Come un viaggio al Sónar Istanbul ha cambiato la nostra visione della Turchia.

Il 24 e il 25 marzo il Sónar, il festival di cultura digitale nato nel 1994 a Barcellona, ha organizzato la sua prima edizione turca: il Sónar Istanbul. il Cartello ha viaggiato in Turchia per presenziare a questa prima edizione e potervi raccontare questo evento significativo sotto molteplici punti di vista, in questo reportage che unisce il resoconto del festival con quanto sta accadendo in Turchia alla vigilia di un referendum costituzionale che potrebbe cambiarla per sempre.

 

Perché andare

La partenza alla volta della più grande città della Turchia ci ha messo di fronte a noi stessi e ci ha obbligato a scegliere. Era da tempo che il mondo non era così in fibrillazione, e di nuovo in cerca di se stesso, e un viaggio come questo, specie alla luce delle ben 570 vittime causate da attacchi terroristici in Turchia dal 2016 a oggi, non è da prendere sotto gamba.

 

La notte del Reina, lo scorso capodanno, mi si è spezzato il cuore quando ho appreso che degli innocenti hanno perso la vita per causa dell’ignoranza che guida certe gesta e una guerra fratricida che sembra inarrestabile. Si va avanti, ma il mondo sembra regredire. Questo è almeno quello che risulta agli occhi di un ventottenne che, nonostante tutto, continua a credere negli esseri umani e continua a non comprendere come mai sia sempre più facile scegliere l’odio all’amore.

 

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Il Reina poco dopo l’attentato

 

Era un appuntamento a cui sia io, che la rivista che rappresento, non potevamo mancare.

La Turchia è la sintesi perfetta della geopolitica dei nostri tempi, dei cambiamenti in atto, delle divisioni – basti pensare che la mia compagnia telefonica mi offre il roaming solo nella parte europea di Istanbul, mentre nella parte asiatica non è disponibile. Così, nei giorni dell’islamofobia e degli editti di Re Trump riguardo a ciò che i musulmani possono e non possono fare, mi trovo su un aereo diretto al cuore di Istanbul, una delle destinazioni più calde del momento, per presenziare alla prima edizione turca del Sónar festival, che per i più pessimisti sarà pure l’ultima.

 

Proprio a proposito degli editti di Trump, non riesco a non pensare che alcuni giorni prima della partenza, esattamente il 21 marzo 2017, dopo due tentativi falliti di negare l’accesso negli Stati Uniti ai musulmani provenienti da 8 paesi, il nuovo Presidente degli Stati Uniti D’America, è riuscito con l’arma dell’executive order, dall’acido retrogusto antidemocratico, a vietare di portare a bordo di alcune compagnie provenienti da paesi islamici (tra cui la Turchia) tutti quei device più grandi di uno smartphone. La Gran Bretagna, ha seguito a ruota l’esempio del cugino americano, di questi tempi sempre più intimi, specie per le proprie vedute nazionaliste e la volontà di ergere muri o di rompere relazioni storiche. Su The New Stateman e sul Washington Post, si è parlato delle ragioni che hanno portato a tale decisione, indicando la possibilità di un report sulla sicurezza nel caso inglese e ipotizzando il desiderio di stimolare l’uso di aerei di compagnie americane nel caso degli Stati Uniti. Incapace di capire quale sia la vera ragione dietro a queste azioni, credo semplicemente che ci troviamo di fronte a degli uomini piccoli piccoli e impauriti che, non in grado di abbracciare un mondo che va avanti, trovano più facile parlare agli ultimi e farsi grossi tramite costoro che gli danno la spinta sufficiente per giustificare democraticamente la loro idiozia populista piuttosto che far tesoro di tutto il progresso che ci ha portato fino a qui e cercare un modo per includere diversamente quegli ultimi così abbandonati da questa società, e per questo così arrabbiati.

 

 

Dunque perché sono su questo aereo?

 

Sono su questo aereo perché ho deciso che non potevo lasciare vincere il terrorismo facendomi spaventare da quanto successo. Sono su questo aereo perché dopo i fatti del Reina e gli altri attentati, gli unici turisti che si vedono in giro in Turchia provengono da paesi arabi mentre di europei o americani c’è stato un calo di più del 30%. Sono su questo aereo perché il referendum del 16 aprile consegnerà, con tutta probabilità, il potere nelle mani di Erdoğan e il paese non sarà più lo stesso sotto tanti punti di vista; e ovviamente anche per quanto riguarda la cultura, sempre più sotto controllo in seguito alla stretta conservatrice del Presidente. Sono su questo aereo perché mi piace molto quello che fa Sónar e condivido la loro mission innovatrice e la potenza dell’uso della cultura come un’arma rivoluzionaria capace di aprire gli occhi. Come scriveva Damir Ivic su Soundwall meglio accettare alcuni compromessi ma realizzarlo e quindi muovere un primo step, che non fare niente perché legati a pregiudizi perbenisti su una situazione che giudichiamo dall’esterno. E infine la line-up, su cui c’è sempre poco da recriminare quando in due giorni senti i concerti di, giusto per menzionare solo gli headliner, Moderat, Floating Points, Roisin Murphy, Nina Kraviz, Shackleton, Kode9, Clark, Dj Koze – che probabilmente, oltre al compenso, hanno pensato a tante delle cose che ho scritto sopra.

 

Ed è così che mentre il Boeing su cui mi trovo sorvola Istanbul in cerca dell’angolo giusto per poter atterrare in sicurezza all’aeroporto Atatürk, prendo un attimo per distrarmi dai miei pensieri, e osservare una nave cargo che si muove come una grossa balena in mare, mentre sullo sfondo cominciano a comparirei minareti di Istanbul,immersi nel sole opaco delle 17:30.

 

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La veduta di Istanbul

 

Ricollegandoci alla breve parentesi relativa al populismo, trovo necessario parlare innanzitutto del Presidente della Turchia. Recep Tayyip Erdoğan è stato il sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998, dal 2003 al 2014 è stato il Primo Ministro turco e dal 2014 è il Presidente. Sotto il suo controllo il paese è velocemente virato a destra, facendo spazio a un conservativismo opprimente, che portò la città di Istanbul al collasso con i fatti di Gezi Park del 2013. A gennaio il parlamento ha approvato una legge che trasformerà la Turchia in un sistema Presidenziale guidato solo da Erdoğan, se il popolo lo dovesse approvare nel referendum del 16 aprile. In altre parole, la Turchia sarà presto una dittatura.

 

Uscendo dall’aeroporto la prima cosa che si nota dai finestrini del taxi che zigzaga tra il traffico folle della città sono i grandi cartelloni riportanti la faccia del politico dell’AKP (Giustizia e Sviluppo), Erdoğan, e la scritta “EVET”, che incita a votare “Sì” al referendum.La città ne è tappezzata, è un vero e proprio lavaggio del cervello, tant’è che solo dopo alcuni giorni capisco che c’è anche una contro-campagna in atto, quella per il “No” (HAYIER), ma è come se fosse persa in partenza. Nell’era della post-verità anche le modalità di conduzione della campagna referendaria turca sono state molto opache. Il futuro Presidente parla alla pancia della Turchia, alle classi lavoratrici con livelli di istruzione più bassi e più facili da manipolare regalando buoni pasto o promettendo lavoro nell’attuale momento economico che vede la Turchia in difficoltà. “Regalano cibo, fanno promesse, ma appena il referendum sarà concluso si scorderanno di loro e gli ultimi resteranno tali”, mi ha detto con tono rassegnato chi mi ospitava a Istanbul.

 

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La propaganda per il sì nel centro di Istanbul

 

Il Festival

Il Sónar si tiene allo Zorlu Performing Arts Center, uno spazio futuristico multiuso e multilivello dove vengono organizzati eventi e concerti e dove il sound è all’avanguardia. L’arrivo al festival mi dipinge un sorriso sulla faccia che non se ne andrà fino al mio ritorno a Barcellona: lo staff è visibilmente emozionato e felice di accogliere quei pochi giornalisti internazionali che hanno deciso di venire a coprire l’appuntamento. Appena passata la prima fila di buttafuori quell’ansia inconscia alimentata da tutti gli “stai attento” che mi son sentito dire prima di partire sparisce. L’emozione è percepibile anche tra coloro che sono riusciti a comprarsi un biglietto prima che l’evento andasse sold-out. La spada di Damocle del referendum è davvero percepita quanto mi aspettavo: anche se non si può dire apertamente, come mi spiegano i giornalisti con cui ho parlato, il lato politico dell’evento è realmente preponderante. I presenti rappresentano quei giovani secolarizzati, con un livello di istruzione medio-alto e con una visione di ciò che sta succedendo molto negativa. Il “No” vincerà sicuramente tra i ragazzi venuti per partecipare a questa festa. È un campione non rappresentativo della popolazione turca, ma rappresenta appieno la generazione che si oppone a ciò che sta succedendo. Quella generazione che soffre maggiormente gli alti livelli di disoccupazione e il valore della Lira turca sempre più basso, nonché la privazione dei diritti di matrice democratica con cui sono cresciuti.

 

La prima notte ci alterniamo tra le sale, ognuna più caratteristica dell’altra, facendoci trasportare dal pop di Roisin Murphy, dalla techno di Nina Kraviz e scopriamo i ritmi dei molti dj turchi presenti in line up come Büber e Doğu Orcan, prima di andare a saltare nella sala di Shackleton e Kode9 e finire in bellezza con Fuchs & Cervus. A fine festa non andiamo a caccia di after per salvaguardare un po’ di energie e poter esplorare la città prima di tornare al festival la sera del sabato, lasciando quest’avventura per il giorno successivo. Visitiamo le zone più centrali e ci facciamo scarrozzare in giro per i vari parchi dal nostro amico locale. Ogni occasione è buona per fermarsi a fumare una sigaretta in compagnia di un tipico tè rosso, di cui i turchi vanno pazzi e che fa da collante sociale in una società dove l’alcool è sempre più malvisto a causa della rapida islamizzazione. Lasciata alle spalle la mattinata turistica con la pancia piena di deliziose leccornie turche, la sera arriva rapida e siamo pronti a tornare allo Zorlu Center.

 


 

La seconda sera siamo un grosso gruppo: il giorno prima abbiamo fatto amicizia con molte persone e la voglia di fare festa e di mixare le culture ci spinge a darci appuntamento sotto ai palchi dei dj imperdibili come Moderat e Floating Points. È proprio con questo che salta all’ultimo minuto l’intervista che avevamo in programma, porta che chiudendosi apre un portone molto più importante per quello che era il mio obiettivo di copertura di questo evento: capire cosa sta succedendo dall’interno, rispondere alle domande riguardo a cosa vuol dire fare arte a Istanbul e come cambierà questo in futuro, comprendere l’importanza di un festival così tramite il punto di vista di coloro che presto potrebbero non avere più modo di fare eventi del genere.

 

Lo staff mi mette in contatto con Style-ist un dj locale di Istanbul, che ha suonato in apertura a Dj Clark nello stage principale. Con Style-ist, e la sua compagna che gli faceva da interprete, ho fatto una chiacchierata molto profonda, che mi ha aperto gli occhi su quello che la gente sta provando, e di cui ne riporto un pezzo di seguito.

 

 

Ero davvero contento quando ho saputo che il Sónar sarebbe venuto a Istanbul, credo che l’arte, e la cultura in generale, siano armi potentissime contro quello che sta succedendo. Ma tu come credi che il referendum cambierà le cose? Un evento del genere sarà ancora possibile tra, per esempio, tre anni se il “Sì” vince come tutti si aspettano?

Non credo che un evento del genere sarà possibile in futuro. Non necessariamente tra tre anni, probabilmente già dal giorno dopo. Stiamo davvero vivendo un momento difficile, i cambiamenti stanno avvenendo molto rapidamente ed è complesso capire il da farsi.

 

Sarà dittatura dal giorno dopo il referendum?

No. Siamo già in una dittatura. Erdoğansta concentrando tutto il potere nelle sue mani e credo che tutto cambierà ancor più velocemente dopo il voto. A queste persone non importa del popolo, ti puoi immaginare quanto gli possa importare di arte e cultura. [Stanno pure modificando la storia rimuovendo Atatürk – il fondatore della Repubblica – dai libri di storia, ndr]. Sono molto pessimista e per questo sto combattendo come ormai faccio da anni. Ero tra i manifestanti in Gezi Park nel 2013 quando la folle brutalità della polizia è esplosa e ci hanno assalito perché protestavamo per i nostri diritti. Dopo aver colpito un veicolo della polizia ci hanno attaccato con gli idranti, io sono stato centrato e sono quasi morto. Sono stato portato all’ospedale insieme ad altri attivisti. Per la mia ragazza è difficile tenermi a casa in questi momenti.

 

Quanto questa rabbia e il tuo attivismo confluiscono nella tua musica?

Molto, questo è inevitabile. Specialmente al Sónar. Oggi volevo mettermi una maglietta con una grossa scritta “Hayir” (No) ma sapevo che avrei messo in difficoltà sia il proprietario dello Zorlu Center che gli organizzatori del festival, e quindi alla fine non l’ho fatto.

 

Dopo i fatti del Reina tutto il mondo era scioccato. Il mio amico che mi ospita qui a Istanbul mi ha detto che dal quel giorno la vita notturna è cambiata e che la gente ha paura a uscire in certi locali. Quanto è importante un festival come Sónar Istanbul dopo quanto è successo?

Non solo il Reina, siamo rimasti scioccati anche da quanto successo in Belgio, a Parigi e così via. E specialmente per chi come me fa il dj questo complica una situazione che di per sé è già sufficientemente complessa, proprio perché la gente ha paura. Per questo Sónar Istanbul è così importante. Inoltre anche il momento in cui viene fatto, ovvero prima del referendum, è davvero cruciale proprio perché, come abbiamo discusso prima, potrebbe non avvenire un altro evento come questo ed è importante stare uniti e divertirsi insieme.

 

Capisco bene quello che dici, anche io sono venuto qui per vedere il tuo paese prima che cambi…

Aspetteremo il risultato e vedremo. Sinceramente penso che sia che vinca il sì sia che vinca il no, la situazione sarà complessa: ci sarà il caos, non potremmo fare il nostro lavoro e ci potrebbero essere altri attentati. Stiamo aspettando nell’unica maniera possibile: con il sorriso. Poi per me è molto difficile odiare, anche se mi fanno del male, sono un umanista e non posso perdere tempo a odiare qualcuno anche se danneggia me o la mia gente. Non m’importa se sei bianco o nero, amo tutti a prescindere. E questa è la parte più difficile.

 

Aldilà di quello che succederà, puoi raccontarmi la scena della musica elettronica in Turchia?

Io ho iniziato ad appassionarmi da piccolo. Dagli anni ’80 conosco tutti i club a Istanbul e sono cresciuto insieme a loro. Son un pezzo di storia! Per quanto riguarda la musica invece, qui abbiamo iniziato con la acid house. Un grande passo avanti fu fatto quando il club “2019” fu aperto da un coraggioso ragazzo omosessuale, e con il 2019 la scena si può realmente considerare iniziata. Nel 2000 anche i festival di elettronica son iniziati. Secondo me quello è stato il picco della scena, fino al 2004. Proprio a causa del grande successo e interesse che riscuotevano i festival, il governo li ha iniziati a vedere di cattivo occhio e li ha vietati sempre più. Con Erdoğan questo è diventato addirittura peggiore per via della presenza di alcool e vari club hanno iniziato a chiudere ed è diventato sempre più difficile avere i permessi per fare eventi di questo tipo. Ovviamente questo ha influito anche sul sempre più esiguo numero di djs che erano disponibili a venire in Turchia per suonare. Questo ha creato negli anni una audience che è molto curiosa ma poco istruita in ambito di musica elettronica, ma si vede che vogliono imparare!

 

E tu che farai in futuro? Continuerai a seguire le tue passioni e lottare per ciò in cui credi oppure sei disposto a andartene?

Se serve, sono disposto ad andare in prigione e rimanerci per la mia donna e mia figlia, e per gli altri bambini di questo paese.

 

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Style-Ist

 

Dopo essermi salutato affettuosamente con la coppia, ho sentito il bisogno di stare qualche minuto da solo, bermi un whiskey e cola e fumarmi una sigaretta prima di tornare dai miei amici a fare festa e lasciarsi il senso di ingiustizia e di intrappolamento trasmessomi da quella chiacchierata alle spalle. Digerito il malessere, la notte è scivolata rapida tra le performance di Moderat, DJ Koze, Ben Ufo, Nosaj Thing, e la chiusura di Mabbas, dj turco e tra i direttori del festival – che, meritatamente, ha deciso di chiudere il festival in grande, mostrando tutta la potenza delle luci, dell’impianto audio e dei vari effetti speciali.

 

Underground

Come già detto più volte nel corso di questo reportage, l’ascesa di Erdoğan ha comportato un aumento del conservativismo religioso, aprendo molto all’Islam, e una restrizione delle libertà d’espressione: si pensi che ad Ankara è vietato baciarsi in metro, l’alcool anche in una città cosmopolita come Istanbul non è scontato trovarlo e i siti porno sono tutti oscurati. È per questo che risulta ancora più interessante la messa in piedi di un festival come Sónar Istanbul in questo momento storico. C’è un ultimo episodio che ci tengo a raccontare, perché credo sia un buon modo per capire le implicazioni di una società repressiva.

 

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La Torre di Galata

 

In mezzo al caos del festival ho conosciuto un francese e uno spagnolo, expat residenti a Istanbul, con cui, dopo che i miei compagni di viaggio hanno deciso di andare a casa, abbiamo deciso di proseguire il party in un after. Così è iniziata una nuova avventura, con un incipit da barzelletta (C’erano un italiano, un francese e uno spagnolo…), che ci ha visto sparire nell’albeggiante mattina turca. Siamo finiti in un locale, nei pressi di Taksim, nel pieno centro della città, che apre solo per gli after. Una tipica bettola da after insomma, di come ne ho viste tante nella mia vita, ma che mi ha colpito perché riuniva in una stanza tutto quello che il regime sta combattendo. Tutti quelli che non trovano facilmente spazio nella società turca erano lì con noi: spacciatori, puttane, omosessuali, alcolisti e chi più ne ha più ne metta. In breve, nient’altro che dei semplici esseri umani con le loro dipendenze e le loro perversioni, proprio gente come te che stai leggendo o come me che sto scrivendo. Dopo una sana colazione a base di whiskey siamo rimasti a ballare con quel gruppo colorito di persone fino a quando il sole fuori dal locale era alto in cielo. Ce ne siamo andati dopo aver aiutato una ragazza che si sentiva male a causa di, probabilmente, dell’ecstasy. Ciò che ci ha fatto passare la voglia di restare lì è che, proprio a causa delle restrizioni da regime, nessuno si è azzardato a chiamare un’ambulanza quando la ragazza era in preda a delle convulsioni preoccupanti. Siamo stati noi a portarla fuori, a soccorrerla e pretendere, senza ottenerlo, che venissero chiamati dei professionisti per prendersi cura di lei. La ragione è che, a differenza di come sarebbe andata in Europa, le conseguenze sarebbero state diverse e le domande troppe. A tal punto che era meglio rischiare la vita di un’amica che farle passare dei problemi con l’autorità.

 

Si è conclusa dunque così la mia avventura turca. Con un abbraccio tra anime perse europee sotto l’antica torre Galata intrisa di una luce onirica che, nonostante tutto, sembrava incitare all’ottimismo. Ringrazio la Turchia e la sua gente per avermi accolto con tanto calore, il Sónar per aver organizzato un bellissimo festival in un paese che ne aveva bisogno e tutti coloro che continuano a credere nell’uguaglianza e nella democrazia.

 

#HAYIR

 

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