Martin Scorsese e Robert De Niro, la coppia che conquistò Hollywood.

«Senti, non è che devi sempre vedere tutto in bianco e nero», Bob si sentiva a disagio nell’esprimere una qualsivoglia forma di giudizio su un amico; quell’amico, però, riversava sulle distese bianche di un letto d’ospedale.

Il piccoletto, il ragazzino di Little Italy che non riusciva a farsi strada tra le gang del quartiere; l’uomo che, in un imprecisato pomeriggio, aveva consacrato la sua vita al cinema: la versione reale di Bud, il ragazzino del film di Terence Davies Il lungo giorno finisce, era inerme sul suo scheletro invece di girare un altro film.

«Non dicevi sempre una cosa come “Non ti preoccupare, qualsiasi cosa succeda, sarà qualcosa di brutto”?», chiese Bob tamburellando con le dita la spalliera del lettino. Il suo gesto nervoso venne intercettato dall’amico che, in una smorfia divertita, rispose: «Lo diceva sempre mio padre quando ero piccolo, a me e a mia madre. Lo dice ancora, ogni tanto».

«Almeno sorridi».

 

Martin Scorsese 1

Martin Scorsese

 

I due si guardarono ponderando le giuste parole da lasciare libere nell’aria: ma ce ne sono di giuste?

Martin non sorrideva da così tanto tempo che si strofinò la mascella per un po’, con un gesto veloce delle dita; un esercizio fisico a cui non era più abituato.

Solo pochi giorni prima era in compagnia di Isabella Rossellini e Wim Wenders. In quale momento tutto aveva iniziato ad andare storto?

“È colpa del cinema”, pensò amareggiato. “Dovevo farmi prete”.

Non aveva la giusta determinazione per fare queste confessioni all’amico, un amico che si era precipitato a trovarlo al New York Hospital.

“Posso anche permettermi un collasso emotivo, un crollo psichico ogni tanto. Non sono poi così diverso dalla città: New York, è il 1978 e tre anni fa hai toccato l’abisso. Ora tocca a me”.

 

Martin-Scorsese 9

Martin Scorsese con il grande amico Robert De Niro sul set di Taxy Driver

 

New York, New York si era rivelato un disastro, un fiasco al botteghino.

Martin Scorsese era nel pieno di una parabola discendente; l’uomo che aveva girato Taxi Driver non era che un’ombra strisciante da un party all’altro senza soluzione di continuità.

Parigi, Londra, Roma e l’ospite era sempre lo stesso: la cocaina.

Il male sotterraneo che, irruentemente, aveva spezzato la città con lui; Hollywood rimase immobile a guardare.

Il documentario L’ultimo valzer venne accolto bene dalla critica ma non bastava.

Una Palma d’oro e quattro, quattro nomination all’Oscar per Taxi Driver solo poco più di un anno prima. E poi l’allettante sensazione di gettare al vento un talento, il tranello esistenziale a cui sono sottoposti tutti i grandi.

 

Martin-Scorsese 3

Martin Scorsese con De Niro sul set di Taxi Driver

 

“Volevo girare Gangs of New York”, continuava a rimuginare il regista interrotto improvvisamente da Bob.

«Paul ha scritto una sceneggiatura incredibile. È come un pugno in faccia di cui non conosci la direzione».

Niente, Martin giaceva immobile, una statua di sale. Neanche la drammatica e ben costruita sceneggiatura di Paul Schrader sembrava convincerlo più di tanto.

“Che film girare dopo New York, New York? Il pubblico ha davvero bisogno di un altro antieroe come Travis Bickle? Se solo potessi fare un altro lavoro, uno diverso simile a L’ultimo valzer: Van Morrison, Bob Dylan, Joni Mitchell senza dovermi calare nel mondo della boxe di cui non so nulla”.

Martin aveva raggiunto il peso di quarantanove kg come lui stesso avrebbe raccontato in seguito. Le idee c’erano ma la presa era debole.

Farla finita col cinema.

E di nuovo la cocaina, con più veemenza di prima.

 

Martin-Scorsese 4

Martin Scorsese con Robbie Patterson, leader del gruppo americano The Band protagonista del documentario L’ultimo valzer

 

Quando il film è giusto lo senti, ti senti in confidenza col progetto, rilassato, “a tuo agio”.

Lui era completamente disconnesso dal mondo, in differita da se stesso.

Robert lo sapeva ed era già un passo avanti al collega che l’aveva già diretto in grandi film. Taxi Driver era giusto, Mean Streets pure, perché, perché Martin Scorsese non riuscire a sentire sulla pelle anche quel nuovo film?

Bob è uno che ha l’occhio lungo e il malato regista ne è consapevole; il fortunato sodalizio è nato anche per questo: Martin Scorsese ha il sogno, un’idea di un mondo, il giovane attore ha fiuto per quel genere di storie basate su dilanianti dicotomie.

Insieme creavano un incastro magico capace di tracciare le coordinate di un’epoca alla deriva, e delle anime che vi si agitavano dentro.

La componente fortemente schizofrenica dei temi trattati in ogni singolo lungometraggio, trova la sua matrice nell’infanzia del regista.

In bilico tra peccato e redenzione, filosofia di strada e trascendenza: Martin Scorsese è cresciuto in un ambiente dove le scelte di vita rassomigliavano a un codice binario.

 

Martin-Scorsese 2

Martin Scorsese è cresciuto in un ambiente dove le scelte di vita rassomigliavano a un codice binario

 

L’intero spettro di colori lo trovò nel cinema. I grandi film di Ozu, i registi neorealisti italiani, le immense opere americane come Duello al sole: la sala buia era il ricettacolo di una fantasia viva, un’epoca sorretta da autori ancora spinti dalla passione per il proprio lavoro.

Martin lo sapeva, come tutto il suo quartiere d’altronde: il giovane italoamericano, il piccoletto con l’asma non sarebbe mai cresciuto a suon di calci e pugni: non era De Niro, non lo era mai stato.

L’arte del cinema diventò l’unica presenza a cui poteva concedersi senza riserve. E così faceva. Rimaneva la vittima consenziente della sfilata di fantasmi e, quei fantasmi, erano i registi che aveva e avrebbe amato: gli entusiasti della Nouvelle Vague, l’americano Cassevetes, Oshima. Il venerato Powell.

Si sentiva come John del film La folla di King Vidor: un uomo destinato a scontrarsi con un destino ben più grande di lui e dello slancio dei pensieri che avevano formato una vita intera.

Solo, con le braccia alzate per aria, in mezzo alla folla di progetti che non sentiva suoi.

Eppure De Niro avrebbe spinto Martin Scorsese a girare una delle opere sì meno sentite ma tra le più pregevoli della sua carriera: Re per una notte.

 

Martin-Scorsese 7

Martin Scorsese dietro alla macchina da presa

 

È ancora il 1978 e i due amici sono ancora al New York Hospital.

L’infanzia sul duro asfalto e l’etica del bullismo è lontana, così un’opera più hollywoodiana come Il colore dei soldi; il progetto a lungo agognato L’ultima tentazione di Cristo; la discesa lisergica negli inferi di Fuori orario e Quei bravi ragazzi la cui sceneggiatura fu approvata da una leggenda come Michael Powell.

Scarpette rosse colpì così profondamente l’immaginario di un giovanissimo Scorsese. L’incredibile dramma spinse il ragazzo farsi uomo, il seme diventare visione ed entrare in un mondo magico.

“La moquette spessa, l’oscurità, la sensazione di sicurezza”, la laica confessione di un uomo votato alla settima arte.

Cinema come atto di fede, luogo sacro dove affrancarsi dall’asma e dai mali del corpo: il sollievo per un’anima

«Sei ancora arrabbiato per New York, New York. Lo capisco».

Martin guardò l’amico serrando la mascella.

«Dovresti andare a Roma», continuò Bob e non sembrava voler desistere. «Rilassati, vai a trovare Isabella».

Martin Scorsese era stanco dei progetti degli altri, di essere indirizzato dall’industria, dal pubblico, da un’idea che non trovava voce nella sua testa e, persino, da Robert De Niro.

«È la storia di Jack LaMotta. La sua vita e la mia. Devo ingrassare per questo ruolo, non ho più vent’anni. Ora o mai più».

«Non ero io quello che vedeva tutto in bianco e nero?»

 

Martin-Scorsese 6

Martin Scorsese con De niro durante le riprese di Toro Scatenato

 

Bob sorrise ma l’immagine di Martin a letto era più sconcertante di qualsiasi fotogramma avesse mai visto sullo schermo.

«Sei sempre a letto».

«Quattro giorni su sette», rispose Scorsese ripensando agli ultimi mesi.

Dell’opinione della gente non gli importava più; l’emorragia interna andava ben oltre il corpo intaccando carriera, amicizie e amori.

La creatività l’aveva lasciato.

“Gira quello che conosci”, le parole di un insegnante germogliarono in una mente apparentemente arida.

Cosa conosceva Martin se non l’inevitabilità di un corpo distrutto dalla droga?

Mentre si chiudeva tra le paratie stagne di risposte e domande che non si trovavano, De Niro continuava a parlare incessantemente.

«Cos’hai? Non capisci che solo tu puoi girare questo film?».

“Solo io?”, chiese al suo io momentaneamente scisso. “Perché io?”.

La figura obesa di Jack LaMotta. Il toro del Bronx, l’ambigua figura di un uomo tormentato: vincitore di un mondiale a Detroit, testimone della predominanza della mafia nello sport e tendenzialmente violento.

Anche questa persona, terribilmente reale, era condannata a una dicotomia senza pace non dissimilmente dai personaggi scelti da Scorsese.

La paura aveva spinto LaMotta a difendersi dai reiterati pestaggi dei coetanei con un punteruolo. La schermatura del regista era costituita da benzoilmetilecgonina.

 

Martin-Scorsese 8

La parabola di Jake LaMotta divenne uno stimolo per la lotta di Martin Scorsese

 

Questi due figli dell’America che tutti aveva accolto a denti stretti, costruendo parte della sua forza sulla schiena degli immigrati, erano sconnessi dallo spirito del proprio tempo e dalle sadiche leggi imposte dalla società.

«Non vuoi farlo questo film? Partirà dal centro della storia, lo spettatore sarà catapultato dritto nel ring!».

Entusiasta è un eufemismo; De Niro voleva il film ma Scorsese era il film.

“Quel film parla, parla di me”, realizzò finalmente colpito dall’animosità di Bob nell’esporre il progetto.

Guardò l’amico sotto una luce nuova: lui lo sapeva, era il regalo dell’attore a un amico in difficoltà.

«Tu lo sapevi”, pensò lasciando le labbra secche incollate dalla pelle che lentamente si stava staccando.

«Vai a trovare Isabella. Rilassati a Roma, prendi un respiro e torna. Torna».

Tornare dal mondo che aveva trovato oltre lo specchio non era mai stato così difficile.

Avrebbe voluto dire a Bob degli universi che collassavano e nascevano una volta squarciato il velo: il velo nero al centro della sala cinematografica.

Dalla ferita che il cinema aveva inflitto al nostro mondo ne uscì Martin, Martin Scorsese.

 

*****

Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: Freaks – Il lato oscuro del cinema: Rainer Werner Fassbinder.