Avere il controllo del proprio corpo non significa avere il controllo di tutto.

Il corpo umano può essere descritto come un involucro di forma circoscritta,distinguibile come figura unica, potenzialmente scomponibile in molti elementi a fronte della percezione olistica propria dell’essere umano. La sua natura è paragonabile ad una macchina organica in grado di auto riprogrammarsi per raggiungere e mantenere l’omeostasi in un contesto ecologico per cui l’adattamento è l’unico obiettivo necessario possibile in un lento, ma inesorabile, cambiamento.Il corpo fisico si compone di un’estensione cognitiva che si identifica non sempre con quello che il corpo è oggettivamente, quanto piuttosto con l’immagine che ci formiamo nella mente, cioè il modo in cui il nostro corpo ci appare.

Questa rappresentazione mentale, data da un processo di integrazione e mediazione di processi percettivi, cognitivi ed emotivi, viene chiamata anche immagine corporea.

 

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Spesso, influenzati da fattori esterni, abbiamo un’immagine sbagliata del nostro corpo, causando disturbi alimentari

 

Secondo Peter Slade, l’immagine corporea è costituita appunto da tre componenti principali: percettiva (come la persona visualizza la taglia e la forma del proprio corpo), attitudinale (quello che la persona pensa e conosce del proprio corpo), affettiva (i sentimenti che la persona nutre verso il proprio corpo), e comportamentale (riguardante, per esempio, l’alimentazione e l’attività fisica). Quindi l’immagine corporea può essere considerata un effetto di un’inferenza fatta dal nostro sistema cognitivo, ma allo stesso tempo anche un metro di confronto, il cui risultato torna a incidere sui modelli montali creati, lasciandoci immaginare un ciclo in cui l’uomo è continuamente scisso tra quello che crede di essere e quello che in realtà è. E naturalmente questo circolo può generare dei bias che possono andare ad intaccare la percezione dell’Io, rivelandosi come potenziali agenti eziologici di patologie.

 

Gli aspetti principali, che si candidano come possibili cause di un’errata propriocezione corporea sono, secondo il modello tripartito di influenza, i genitori, i pari e i mass media. La modalità di condizionamento è puramente top-down (dall’alto verso il basso): ovvero, i forti messaggi mediatici tendono a influenzare la modalità percettiva con cui una persona inferisce i fenomeni circostanti, che poi viene rinforzata e incoraggiata da riferimenti molto più diretti come i pari e i genitori.

Questo processo, che forma e deforma la rappresentazione della realtà oggettiva attinente al corpo, tende a creare un prototipo ideale con cui l’individuo si confronta e a seconda della maggiore o minore vulnerabilità al giudizio si andrà formando un’idea di sé più o meno coerente, proporzionale a una maggiore o minore sofferenza.

 

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I disturbi alimentari vengono anche dalla vulnerabilità al giudizio

 

Il primo effetto di questo continuo paragone tra l’ideale e il reale è il body checking, ovvero il continuo controllo del corpo, volto alla ricerca di cambiamenti visibili per poter intervenire, anche senza una reale necessità. Le distanze percepite tra la reale percezione della persona e l’ideale trasmesso dal suo contesto ecologico e assorbito senza filtri come unica e vera unità di misura, producono una insoddisfazione tale da trasformarsi in sofferenza che può interferire con la vita dell’individuo.Il controllo esasperato e un’eccessiva preoccupazione per il corpo sono i primi indici prodromici dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) o disturbi dell’alimentazione. Questi disturbi si riconoscono principalmente per l’alterazione delle abitudini alimentari, ma a loro volta rappresentano modalità comunicative di sofferenze molto più profonde che l’individuo non è in grado di elaborare. “Pensare in modo ossessivo al cibo-corpo-peso diventa un anestetico che permette di non sentire la sofferenza. È un’auto-cura”.

 

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Pensare in modo ossessivo al cibo-corpo-peso diventa un anestetico che permette di non sentire la sofferenza. È un’auto-cura

 

Questi disturbi alimentari non devono essere scambiati per malattie dell’appetito. Sono disagi psicologici profondi, ‘malattie dell’amore’. L’approccio nutrizionale non permette di elaborare le autentiche cause di queste gravi patologie che coprono una disperata fame d’amore.

L’anoressia e la bulimia sono la più grave forma di dipendenza che esista nonostante siano ancora sommerse.

 

“L’anoressia e la bulimia sono il sintomo tangibile di un dolore che non si vede, di un disagio psicologico lungamente incubato, segno di una crepa nella memoria o nella vita famigliare. La persona anoressica e la persona bulimica sono come il gatto dei cartoni animati che inseguito dal grosso cane del quartiere si arrampica velocemente in cima a un albero, per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù guarda con sufficienza e sollievo ciò che dal basso lo minaccia. Da lassù è sicuro di avere un controllo totale, a trecentosessanta gradi, del mondo sottostante. In più, se scendesse dovrebbe anche fare i conti con ciò da cui si era messo al riparo” (Fabiola De Clercq, 1998, Fame d’Amore, Rizzoli).

 

I comportamenti compulsivi tipici di un disturbo alimentare sono la diminuzione dell’introito di cibo, il digiuno, le crisi bulimiche (ingerire una notevole quantità di cibo in un breve lasso di tempo), il vomito per controllare il peso, l’uso di anoressizzanti, lassativi o diuretici o addirittura l’intensa attività fisica. Ovviamente è apodittico aggiungere che malgrado alcune persone possano ricorrere ad uno o più di questi sintomi non significa che necessariamente soffrano di un disturbo di alimentazione. Ci sono infatti dei criteri diagnostici ben precisi che delimitano un sintomo aspecifico e propria patologia.I principali disturbi dell’alimentazione sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (o bingeeatingdisorder, BED); i manuali diagnostici, inoltre, descrivono anche altri disturbi correlati, come i disturbi della nutrizione (feedingdisorders) e i disturbi alimentari sotto soglia, categoria utilizzata per descrivere quei pazienti che pur avendo un disturbo alimentare clinicamente significativo, non soddisfano i criteri per una diagnosi piena.

 

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I disturbi alimentari sono molto diffusi nel mondo della moda

 

Sebbene quasi tutti questi disturbi abbiano come genesi singolari comportamenti giustificati da apparenti innocui tentativi di controllare la propria immagine, in realtà, vi è già in atto lo stadio finale di una crisi che nasce all’interno dell’individuo che trova attrito e nello stesso tempo una forte spinta nel cibo. Ci si illude che cambiando il proprio corpo, ovvero cambiando ciò che è visibile, sia possibile cambiare la propria vita, cambiare gli altri, cambiare la realtà: il prodotto di questo abbaglio è l’equazione [controllo del corpo = controllo di tutto].

 

Se nell’anoressia c’è l’immagine di un corpo scarno e denutrito che diventa una tela su cui si riflette il dolore interiore, un disagio che le parole, da sole, non possono esprimere, nella bulimia c’è la sensazione soggettiva di un pozzo buio e profondo da riempire, il bisogno smodato di tutto, la disperazione affiliata al vuoto soggettivo incolmabile.Nel 75% dei casi oggi, l’anoressia è accompagnata dalla bulimia. Il soggetto cede all’ istinto di sopravvivenza, perde il controllo, mangia tutto ciò che trova e si induce il vomito. Si può dire che l’anoressia sia una manovra disperata per coprire la bulimia. La bulimia è il bisogno smodato di tutto. L’anoressia è un tentativo drastico di coprire la bulimia. Infatti, spesso, anoressia e bulimia si alternano ciclicamente: la persona anoressica, che non riesce più a controllare la fame, cede all’istinto e si punisce con il vomito autoindotto.

 

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Anoressia e bulimia sono tra i disturbi alimentari più diffusi

 

Anche se l’anoressia viene considerata come la punta dell’iceberg, tutta questa categoria di disturbi non devono essere sottovalutati perché sintomo di una sofferenza che ha cause psicologiche e per questa ragione difficilmente aggredibili: è necessario invece cercare le cause senza tuttavia perdere di vista la gravità dei risvolti che possono mettere a rischio la vita. Il sintomo non viene soppresso ma si diluisce fino a scomparire solo quando la persona non sente più la necessità di adottare i comportamenti che ha dovuto cercare e usare come soluzione, quando riesce a esprimere e vivere i suoi sentimenti, quando a dispetto delle difficoltà trova dentro di sé gli strumenti per far fronte alla vita e alla sofferenza che ne è parte.

 

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