Il riscatto dal carcere raccontato da un ex rapinatore e spacciatore col mito di Blow.

«Dal 1999 al 2007 ho iniziato a subire pene detentive per un totale di tre anni di carcere, un anno e otto mesi di domiciliari e un anno e sei mesi di sorveglianza speciale, che significa uscire e rincasare in certi orari, divieto di frequentazioni di locali pubblici, niente telefonino, divieto d’intrattenersi con più di una persona in strada, niente automezzi e, ovviamente, divieto di frequentare pregiudicati.

I reati: associazione mafiosa, traffico di droga.

Durante la mia detenzione sono sempre stato nel carcere di Foggia, che è organizzato così: ci sono i cubicoli 3 metri per 1,80, più o meno, per l’idea che mi sono fatto io, non avevo certo gli strumenti per prendere le misure… dovrebbe contenere due detenuti ma si arrivava a quattro, a volte cinque persone; nei cameroni (6 x 5, sempre più o meno) nei quali avrebbero dovuto starci in cinque s’arrivava a sette, otto unità. Sono stato una volta in un camerone, poi sempre nei cubicoli. Una regola non scritta dice che se hai accumulato una buona anzianità detentiva puoi scegliere  il compagno.»

 

[Già nel 2012 CISL e FNS – Federazione Nazionale Sicurezza denunciarono la situazione del carcere di Foggia definendola grave sotto ogni punto di vista, sia per la sicurezza e le condizioni dei lavoratori, sia per lo stato degradante dei detenuti, e non fanno eccezione i vicini istutiti penitenziari di Lucera e San Severo. A Foggia nel 2012, 750 detenuti hanno occupato uno spazio previsto per 350 detenuti]

 

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L’ingresso del carcere di Foggia

 

«Di solito non si sta molto in un solo carcere, dopo un po’ ti mandano via per non permetterti di farti stringere amicizie e per non farti prendere padronanza del posto. Se, però, ti sai comportare, può darsi che ti lascino lì più a lungo. Se inizi a discutere con gli altri detenuti e col personale carcerario ti mandano altrove. Dentro si dice che devi “imparare a camminare”, avere rispetto di tutti, ad esempio quando arrivano le infermiere devi farti trovare vestito, composto, in ordine, non devi aspettare che te lo dica la guardia. I tossici quando arrivano hanno cinque giorni di tempo per fare il trattamento. Se non riesci a disintossicarti e dai fastidio, te ne devi andare.

Devi comportarti bene anche se poi ti manderanno via, perché la tua storia ti raggiunge ovunque. Arriva sempre qualcuno che ti conosce e fa sapere agli altri chi sei e cosa hai fatto prima e durante il carcere. Infami, pedofili, non sono ben accetti. Anche rubare un pacchetto di sigarette può segnarti a vita in carcere. Tutto questo finisce sul “libro di sorveglianza”, che indica se hai problemi esistenziali o di padronanza nei comportamenti, libro che il giudice controlla quando richiedi dei permessi. Quando arrivò da noi il giudice Domenico Mascolo alcune cose migliorarono, è una persona molto umana, come il personale della polizia penitenziaria. Il Carcere di Foggia è una struttura giovane.»

 

[Sempre la relazione del 2012 parla del carcere di Foggia come struttura giovane in quanto sorto circa quaranta anni fa, e può certamente definirsi tale in confronto ad altre carceri ricavate da strutture del 1700-1800]

 

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Anche rubare un pacchetto di sigarette può segnarti a vita in carcere

 

 «Spero che presto si adotteranno delle “aree verdi” (senza divisioni o barriere) per i colloqui con i parenti come a Larino. Mentre so di alcune carceri che adottano ancora la “linea azzurra” alla sinistra della quale camminano i detenuti, dall’altra parte la polizia.

Così è davvero dura sentirsi un essere umano, soprattutto quando hai 4 ore d’aria al giorno, dalle 09:00 alle 11:00 e dalle 13:00 alle 15:00. La doccia? O nei giorni pari o in quelli dispari, anche se hai cinque minuti di tempo per farla ce la contavano come un’intera ora d’aria. Solo qualche “personaggio” può farla durare dieci minuti, chi non è nessuno non può. E ci si lava in mutande, per rispetto. Quando c’ero io funzionavano solo due docce su quattro, per 600 detenuti. Il bagno deve avere la finestrella sempre aperta, qualunque cosa tu faccia. Per la masturbazione usavamo un trucchetto molto diffuso che consisteva nell’appendere dei fazzoletti a questa finestrella. Se il personale se ne accorgeva ci ammoniva, ma almeno avevamo un attimo per poterci sistemare.

Queste però non erano le cose peggiori. La cucina era pessima, ma credo sia normale visto che è attrezzata per preparare il cibo a un certo numero di persone e deve invece organizzarsi per quasi il doppio. Alcuni a volte rimanevano senza mangiare. Nelle cucine erano previste attività anche per noi detenuti, come la lavanderia, la manutenzione e le pulizie. So che a Sulmona si svolgono anche attività lavorative, mentre a Foggia fanno corsi di sartoria, inglese, geometra. Io sono riuscito a diplomarmi in geometra, senza nessuna agevolazione.»

 

[Federazione Nazionale Sicurezza- Cisl in tal senso ha dichiarato che la linea del sindacato è quella della promozione del lavoro all’esterno per i detenuti. Bisogna però individuare le sezioni e gli enti preparati a realizzare questa pratica, già realtà a Milano e Rieti. Quella che viene definita la Sorveglianza Dinamica è già realtà in altre nazioni ed è una reale valvola di sfogo e di abbassamento dell’indice di tensione detentiva. Il segretario nazionale D’ambrosio ha precisato: “Al momento il personale carcerario non può garantire un servizio di qualità per via del continuo stato di emergenza che non ci premette di fare una programmazione. Non meno importanti sono le attività proposte ai detenuti: corsi di sartoria, pizzeria, teatro, sono molto importanti per garantire la vivibilità della pena, rende migliore la detenzione e diminuisce la tensione all’interno del carcere permettendo una migliore gestione generale”]

 

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Le attività proposte ai detenuti sono molto importanti per garantire la vivibilità della pena

 

«Poi c’è la Chiesa con la messa domenicale. Di tanto in tanto passa il prete e ti chiede come stai. A Foggia se ne occupava il sacerdote della chiesa di Sant’Anna (la prima chiesa in Puglia dove ha risieduto Padre Pio prima di andare a San Giovanni Rotondo, ndr), una brava persona. A parte questo c’è poco altro da fare, se calcoli che alle 15:00 hai finito l’ultimo momento libero, poi si aspetta il giorno dopo occupandosi di piccole cose: sistemare, cucinare, giocare a carte, che ci impegnava più tempo della televisione. I giornali dovrebbero essere gratuiti ma non si vedono mai arrivare. Così ci si gioca la merenda o il caffè a “tresette”. Ogni tanto scrivevo ai miei cari, tutt’ora scrivo ad un mio amico che è ancora detenuto. Una volta strinsi amicizia con un pezzo grosso che, uscito, mi mandò fogli e venti francobolli. Quando sei dentro, queste cose hanno molto valore: tutto ciò che viene “dalla libertà”: una maglia, una foto, un pigiama. Gli odori, gli abbracci e ti ricordi com’è fuori. Dentro c’è un detto: “Quando ti metti nel letto, dal lato della verità, tutti sanno piangere in silenzio”, significa che anche se non devi far trasparire la sofferenza, è normale che a tutti manchino gli affetti, i propri luoghi. E non tutti reggono la pressione di una situazione del genere.

 

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Non tutti reggono la pressione di una situazione del genere

 

Nel 2002 ho salvato un marocchino che ha tentato di suicidarsi incidendosi le braccia con la latta dei pomodori pelati. Provate a notare le braccia dei nordafricani che hanno avuto esperienza di carcere, molti hanno cicatrici sugli avambracci. Alcuni per sottrarsi a questo stress preferiscono dichiararsi tossici per farsi affidare a comunità residenziali o semiresidenziali. Lo fanno con l’obbiettivo di scappare, molti alla fine vengono ripresi e devono ricominciare peggio di prima. Io no. Un’assistente sociale mi aveva parlato di questa possibilità di andare in comunità, ma non volevo risultare un tossico, perché non lo sono. Ho voluto scontare la mia pena a crudo, con una telefonata al mese, con tanto di richieste ed accertamenti. Aspettando il giorno del colloquio come un matrimonio, con una preparazione che inizia dal mattino, con l’emozione al massimo. Niente sconti. Decisi di pagare quello che dovevo e ricominciare. Fortunatamente ho potuto usufruire dell’indultino del 2001 e di quello del 2005, ho anche preso parte allo sciopero con la ‘battitura’, che si fa sbattendo la gavetta avanti e indietro contro le sbarre (scena diventata famosa in molti film e fiction, ultimo esempio la serie Gomorra, stag.1 ep.4, ndr). Ma non credete che i domiciliari siano meglio, la polizia si presenta a casa tua senza preavviso a qualsiasi ora del giorno o della notte e ti mette sotto sopra tutta la casa, senza nemmeno rivolgerti la parola.

 

Ora tutto questo è alle mie spalle. Lavoro duramente, sto assumendo tutta un’altra considerazione del valore del denaro. Se oggi devo spendere 50 euro ci penso dieci volte, prima tre-quattrocento euro se ne andavano in mezza serata. Prima il rispetto lo pretendevo per le mie imprese, ora me lo devo guadagnare con l’operosità e l’umiltà. Mi è capitato anche di fare il cameriere e di dover servire ai tavoli persone che nell’ambiente criminale erano di un rango molto inferiore al mio. É dura vederli fare ancora la bella vita mentre io mi arrangio e, piano piano, con la mia famiglia e la donna che mi è accanto cercare di vincere la scetticismo intorno a me, con un passato difficile ma non insuperabile. Lo devo ammettere, mi piaceva quella vita, e i soldi non erano nemmeno la parte più importante. Era l’adrenalina a essere diventata una droga non sostituibile con nessun’altra, eppure me le potevo permettere tutte. Ma ora sento e voglio dare e darmi serenità e meritarmi la fiducia della mia famiglia e di chi ha scelto di stare al mio fianco con tanto amore, non giudicandomi per il mio passato ma per come sono adesso.»

 

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