvet Underground nel 1965

 

I due pur avendo un background completamente diverso andarono subito d’accordo. Fu un incontro esplosivo. Lou aveva già composto I’m Waiting For The Man e Heroin. Li suonava però con la chitarra acustica prendendo le forme di canzoni di folk music. Cale odiava il folk, ma adorava il ritmo e i temi trattati da Lou Reed.  Intravide in questi due pezzi del forte potenziale e sentì che ci poteva essere la possibilità di fare qualcosa di realmente diverso, combinare il lato letterario di Lou e la sua formazione classica e associare tutto allo spirito del rock’n’roll.

Questa combinazione li avrebbe portati  dove nessun altro  mai era arrivato e nessun altro stava andando.

 

Partirono dal nome, Velvet Underground,  ispirandosi al titolo di un “libro spinto”  di Michael Leigh che parla di sadomasochismo, trovato da un amico di Cale in una latrina di New York. Chiamano in aiuto il chitarrista (e bassista) Sterling Morrison, che Reed conosce dai tempi dell’università, e il batterista Angus MacLise.

 

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La copertina del libro che ha ispirato il nome della band

 

La band debuttò l’11 dicembre 1965 esibendosi davanti ad un pubblico inizialmente perplesso, e poi allibito, una reazione che ben presto divenne la norma.  E non poteva che essere così, utilizzavano sonorità  distorte  con trame sonore squilibrate, ripetizioni stridenti,  feedback improvvisi, armonie prolungate. Parlavano di personalità solitarie, emarginati, evocando un mondo di estasi e tormento. Quello che fecero veramente i Velvet Underground fu contrapporre una sana psichedelia pessimista al dilagante ottimismo di San Francisco.

 

New York nel frattempo stava cambiando, uno studio al quinto piano di un palazzo , al 231 East 47th Street diventò il cuore pulsante di una vera e propria rivoluzione artistica. Era la Factory di Andy Warhol. Nata come punto di ritrovo per artisti, vi orbitarono numerosi personaggi, un vero e proprio entourage per Warhol (le ‘Superstar’), che lavorava giorno e notte ai suoi dipinti.

 

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Andy Warhol, il genio pop art che scovò i Velvet Underground

 

Andy e il suo collaboratore Paul Morrissey, stavano cercando un gruppo rock and roll da promuovere quando vennero invitati dal ballerino Gerad Manlanga al Cafe Bizarre per vedere un gruppo “interessante”.

 

Il Cafe Bizarre era uno stanzone lungo e stretto con segatura sparsa sul pavimento, un po’ di tavoli e, allineate sulle pareti, lampade coperte da reti da pesca. Era un giovedì sera e i Velvet Underground iniziarono a suonare con la nuova  batterista Maureen Moe Tucker, subentrata al posto di MacLise, con un set minimale composto da rullante, piatto e grancassa orizzontale (senza usare i piedi). Andy  si rese immediatamente conto che con un gruppo del genere avrebbe potuto lavorare. Erano in sintonia con il suo modo di intendere l’arte più di qualsiasi altro gruppo rock che avesse visto: rifiutavano di accettare qualsiasi forma di ordine prestabilito o limitazione.

 

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I Velvet Underground al Café Bizarre nel 1965

 

L’idea pop di Andy Warhol in fondo, era che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, quindi naturalmente in quel periodo tutti stavano tentando di fare tutto. Nessuno voleva rimanere in una categoria, volevamo tutti estendere l’attività verso ogni possibile cosa creativa.

Warhol vorrà i Velvet Underground nel suo show, intitolato prima Andy Warhol Up-Tight poi The Exploding Plastic Inevitable,  uno spettacolo multimediale dall’impatto sonoro e visivo, una miscellanea di musica, luci, filmati e danza ai limiti dell’isteria.

 

 

Aveva però l’impressione che al gruppo mancasse qualcosa, più precisamente un cantante solista, perché non riteneva che Lou avesse abbastanza personalità per guidare il gruppo. Alla band serviva una bellezza oggettiva che contrastasse quella sorta di stridente bruttezza che cercavano di vendere. Ecco che quindi entra in scena la modella tedesca Christa Päffgen, in arte Nico.

Warhol impose la sua presenza nel gruppo, sbilanciando gli equilibri già molto labili. Nico era una dea lunare, bellissima e con una profonda voce baritonale e spettrale. Originaria di Colonia, aveva già fatto la comparsa ne La Tempesta di Alberto Lattuada e ne La Dolce Vita di Federico Fellini.

 

 

Fu Bob Dylan ad introdurla nella Factory e ovviamente Warhol se ne innamorò immediatamente e la volle in alcuni corti realizzati insieme al regista Paul Morrissey, per poi proporla come cantante nei Velvet underground. La sua presenza nella band turberà l’altra primadonna del gruppo (Lou Reed) innescando tra i due un rapporto di odio-amore catulliano.

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Lou Reed con Nico, 1965

 

Nel Gennaio 1966 i Velvet underground si esibiscono per la prima volta sponsorizzati da Warhol al Delmonico’s, il lussuoso Hotel di Manhattan. Andy era stato invitato a tenere un discorso alla Società di Psichiatria Clinica di New York. Ovviamente non parla e mette in scena i Velvet Underground. Suonano Heroin a un pubblico di psichiatri stupefatti e assolutamente contrariati, mentre sullo schermo che fa da sfondo viene proiettato il film di un uomo legato a una sedia e torturato. Scandalo ai massimi livelli.

 

Warhol prese la band sotto la sua ala protettrice e attraverso la Factory, produsse il disco d’esordio: The Velvet Underground & Nico che fu registrato in due soli giorni nell’aprile del 1966 nei fatiscenti Scepter Studios di New York. Le incisioni vennero finanziate da Warhol e dalla Columbia Records, che si interessò con la speranza di poter vendere il prodotto ad un’altra compagnia. Columbia, Atlantic Records e Elektra Records rifiutarono, ma la piccola etichetta jazz Verve Records, che era molto interessata al rock più sperimentale, accettò.  Andy Warhol venne formalmente accreditato nelle note del disco come produttore dell’album, in realtà  ebbe un’influenza relativamente minima per quanto riguarda le scelte prettamente musicali, quasi totalmente affidate a Tom Wilson.

 

 

Il disco è palesemente  uno degli album più importanti del Novecento, uno spartiacque definitivo tra due epoche e due modi di concepire la musica rock. L’accoppiata chitarristica Lou Reed-Sterling Morrison, il “factotum” John Cale (viola, pianoforte, basso), la presenza fatale di  Nico e la batterista donna, Maureen Tucker, sono una reazione chimica devastante. Moderni come nessun loro contemporaneo, ma impregnati di uno stile selvaggio, Lou Reed e soci riescono a forgiare un suono unico , con una viola elettrica, una chitarra in piena distorsione con il volume sempre al massimo.

 

Oltre ad arare il terreno a punk, new wave, rock alternativo, introduce forti innovazioni nei testi. Mai prima di loro la vita metropolitana e solitudine, perversione e deviazione sessuale, alienazione e uso di droga erano stati trattati in maniera così esplicita.

 

 

L’album è un magma ipnotico, che parte con la spiazzante  Sunday Morning,  una ballata eterea e a tratti paranoica. Un carillon metallico che il produttore Tom Wilson avrebbe voluto che fosse cantato da Nico, ma Lou Reed pretese che fosse lui a cantarla con una intonazione femminea di altissimo livello.

 

La martellante I’m Waiting for the Man è caratterizzata da un insistente piano boogie  che dialoga con  chitarre elettriche quasi punk.  È il racconto di una giornata di “shopping” a Harlem. Il protagonista entra nel quartiere nero e si ferma ad aspettare The man, slang per definire lo spacciatore di fiducia. Con i suoi ventisei dollari in mano, il ragazzo incontra strani soggetti, in uno dei quartieri più loschi di New York City.  Il piano che conclude il pezzo plana dolcemente su Femme Fatale che Nico interpreta alla perfezione.

 L’apocalittica Venus in Furs, uno dei capolavori dell’album, è ispirata al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. Ha un’atmosfera decadente, claustrofobica e sensuale  resa perfettamente dai violini psicotici di John Cale, che graffiano insistentemente la canzone. Run Run Run  è invece un brano essenzialmente Rock n’ Roll con lunghi assoli di chitarra elettrica.

 

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I Velvet Underground al completo

 

Poi, ecco All Tomorrow’s Parties (la preferita di Warhol) cronistoria della vita e dei frequentatori della Factory e ultimo brano del lato A, su vinile. Segue Heroin, cruda ma seducente descrizione del tunnel-eroina, raccontata nei dettagli più feroci. Parte lentamente, poi cresce e si velocizza fino al crescendo totalizzante di rumore, poi ritorna a piegarsi su se stessa. Una parabola musicalmente metaforica.

 

L’orecchiabile There she goes again, alleggerisce un po’ i toni con il suo taglio pop e lascia il posto a I’ll Be Your Mirror, delicata canzone d’amore scritta da Reed per essere cantata da Nico. Dedicata al primo amore di Lou, Shelley Albin, e forse anche alla stessa Nico, con la quale Reed all’epoca ebbe una breve, controversa relazione.

La dissonante e sinistra The Black Angel’s Death Song ha un curioso testo montato su una serie di immagini onomatopeiche, nonsensi e associazioni verbali senza un particolare significato. Sulla canzone circola una celebre leggenda metropolitana confermata anche da Sterling Morrison,  si dice che la sera stessa che i Velvet Underground suonarono la canzone per la prima volta in pubblico, furono licenziati in tronco dal proprietario del locale in cui si esibivano.

 

Chiude il disco European Son, un brano di 10 minuti che fonde varie specialità del gruppo: le chitarre sono distorte al punto da diventare aguzze ed insieme agli immancabili violini di John Cale, danno vita ad una lunga coda strumentale dominata da distorsioni e feedback di chitarra.

 

 

Troppo avanti per la loro epoca, il gruppo dal punto di vista commerciale fu un completo fallimento. L’album debuttò nella classifica di Billboard il 13 maggio 1967 posizionandosi al 199º posto per poi raggiungere la posizione massima numero 195 il 10 giugno 1967. A causa dei controversi contenuti dell’album, delle tematiche scabrose dei brani fu quasi immediatamente bandito in molti negozi di dischi. Molte stazioni radio si rifiutarono di mandare in onda le canzoni e anche alcuni giornali si rifiutarono di pubblicizzarlo o di recensirlo.

 

L’equilibrio all’interno della band si spezza presto. Nico non si sente abbastanza valorizzata nel gruppo, vorrebbe avere più spazio ma il suo rapporto con Reed è estremamente instabile. Reed vuole cantare i propri brani e cede solo quelle poche canzoni che ha appositamente scritto per Nico. La lotta per la leadership porta all’abbandono di Nico e al distacco dall’orbita warholiana. Anche a New York Reed e compagni cominciano a incontrare la diffidenza di chi vede in loro il germe della decadenza e della rovina.

 

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I Velvet Underground con Andy Warhol

 

Dopo un secondo album provocatorio, fatto di scontri tra eccessi e narcisismi, i Velvet sono dati per finiti nel 1968. Rinascono, poi, con due ultimi album più sereni e riflessivi, che annunciano però la carriera da solista di Lou Reed.

 

Con il loro album di debutto i Velvet Underground diedero al rock dimensioni inedite, segnando l’ascesa del rock decadente e della distorsione.

A mezzo secolo dall’uscita rimane senza dubbio uno dei più convincenti album di debutto della storia del rock. La magia del gruppo durò poco, ma è tutta lì, concentrata in undici tracce intoccabili e senza tempo.

 

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