Jason Molina, il poeta rock che ci ha incantati con la sua musica introversa.

Qualche giorno fa, abbiamo avuto l’onore e il piacere di ascoltare nuovamente la voce di Jason Molina. Royko è un outtake estratto dal suo primo album uscito con il suo nome e intitolato Pyramid Electric Co.. Il brano è stato inserito nella compilation Our First 100 Days, un progetto che ha coinvolto moltissimi artisti per protestare contro il nuovo presidente Donald Trump. Tre minuti minimali, un blues scarno che esalta la vocalità del cantautore americano. Un brano che riporta in modo vivido l’essenza di uno dei musicisti e cantautori che ha lasciato un segno indelebile nella cultura musicale degli ultimi venti anni.

 

 

Per approcciarsi al mondo di Jason Molina, non si può che partire dalla scrittura, l’arma che più ha messo in mostra la sua sensibilità artistica, lafrangibilità che ha reso così speciale la sua musica. Nel 2007 Tinymixtapes lo intervistò e alla domanda “Quale momento preferisci fra scrivere, registrare e i concerti?”, lui rispose così:

 

They are all really important, and they are all connected. The writing is special to me. Writing lyrics, writing songs, putting the songs together, that’s like a ritual. That is a ritual. The touring is a ritual. Performing becomes a ritual, I say this again and again: I don’t approach this from an entertainment point of view. Performing is part of the writing, someone has asked us to play this music for them. I don’t put any energy into making it a show. My favorite music, my favorite musicians, don’t really put on a show. The show is them playing the songs, and it’s just as simple as that. But the rare, rare time for me is the writing”.

 

Da queste parole emerge immediatamente la sua semplicità nell’approccio dal vivo, la purezza della performance; ma soprattutto l’importanza della scrittura sia dei testi che della musica. Il cantautore non perdeva occasione per mettere su carta i suoi pensieri e le sue intenzioni. E questo è stato probabilmente il motore della sua produzione prolifica, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche da quello della qualità e della ricerca stilistica.

 

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Jason Molina (Lorain, 30 dicembre 1973 – Indianapolis, 16 marzo 2013)

 

Nato a Lorain, Ohio, e dopo un periodo in varie band heavy metal, si concentrò sulla sua musica adottando il moniker Songs: Ohia. Nel 1995 la Palace Records, anche grazie al gradimento di Will Oldham (con cui nel 2002 si cimenterà con il progetto Amalgamated Sons Of Rest), pubblica il primo singolo intitolato Nor Cease Thou Never Now che contiene due brani, Soul e Freedom, che mettono in evidenza un’impostazione classica al cantautorato ma anche una forte capacità interpretativa, intensa e coinvolgente che “regala” solo uno spiraglio di ciò che Jason Molina sarà capace di fare. Seguito da un altro singolo Pronunciation of Glory, approda alla Secretly Canadian che nel 1997 pubblicò il suo album di debutto omonimo.

 

 

Tredici tracce che sono la prima evoluzione rispetto alle prime composizioni: non ci sono ancora arrangiamenti composti, ma iniziano ad emergere i primi temi della sua musica: la dilatazione del suono, il forte potere evocativo specchio del forte intimismo che però qui si traduce in un folk più “rurale” (basti ascoltare pezzi come Blue Stone e Dogwood gap), intenso e di breve durata. La vocalità sostiene quasi la totalità dell’album e la scrittura risulta quasi ermetica. Una semplicità di fondo che pone le basi per quello che sarà un passo decisivo verso qualcosa di differente ma connesso. 

L’anno successivo è la volta di Impala che fa già intravedere una complessità maggiore: l’impostazione minimale dal doppio intreccio (ruvido e melodico) di Gambling Song (An Ace Unable To Change ) e anche di This Time Anything Finite At All che si focalizza ulteriormento sul ricamo delle ritmiche. Degna di nota anche l’essenzialità che fonde blues, jazz e ruvidità di All Friends Leave You (Just What Can Last).

 

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Jason Molina con la sua chitarra

 

Continua la sua evoluzione, continua il perfezionamento delle sonorità, delle scelte stilistiche e anche dei testi che diventeranno presto una forma di poesia applicata alla materia musicale. Axxess & Ace, uscito nel 1999, rappresenta proprio l’asse di collegamento con questo suo percorso. Si apre la collaborazione con importanti musicisti come Joseph Ferguson (Pinetop Seven), Julie Liu (Rex), Geof Comings, Dave Pavkovic (Boxhead Ensemble) e Edith Frost. Le ritmiche di Hot Black Silk e Captain Badass, il filo fragile di Redhead, e il racconto romantico e malinconico della conclusiva Goodnight Lover; tutti brani che mettono in evidenza uno scheletro solido, più elaborato, in cui le parole assumono quasi più rilevanza, dando espansione ai significati delle conseguenze dell’amore. Aspetti che mettono in evidenza la sua immensa sensibilità artistica, nel trasformare anche i sentimenti meno positivi in qualcosa di magico.

 

 

Dopo la pubblicazione dell’album live Ghost, nel 2000 Jason Molina raggiunge il suo apice con The Lioness, espressione massima del percorso e della sua essenza. Un disco che è una ferita aperta che dura nove tracce. Anche in questo caso, essenziali le scelte di collaborazione con artisti del calibro di Alasdair Roberts, Geof Comings, Jonathan Cargill Aidan Moffat e David Gow degli Arab Strap. Un suono ruvido, tra essenza/assenza del suono e ricamo tuonante, note notturne che rispecchiano perfettamente il mood della copertina. L’apertura con The Black Crow è folgorante: l’interpretazione di Jason è trascinata ed esasperata, tanto quanto controllata e sopravvive in modo impeccabile all’elettricità del suono che cresce in modo altreattanto ineccepibile. Si tratta anche di uno dei testi più importanti scritti dal cantautore statunitense che travalica definitivamente l’area poetica della sua scrittura:

 

“And the guise to black cats we made a cross when our shadows met/And the guise to black cats we made a pact when our shadows passed/Through sparrow black wind/A dead crow calls out to its wings/I’m getting weaker I’m getting thin/I hate how obvious I have been/I’m getting weaker/I’m getting weaker/I’m getting weaker/I’m getting weaker/And I look down and see the whole world/And it’s fading”



La rotondità e l’esistenzialismo di Tigress, la linearità e la costanza di Nervous Bride, il minimalismo pizzicato di Coxcomb Red, il graffio silenzioso dalle influenze blues di Baby Take a Look sono tutti gli elementi che rendono questo disco speciale. Perfetto, emotivamente forte, un’occhio spietato sulla vita e i sentimenti. Jason Molina ha costruito un suono che ormai è riconoscibile, lontano stilisticamente dagli esordi ma che non ha snaturato l’essenza di ciò che lui rappresenta. E’ molto interessante quanto disse a Justin Taylor in un’intervista a proposito dell’approccio compositivo, in cui parla di algebra cantautorale:

 

“Well, it’s songwriting algebra, I find one angle and that is usually just a song or a riff and I know that it’s going to be the cornerstone for the entire record. So, I have yet to sit down and say “this is going to be the theme of the entire record,” but I’ll write eight songs, throw away seven. One seems to be very interesting and I try to pursue whatever it is that is interesting about that song, and that’s the way I weave the tapestry of all the lyrical themes for each song. I’ve written every single record to be one piece. There should be a side A and a side B. And when I start I don’t know how many songs will be on the record. Sometimes I’ll record ten songs that are thematically related, and then they just never make the record because it doesn’t seem to be a cohesive piece”.

 

Parole che fanno comprendere bene come ci sia stato un grande lavoro dietro il suo percorso evolutivo che lo ha reso uno dei cantautori di punta della scena contemporanea. Nel 2000 pubblicherà anche un altro disco in edizione limitata venduto nel corso del tour (Protection Spells) e anche Ghost Tropic che lui stesso definì come un disco faticoso, oscuro e che favorisce le inclinazioni meno melodiche del suono e che ha regalato uno dei brani più intensi della carriera come The Body Burned Away. A proposito del processo compositivo e delle intenzioni di quel disco, dichiarò:

 

“The material, it wan not a kind of atmosphere I think I would want to try to purposefully recreate, it is a dark record but I felt it only to be a brief look at a much more severe and troublesome place, that kind of material only pulls you further and further towards it, so I did that record and appreciate it, but it would be wrong to put it into a form that could be made over”.

 

Dopo un altro disco live registrato (in edizione limitata) in Italia  e intitolato Mi sei apparso come un fantasma, arrivano due dischi importanti e che segnano la fine del progetto Songs:Ohia. Il primo è Didn’t it rain (2002) che ci riporta al Molina più essenziale e più puro ma con una consapevolezza e una scrittura più forte rispetto agli esordi. E lo dimostra soprattutto un brano come Blue Factory Flame, così vicino al debutto e altrettanto maturo. Nel 2003 arriva la collaborazione con Steve Albini che registra The Magnolia Electric Co., un disco che coinvolge un gran numero di musicisti e strumenti. E’ il raggiungimento del suono totale, con una corposità maggiore, i riferimenti blues e folk-rock più delineati e basta guardare a brani come I’ve Been Riding with the Ghost, dinamica e riassuntiva di queste influenze, e alle rifiniture di Peoria Lunch Box Blues, nella quale la voce di Molina fa spazio all’intensa interpretazione femminile. Un altro cambio di rotta, un altro disco che mostra il potenziale di un artista mai sazio di esplorare le sue possibilità, i suoi limiti.

 

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Jason Molina era un artista mai sazio di esplorare le sue possibilità, i suoi limiti

 

Questo disco rappresenta un deciso cambio di rotta per Molina che abbandona definitivamente il moniker Songs:Ohia. Pubblica due album a suo nome: Pyramid Electric Co. (2004) e Let Me Go Let Me Go Let Me Go (2006). Il primo, anche se un passo in solitudine, è l’unione delle intenzioni degli ultimi due dischi fra recupero delle radici (intimità spiccata) e spinta stilistica derivante dalla pressione della somma delle sue esperienze (atmosfera rarefatta). Il tutto viene replicato in maniera altrettanto degna nel secondo, con alcune atmosfere più evocative sempre declinate su territori “fangosi”, evocativi e secchi di ricchezza del suono (It’s Easier Now è il brano che più tocca sfumature ambientali marcate). 

 

Dal 2005 si susseguono gli album con il moniker Magnetic Electric Co. che non danno sempre giustizia alle intenzioni e alla bravura del cantautore americano. Non lasciano il segno come ciò che è stato prodotto nella prima parte di carriera ma comunque resta sempre di un livello apprezzabile. La collaborazione con Will Johnson (2009) e Josephine (2007, dedicato al bassista Evan Farrell e che affronta il tema dell’assenza e della solitudine) chiudono il suo percorso artistico e risultano quanto di più rilevante fatto una volta accantonato il progetto Songs: Ohia.

 

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Un giovanissimo Jason Molina

 

Da questo momento in poi, Molina affronta i demoni dell’alcolismo e non pubblicherà nuova musica. I problemi di salute, il recupero, l’appello ai fan per l’assistenza economica per l’assicurazione sanitaria e la morte che arriva il 16 Marzo 2013, alla soglia dei suoi 40 anni. Tutto ciò che riguardava la sua vita privata, e problemi connessi, non era mai emerso nel corso della sua carriera e la grandezza del suo percorso è dovuta anche all’aver incanalato tutte le sue emozioni, sofferenze comprese, nelle sue innumerevoli composizioni in una maniera insolita: non si tratta di narrazione, non si tratta di racconti, non è tutto legato all’esprimersi ma è soprattutto legato al lavoro della materia grezza in qualcosa di formidabile. Si parla di arte in senso assoluto, puro e Jason Molina è stato un grande artista. Non si è lasciato trascinare ma ha trasportato l’essenza delle sue intenzioni e ha creato una pagina intera e importante della storia della musica a cui molti hanno attinto e attingeranno.

 

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