Oreste Macrì con il suo libro omaggia generazioni di grandi poeti italiani, tra i quali alcuni sono vittima di una ingiusta mancanza di riconoscimento: da Luzi a Parronchi.

Esiste un rapporto stretto che lega l’arte agli artisti che se ne servono. Questo legame tende a decifrare, e allo stesso tempo celare, un mondo potenzialmente infinito che nasce nell’intimo del poeta, nel suo ‘abisso baudelariano’ per andare poi oltre, alla ricerca di una vita che dia barlumi. Ogni artista, ogni poeta è oltre, vive, sente e vede oltre. Il suo percepire è oltre. È un veggente, per dirla alla Rimbaud. Questa è la sua forza e, nel contemporaneo rapportarsi a un presente limitato, la sua debolezza.

 

Ciò che rende grande un poeta è la sua immagine che la critica disegna. Chi non conosce Pascoli o Manzoni? Dante o Leopardi? Ci sono autori che chiunque nella sua vita ha sentito almeno una volta nominare, che sono stati resi eterni. Altri che purtroppo non hanno ancora vissuto la stessa sorte, altri ancora che non la vivranno mai.

 

Nel Novecento fiorentino il critico, metricista, scrittore Oreste Macrì, guidato dalla passione novecentesca, dalla vocazione alla metrica e alla traduzione, osservando i poeti che accompagnavano la sua vita e quelli che lo avevano preceduto, e spinto dalla volontà di dar dignità a quei poeti a lui contemporanei scrive la sua Teoria letteraria delle generazioni: un ordinato manifesto, fondamentale per il novecento fiorentino e più in generale italiano, in cui i maggiori poeti del Novecento sono classificati per generazioni.

 

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Oreste Macrì nel suo studio

 

Seguendo il modello di Macrì possiamo individuare cinque generazioni nell’arco del Novecento: una prima generazione composta da autori come Ungaretti, Saba e Campana, una seconda con poeti come Montale e Quasimodo, una terza con autori come Caproni, Parronchi e Bigongiari, una quarta con personaggi come Zanzotto e Pasolini e infine una quinta con autori come Raboni e Porta. A intervallare le generazioni, tempi vuoti, anni senza ispirazione, neri, bui.

 

L’opera non è scritta dall’esterno, come spesso accade, ma dall’interno. Macrì parla infatti dall’interno della sua stessa opera, dall’interno di una di quelle generazioni che va descrivendo.

Le categorie nascono per autoriconoscimento e aggregazione. Il poeta è importante, ma lo è in quanto membro di un insieme di artisti. Singolo e gruppo si completano così, formando una catena che porta benefici a tutti. I modelli, gli stili vengono creati dall’interno verso l’esterno ed eletti orizzontalmente, non più verticalmente. Questo porta alla formazione di una nuova idea di storia letteraria.

 

La generazione di Macrì, la terza del Novecento, quella del quattordici, è una delle più importanti del secolo, nonostante abbia un ruolo ancora minore nei programmi scolastici nella cultura popolare ‘di massa’. Ha il suo epicentro a Firenze ed è dominata dal mito dell’amicizia. Fu definita, con un termine che lo stesso autore definisce insensato, ermetica. Questo perché di una generazione più degli ideali e dei valori del gruppo, conta la ricostruzione che verrà fatta a posteriori. Una generazione è ciò che di essa vien detto, è la propria capacità di entrare nel Tempo e di isolarcisi.

 

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Macrì, il secondo da sinistra, con Bigongiari, Varese, Gerola, Pampaloni e Parronchi

 

Di questa generazione Mario Luzi, Parronchi e Bigongiari sono tre dei principali protagonisti e Mario Luzi è sicuramente uno dei maggiori di questi, se non il principale. Ma in quanti hanno sentito il nome di questo fiorentino al liceo? Andrebbe regalato più spazio a certi poeti, sarebbe necessario offrire più pagine dei nostri libri e ore di studio alla cultura e alla poesia in generale. ‘Bisogna fargliela conoscere, proporgliela, fargliela leggere, ai giovani, la poesia. Bisogna creare occasioni di scoperta e di novità. Non si può dire che, soprattutto in questi ultimi anni, non si faccia. Ma l’esito è comunque incerto.‘, recitava lo stesso Luzi.

 

La volontà del poeta classe quattordici è chiara e sicuramente condivisibile. La poesia va fatta studiare e conoscere. La Barca, di Mario Luzi, con la sua giustificazione della fragilità, con i suoi personaggi umili e la sua ricerca di una fisica perfetta è uno dei capolavori del Novecento italiano. A soli ventuno anni Mario Luzi riuscì a pennellare un capolavoro in versi. Recò nella cultura poetica dell’Ermetismo una più risoluta opzione per il passo profondo del tempo umano. Ci sono tracce di molti modelli, dal filone mallearmeano-rimbaudiano, all’ermetismo evocativo di Onofri, Quasimodo e Ungaretti, e alla lezione di Montale.

 

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Eugenio Montale nel suo salotto

 

E trai suoi versi c’è una capacità di andare sempre oltre i modelli, oltre ciò da cui ha avuto inizio il suo ragionare. È un volume dall’equilibrio perfetto La Barca, che muove il lettore verso lidi inesplorati, attraverso figure femminili che si rincorrono a suscitare pietas. E cosa dire di Avvento Notturno? È il testo capolavoro del secondo ermetismo, aleggia tra Medio Oriente e astratto alla ricerca di pace. Tra infiniti enjambement, il poeta non ha più la gioia di vivere che aveva quand’era circondato dai tanti amici della Barca. È solo e vive nella memoria muovendo i suoi versi in due sensi, verso l’ignoto e, in circolo, verso il monotono.

 

‘Ombra, non più che un’ombra è la mia vita / per le strade che ingombra il mio ricordo impassibile’.

 

E ancora Primizie del Deserto, ‘L’amore aiuta a vivere, a durare / l’amore annulla e dà principio. E quando / chi soffre o langue spera, se anche spera / che un soccorso s’annunci da lontano, / è in lui, un soffio basta a suscitarlo.’, Onore del Vero e Nel Magma in cui interiorità e apparenza si mischiano. E poi le altre raccolte, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia, dove la poesia si estende nella sua possibilità di partecipazione corale,

 

‘la parola all’unisono di vivi / e morti, la vivente comunione / di tempo e eternità / vale a recidere / il duro filamento d’elegia.’

 

E poi ancora il tema religioso e mille altri, che si intonano e evocano in sempre nuove luminose esperienze di evocazioni simboliche. Verdino ci dice di Mario Luzi che:

 

‘è stato probabilmente l’ultimo poeta che ha vissuto naturalmente la lingua italiana. Dopo è stato difficile se non impossibile, e non è un caso che i quattro più importanti poeti viventi della successiva generazione abbiano piuttosto preferito o una nozione gergale, come Zanzotto, o una pratica ironica, come Giudici.’

 

Sicuramente Mario Luzi è uno di quei poeti che meriterebbero una fama maggiore e probabilmente a piccoli passi avrà la considerazione che merita. Il lavoro di Macrì nasce qui, nella volontà di dar valore a certi poeti, a certe opere, e qui ha vita l’importanza della sua opera.

 

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Mario Luzi

 

In quanti, per restare a Firenze, conoscono un altro capolavoro del Novecento come I giorni sensibili di Parronchi? Spaziando in un lessico che aleggia in un mare neoclassico, i suoi versi leggeri rivelano un poeta visivo, sulle orme di Rimbaud e Campana e sugli echi dell’esperienza ermetica nella quale egli si formò. Ha modelli come il Foscolo delle Grazie o il Leopardi degli Idilli. Si racconta che il titolo dell’opera, I giorni Sensibili, sia stato scelto insieme a Mario Luzi davanti alla stazione di Santa Maria Novella, a Firenze.

 

Tra cinquant’anni magari tutti studieranno questi poeti, magari chiedendo a un bambino chi sia Parronchi ci saprà dire ‘un poeta’. Certe volte l’eternità arriva in ritardo. E chi sa se in questo momento altri giovani poeti fiorentini non stiano scegliendo un nome per una loro raccolta in qualche piazza fiorentina. Chi sa come parleranno di questi anni i critici. Forse siamo solo un intervallo buio tra spazi temporali più luminosi.

 

Tutto si muove dall’immaginazione, anche l’eternità.

 

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