Fenomenologia dei cinepanettoni.

«PRRRRRRRRRR!»

(peto eseguito secondo metodo Stanislavskij da Massimo Boldi, Natale in India. Per questa interpretazione l’attore milanese è stato vicino all’Oscar 2004, poi scippatogli da Sean Penn)

 

Chi scrive confessa subito un’insana passione che, per molti, è a tutti gli effetti una parafilia, simile alla coprofagia o alla lettura di Paulo Coelho. A me, i cinepanettoni, sono sempre piaciuti. Da lucido. Senza bisogno di sostanze psicotrope per accompagnare i popcorn. Roba che la separazione tra Boldi e De Sica, io, l’ho vissuta come manco un fan dei Guns n’ Roses con i litigi tra Axl e Slash. Non faccio dunque parte di chi, negli anni, si è parzialmente giustificato per la visione dei suddetti dietro la ritualità natalizia. Né di chi, con rara capacità d’astrazione, ne ha quantomeno riconosciuto una parvenza di valore comico, seppur di un livello così infimo da far passare Pippo Franco come un sagace umorista alla Ennio Flaiano. Né di chi, ovvio, ha desiderato il 41-bis per Neri Parenti o una coattiva donazione degli organi dei fratelli Vanzina.

 

Cinepanettone 1

I fratelli Vanzina

 

No. Per me – dopo i capolavori di maestri come Federico Fellini, Rosi, Monicelli, ecc –  il cinepanettone è stato l’unico prodotto cinematografico italiano sincero e con una dignità artistica. Ma non solo. Poiché ritengo che abbia avuto pure un’ineguagliabile capacità neorealista nel raccontare, come nessuno mai, un determinato periodo storico della nostra nazione. Questo fenomeno, nel suo ciclo vitale, è stato sintesi etnologica ed introspezione sociale. Ed oggi voglio provare a spiegarvi perché. Poi, certo, sarete liberi di firmare una petizione per l’immediata reintroduzione della pena di morte. La preferirei, comunque, ad una Cura Ludovico a base di Nanni Moretti, o alle diciotto bobine de La vita è bella. Insomma. Cinepanettone: genialità incompresa o subpellicole?

 

L’origine

 «Anche questo Natale… se lo semo levato dalle palle!»

(Riccardo Garrone nello shakespeariano «Vacanze di Natale», pare che per il ruolo siano stati in lizza anche Giorgio Albertazzi e Laurence Olivier)

 

1983. Vacanze di Natale. Ovvero il monolito kubrickiano del cinepanettone. La sua genesi è quasi casuale. Un po’ come per la scoperta del Viagra, palesatosi nei laboratori della Pfizernel Kent sotto forma di effetto collaterale per il trattamento dell’angina pectoris. Il film natalizio è infatti girato sull’onda dell’inaspettato trionfo di Sapore di mare, antesignano cine cocomero della stessa annata cinematografica. Gli attori che compongono il cast sono quindi quasi gli stessi. Un giovanissimo Christian De Sica, Jerry Calà (nel ruolo che gli causerà la trentennale forma di psicosi del «Non sono bello piaccio»), il cummenda Guido Nicheli, Karina Huff, ma anche new entry del calibro della Sandrelli. Questo primo Vacanze di Natale – secondo pareri autorevoli come quello di Alan O’Leary, scrittore del saggio Fenomenologia del cinepanettone – non ha ancora tutti i crismi del cinepanettone stesso. Difatti gli si riconosce un tiepido valore estetico, venendo assolto dagli addetti ai lavori per la sua capacità di immortalare alcuni cliché dell’italiano medio, ricodificati in una declinazione finalizzata al ghigno degli spettatori in sala. Per O’Leary, dunque, il pubblico di Vacanze di Natale avrebbe dovuto riconoscersi nello stereotipo in celluloide un po’ come chiunque si riconosce nel proprio riflesso deformato sul labirinto di specchi al Luna Park.

 

Cinepanettone 2

Vacanze di Natale, 1983

 

Sono io, okay, ma in versione grottesca. Per cui rido di loro e non con loro. Non c’è perciò ancora ammirazione – come scrive il giornalista Massimiliano Jattoni Dell’Asén – per «quella volgarità ostentata, sessista, omofoba e cafonal, che è diventata la principale cifra stilistica di questo genere cinematografico». Un parere troppo prudente che non intuisce a pieno quella che è una delle grandi caratteristiche del cinepanettone: il suo saper leggere l’attualità, cosa che rende oggi Zalone (eccezionale nell’intercettare gli umori italici ai tempi della crisi) un campione d’incassi. Il film girato a Cortina non è difatti un cenacolo di macchiette, ma una vera e propria trasposizione dell’italiano dell’epoca, intristito da un decennio di piombo, di eroina, di lira debole. È un italiano smodato, che ha voglia di consumismo, di nuove emozioni (pioneristica in tal senso, la scena del coming out di De Sica col maestro di scii Zartolin). È un italiano che ha bisogno di dimenticare bombe e attentati. Questo è bene chiarirlo per comprendere come il successo e la débâcle di questo filone sia indissolubilmente legato alla nostra società. I cinepanettoni sono il Quark dell’Italia. Non sono i film successivi ad essere peggiorati. Casomai è peggiorato l’italiano stesso.

 

L’età dell’oro del cinepanettone: il Berlusconismo

 «Amore, ti ricordi la nostra prima notte di nozze? C’era la luna alta nel cielo, il canto dei grilli lontani… Cri-cri, cri-cri, cri-cri… Che notte romantica. Ti ricordi, amore? ‘Na trombata, porca puttana!»

(Christian De Sica, tra il dolce stil novo e Jacques Prévert, in «Vacanze di Natale ‘95»)

 

Berlusconi, nella sua vita di statista ed imprenditore, ha indirettamente suggerito al paese una di quelle domande senza risposta esatta: esistono i «tossici» perché ci sono gli «spacciatori» o esistono gli «spacciatori» perché ci sono i «tossici»? Mi sbilancio. A mio avviso è più verosimile la seconda opzione. In Italia, Berlusconi – non solo dal punto di vista politico – ha trovato una grande confusione sotto al cielo, una situazione eccellente  per quella che è stata una vera e propria rivoluzione culturale a base di telequiz, tette e volgarità catartica. L’italiano medio degli anni ‘90 si è infatti appena sfogato durante il secondo boom economico craxiano e, dopo essersi riempito la pancia, vuole regolare i conti con il nemico che lo ha tiranneggiato per tanto, troppo tempo: l’aristocrazia intellettuale. Parliamo di quelle persone che, a partire da fine anni ’60, hanno strumentalizzato il Vietnam, la lotta di classe, il femminismo e quant’altro per occupare scuole, copulare, assumere cannabinoidi e, più in generale, guadagnarsi spazi di socialità che le famiglie del periodo ancora non concedevano. Non ci sarebbe stato niente di male, se quegli stessi vecchi studenti, invece di limitarsi all’aspetto ludico, non avessero poi avuto una dissociazione dalla realtà, immedesimandosi così tanto nel proprio ruolo da frantumare le gonadi al prossimo vita natural durante. Una vera e propria autoproclamazione come miglior generazione di sempre: i sessantottini diventano il faro dell’intellighenzia italiana. Una promessa di tempi buissimi.

 

Cinepanettone 3

Silvio Berlusconi spianò la strada ai cinepanettoni

 

Purtroppo, come in tutte le situazioni in cui c’è solo autoreferenzialità, i risultati di questo trend sono disastrosi. Mi spiego meglio. Negli anni ’60, in qualsiasi campo artistico e sociale, onde ottenere un riconoscimento era necessario, per schieramenti contrapposti, confrontarsi, dibattere, a volte arrivare persino allo scontro. Dino Risi, tanto per fare un esempio,non poteva sopportare Antonioni, anche se, pur criticando il suo cinema, mai ne mise in dubbio la bravura. Era riconosciuta, insomma, una pari dignità tra anime differenti. Un duello sullo stesso piano. Ma ciò finisce con gli anni ’70 e con l’impegno politico a tutti i costi. Qui comincia una dicotomia. O guardi determinati film o sei stupido. O leggi determinati giornali o sei stupido. O citi determinati scrittori o sei stupido. L’intelligenza diventa solo e soltanto di sinistra. Il cinema d’autore ugualmente, arrivando a standard narrativi masturbatori (Nanni Moretti docet). Da una parte, così, assistiamo alla crisi del cinema italiano, con opere sempre più elitarie e non criticabili – come i vestiti nuovi dell’imperatore – e dall’altra una grossa componente dell’Italia va in cancrena spirituale, finendo verso la deriva anti-essai dei poliziotteschi e dei film in cui Pierino sbircia la Fenech dalla serratura.

 

Cinepanettone 4

Edwige Fenech in Dio, sei proprio un padreterno! (1973)

 

Questo fino all’avvento di Berlusconi. Il cavaliere ricorda a questa maggioranza silenziosa di essere, appunto, la maggioranza e che, forse, non è poi così mediocre come gli è stato fatto credere. Ora. Non importa se lo stesso Berlusconi avesse ragione o meno. Anzi. È indubbio che un pubblico nutrito per anni di trash non possa che averne assorbito tutte le negatività. La cosa fondamentale, però, è come una massa di persone sì incattivita, ma allo stesso tempo intorpidita, abbia trovato dentro di sé la voglia di ricacciare in gola quella che reputava una supponenza di matrice radical chic. E, voilà, ecco il vero e proprio cinepanettone. Un punto di riferimento per la media e bassa borghesia, ovvero gran parte del paese. Una chance di rivalsa boccacesca. Una standing ovation fantozziana dopo la reprimenda alla Corazzata Kotiomkin. Come? Semplice. Basta pensare a quello che è l’algoritmo, la formula algebrica della battuta da cinepanettone: un climax di vocaboli forbiti, seguito in conclusione dalla più becera volgarità espiatoria. Cos’è questa struttura se non una mirabile pernacchia al mondo intellettuale, un bubbone purulento che esplode, la sublimazione del cattivo gusto?Per i successivi vent’anni questa rimarrà la contraddizione ed il problema della sinistra, anche nel cinema: difendere e comprendere la massa sentendosi superiore ad essa. In pratica un’autostrada per Berlusconi verso due decadi di protagonismo sulla scena politica.

 

«Io sono disposta a perdere tutto per stare con te!»

«Ma io no. Non posso accettare un sacrificio in cui sei la sola a rimetterci. Che futuro ti posso offrire? Una vita grama, misera, indegna di te. Dagli abiti firmati ti troveresti con delle stoffe lacere sul deretano…»

«Cioè?»

«Co’ le pezze ar culo!»

(Dialogo tra Ferilli e De Sica in «Natale a New York», uno dei tanti esempi dell’algoritmo comico applicato alle battute nei cinepanettoni)

 

Le ragioni del successo e la fine

 «E dimme un po’, è olandese?»

«No, è italiana.»

«Mejo! Le italiane in vacanza so’ ‘e più tttrrroie… Da’ retta a me, come la vedi parti co’ la mano, eh, te strusci un po’, un movimento d’anca e bacino e le fai senti’ la sequoia, quella se sturba e te, zac, la calzi!»

(Un commovente scambio di opinioni tra il Comandante Trivellone ed il figlio, in «Merry Christmas», pietra miliare del cinema italiano, premiato a Cannes con la Palma d’Oro)

 

Nei primi cinquanta incassi di sempre registrati in Italia figurano ben sette cinepanettoni, nonostante dal 2010 l’impero bizantino di De Laurentis sia definitivamente collassato sotto i colpi ottomani del tempo. Il record è di Natale sul Nilo, con 28 milioni di euro nel 2002. Inutile girarci intorno: in pochi se ne sono fatti una ragione, gli altri – soprattutto i cinefili più accaniti – hanno optato per un classico karakiri o per una capsula di cianuro da masticare con avidità. Se dovessi spiegare personalmente il successo del cinepanettone punterei sul talento istrionico di Christian De Sica, ultima maschera sordiana dei nostri tempi, e sulla sua capacità di giogioneggiare – roba almeno da Golden Globe – sopra al partner d’attacco Massimo Boldi. L’umorismo fisico di quest’ultimo, alla Benny Hill, mi ha invece sempre convinto meno. Certo, a parte qualche raro momento di cristallina bravura, come quando, in Vacanze di Natale ‘95 tenta di difendere la verginità della Capotondi a colpi di «Beshtia! Me la ciulano, me la ciulano!».

 

Cinepanettone 5

De Sica e Boldi in vacanze di Natale 95

 

Ho tuttavia premesso, all’inizio del pezzo, di non poter essere del tutto obiettivo, vista la mia «perversione» per i cinepanettoni e quindi provo a fare un’analisi più distaccata, partendo da tutta una serie di ipotesi. Un primo, sommario giudizio vedrebbe nell’elementarità delle gag la chiave per solleticare il nazional popolare sense of humor dell’italiano medio. Parliamo di rutti, scoregge, del «Mmmammma mia commme sssto» di Enzo Salvi, delle trame da far incenerire il povero Gian Luigi Rondi, delle docce cult tra Boldi e De Sica, delle corna, degli equivoci, delle scene no sense dei Fichi d’India, dei piercing conficcati nel glande di Boldi, dei tormentoni musicali, delle comparsate vip di personaggi come Belen Rodriguez, degli incidenti sugli scii, degli oggetti contundenti che finiscono nel deretano di Boldi, dei tappi di champagne che finiscono in bocca a Boldi, delle discese a spazzaneve di Boldi a bordo di un cesso, delle mete esotiche, dell’italiano usato come lingua da qualsiasi personaggio in qualsiasi parte del mondo e via dicendo. Tuttavia, questa risulta solo un’analisi superficiale del trend che ha fatto incassare ad Aurelio De Laurentis milioni e milioni di euro. Soprattutto perché le dinamiche prima citate sono inserite nel contesto del lungometraggio quasi esclusivamente a favore del pubblico più giovane: bambini che vanno al cinema con le famiglie per Natale. Questo si può facilmente desumere da come feticci comici quali feci ed urina siano onnipresenti, mentre manchino del tutto accenni ad altri liquidi corporei, palesatisi in film come Tutti pazzi per Mary. Una semplice questione di marketing, dunque.

 

Cinepanettone 6

Belen Rodriguez con Massimo Ghini e Giorgio Panariello nel set d Vacanze in Sudafrica

 

 

Tolto un umorismo così brutto, greve e kitsch da diventare divertente –una comicità basata su De Sica e Ghini che chiedono a dei maiali «Avete domande da porci?»ha una genialità surreale alla Allen – resta un’altra ipotesi piuttosto intuitiva. Il sesso. O meglio: il sesso per uomini arrapati. Nel film tratto dalla serie televisiva Boris, Glauco spiega come il motore del cinepanettone siano le tette, paragonando quest’ultime al significato di utopia per Galeano. L’utopia, per il giornalista uruguaiano,  è l’orizzonte. Ci si avvicina ed esso e lui si allontana sempre di due passi. A cosa serve allora l’utopia stessa? A camminare. Ecco. Un po’ come le tette – concupite dai meschini protagonisti– fanno appunto incassare al botteghino. Anche questa è un’opinione che ha il suo perché, ma nonostante la fondatezza non mi convince a pieno, restando giusto un sottofondo, come del resto lo sono i regionalismi studiati ad arte (mai nei cinepanettoni devono mancare un romano, un milanese, un napoletano e possibilmente un toscano).Se quindi dovessi indicare il vero motivo per cui queste pellicole hanno incassato così tanto opterei per la cattiveria e l’ipocrisia intrinseca degli italiani. Per la loro bramosia di politicamente scorretto impunito da giudizi morali. Nei cinepanettoni – e chiunque ne ha visto mezzo non potrà che essere d’accordo – non esistono momenti toccanti, né pudore nei confronti di qualsiasi argomento. D’Angelo recita una struggente poesia in napoletano, De Sica applaude ma sottolinea come «non ci abbia capito un cazzo». De Sica chiede perdono a ben due famiglie per la sua poligamia, in prossimità dei titoli di coda si scopre che ne ha una terza. E poi l’immaginario collettivo recondito, gli stereotipi bidimensionali. I gay diventano tutti «froci» e di certo non hanno la dignità di Mastroianni in Una giornata particolare o l’umanità di Ledger in Brokeback Mountain. Sono bensì effemminati, petulanti, spesso infingardi nel molestare il «normale». Le donne, allo stesso tempo, ricalcano un altro cliché squisitamente maschilista: tutte «fregne», ma pure avide, e sempre pronte a scuccare il marito fedifrago per potergli svuotare il portafoglio. È un cruccio, per me, porre tale critica. Ma devo.

 

Cinepanettone 7

In Vacanze di Natale 2000 c’era anche la partecipazione di Nino D’angelo

 

 Insomma: il cinepanettone giustifica nello spettatore qualsiasi pensiero bestiale, mettendolo pure in condizione di riderci sopra senza pentimento alcuno. Si crea quindi una reciprocità: esistono i «tossici» perché ci sono gli «spacciatori» e viceversa. Una situazione imponderabile per la contemporanea, esiziale commedia italiana, cioè per quei film con trame peggiori dei cinepanettoni stessi, ma valutati come delicati e dall’umorismo sano (li potete riconoscere perché nel cast ci sono sempre Paola Cortellesi, o Raoul Bova, o Rocco Papaleo o Luca Argentero o tutti quanti insieme), che ha il peccato capitale di voler dar sempre una sorta di morale alla fine della storia, come a volersi innalzare dal semplice e puro intrattenimento. Si tratta di un’etica spicciola, subdola, da due soldi, cosa che fa imbestialire l’italiano che invece di morale, proprio, non ne vuole mai e poi mai sentir parlare. Come oggigiorno, ai tempi della crisi, non vuole più sentir parlare di vacanze, ricchezza, postriboli, profittatori – è finita in soffitta anche l’atavica fascinazione italiana per i furbi – ma preferisce sorbirsi Checco Zalone che sfotte vegani, politici ed intellettuali ambientalisti mentre cerca di tenersi il posto fisso, facendo ammuffire per sempre il vituperato cinepanettone e andando a finanziare quello che sarà il fenomeno in sala per i prossimi dieci anni. È già nostalgia per le flatulenze di Boldi e le burle desichiane? «Che dolore pazzesco», direbbe il primo. «Ma non diciamo cazzate», risponderebbe il secondo.

 

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