Cosa si nasconde dietro al leader di En Marche! Un viaggio nella sua vita, ma anche nella sua testa. Nei limiti della verità.

Prima di intraprendere la tortuosa strada per spiegare chi sia Emmanuel Macron, ci terrei a esporre un concetto che, nella mia mente, chiede voce. La politica, per quanto il comune buonsenso tenda ormai a denigrarla, è l’arte di saper scegliere. Se la scelta sia corretta o sbagliata, poco importa e spetterà ai posteri giudicarla, ma semplicemente il fatto di scegliere implica un’azione politica. In questa applicazione esistenzialista della natura politica, si sottintende un secondo fattore: destra e sinistra sono dei semplici prodotti – contemporanei, tra l’altro –  ed il fatto di essere di destra, piuttosto che di sinistra, vuol dire aderire a gran parte delle scelte che, combinate in un insieme, appartengono alla destra o alla sinistra. Le strade percorribili però, sono già state tracciate dalla storia e questo pantheon di scelte, slegate l’una dall’altra, è il vero establishment: nessun assemblaggio sarà mai innovativo quanto proporre una scelta che nessuno mai prima avrebbe fatto.  Ora, né Grillo, Renzi, Salvini, ma neanche Trump, Le Pen o il nostro Macron mi paiono questi rivoluzionari dal potere di aprire una nuova breccia nella storia. Potranno creare ferite, ma non nuove alternative. Pertanto, bisognerebbe smetterla con la storia dell’anti-establishment: il vero rivoluzionario è quello che, nei momenti di carestia, anziché tenere in vita le vecchie fiamme di passione, si rimbocca le maniche e ne cerca una nuova.

 

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Emmanuel Macron, Salvini, Le Pen e Trump non sembrano proprio dei rivoluzionari

 

Questa premessa è dovuta, dal momento che ogni giorno, a qualsiasi elezione, spunta fuori qualche nuovo volto da buttare in copertina e vendere come “fuori dal sistema”. Ora, poiché i veri rivoluzionari li porta la sorte, io preferisco affidarmi anche a questi nuovi assemblatori, a questa nuova generazione di politici che non inventa nulla, ma scombina tutto, purché riescano, senza smuovere né il cielo né la terra, a tamponare la costante emorragia in cui versiamo, in attesa di un demiurgo che ci salvi dal baratro con una nuova e vera alternativa (poi tanto, il ciclo si ripeterà). Emmanuel Macron, con quell’aria cordiale da bravo ragazzo, può essere un buon mazziere in questa cruciale mano di carte?

 

Per capire cosa possa fare, bisogna capire chi sia. Ci sono due passaggi della sua vita che ne possono inquadrare la personalità: l’istruzione e la vocazione. L’istruzione nella vita di un enfant prodige non per forza è necessaria, a volte il genio esce fuori lo stesso senza aver mai aperto un abecedario, ma Macron non è un genio, è solo molto intelligente. Così, combinate l’intelligenza ad una delle migliori accademie di formazione politica francesi e potrete avere una creatura che, in un mondo indirizzato verso la mediocrità, avrà poche difficoltà ad emergere. Il master alla Ena (École nationale d’administration), la prestigiosa scuola di cui sopra, è soltanto un lasciapassare verso il mondo dei grandi, perché per quanto formativo, si avvicina soltanto a quella che è la vera vocazione di Macron: la finanza.

 

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Emmanuel Macron non è un genio, è solo molto intelligente

 

L’intelligenza, d’altronde, non è fatta per le sole parole: esse sono suscettibili, cambiano forma a seconda di chi le legge, i numeri invece no, quelli sono chiari e palesi, seppur illeggibili ai più – e proprio per questo, affascinano il nostro intelletto. Il giovane Macron, seppur corteggiato dalla pubblica amministrazione, si butta nel mondo della finanza e comincia, in questo pericoloso mare abitato da squali, a farsi le ossa. Alla Rotschild, la nota banca d’investimento francese, Macron trova un terreno fertile per emergere: il suo fascino, lo stesso che il gossip gli attribuisce parlando della sua veneranda moglie, è utile per gli affari e se è vero che sono i numeri a determinare i conti, è anche vero che con le parole gli stessi si possono gestire a proprio piacimento. Macron è abile nel far fruttare soldi sia nelle proprie tasche sia nei fondi Rotschild e ciò gli assicura una visibilità precoce anche nel mondo della politica. Lo scopre  Jacques Attali, uno dei più fedeli scudieri di Mitterand e lo stesso lo presenta a Hollande. Il giovane finanziere entra così per la prima volta all’Eliseo, passando per una strada privilegiata, un red carpet che conduce direttamente all’entrata sul retro. Sembrerebbe un ossimoro, ma è l’immagine più vicina alla realtà che mi sia venuta in mente. Perché il ruolo di Vice segretario generale della presidenza della Repubblica non è un ruolo di facciata, ma è la perfetta carica per chi sa cosa deve fare, ma ancora non ci tiene ad apparire. Il ruolo di “uomo ombra” però, non è la massima aspirazione di Macron, il quale, per il poco che si può riconoscere del carattere di una persona con cui non si è mai parlato, ha una naturale ambizione a emergere che nasce dalla convinzione dei propri mezzi.

 

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Emmanuel Macron con sua moglie, abituati ai gossip e ai red carpet

 

Così, smaltita la beffa di non aver ricevuto promozioni al primo cambio della guardia nell’esecutivo di Hollande, nel 2014 ritorna al settore privato: è solo una posizione temporanea, perché il suo talento viene finalmente compreso dalle alte cariche francesi. Scaricato il Ministro dell’Economia in carica Anaud Montebourg, il Primo Ministro Valles gli offre l’incarico: siamo sempre nel 2014 e a soli trentaquattro anni, Macron comincia a guardare Parigi da un’altezza vertiginosa. L’escalation di Macron è invidiabile e genera sospetti. Se a oggi sono qui a buttar giù qualche parola con la presunzione di intendermene del personaggio, è solo perché l’esposizione mediatica di Macron ha raggiunto livelli tali che i sospetti sino a ieri sottaciuti non possono più essere nascosti. Chi è Macron? Si nasconde qualcosa dietro al nuovo rampollo d’oro della politica europea? Il passato nella finanza è il primo punto a favore degli scettici, poiché sappiamo che per quanto sia facile perdere o vincere soldi per un comune mortale, c’è, attorno al cuore pulsante dell’economia, un manipolo di persone che continua ad arricchirsi senza ritegno (establishment, che brutta parola).

 

La domanda che tutti si pongono è: non sarà Macron un fido emissario di codesti potenti – senza nome né volto. In parte potrebbe, ma senza averne ancora un riscontro – aspettiamo che governi – posso solo affidarmi alle sensazioni che trasmette il personaggio: o è un attore preparatissimo oppure ha abbastanza animo e buon cuore da aver beneficiato degli aiuti necessari senza però essersi mai svenduto definitivamente al male. Se si analizza la carriera che abbiamo appena descritto, ci sono tutti gli ingredienti per un fraintendimento. Il problema di chi ha avuto la strada spianata è sempre duplice, specialmente se sei italiano e potresti far scuola tranquillamente ai francesi sull’argomento: abilità o raccomandazione? Se sapessi la risposta con certezza, forse avrei già strappato un contratto al New York Times.

 

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Quella di Emmanuel Macron è abilità o raccomandazione?

 

Quel che si sa, però, è il mero biografismo: la carica di Ministro aumenta le quotazioni di Macron non solo negli ambienti interni ai palazzi del potere, ma anche nel pubblico, con il quale il Presidente più giovane della storia francese sa giocare e comunicare. Nel 2014 diventa ufficialmente un personaggio pubblico e per tale comincia a esser noto ai più. Così noto da essere arrivato dov’è oggi. Eppure, e per fortuna, la politica non ragiona come Instagram pertanto la visibilità funziona sino a un certo punto. I contenuti sono ancora fondamentali. Il programma di Macron è perfettamente in linea con quanto detto in apertura: prendete il mazzo, ma invece di giocare a carte scoperte – le carte per cui tutti sanno cosa sia la destra e cosa la sinistra – coprite tutto e mischiate. Le carte saranno sempre le stesse, ma in un ordine da scoprire. Così, se da un lato si vuole ridurre la spesa pubblica licenziando dipendenti statali, dall’altro la si vuole incrementare con finanziamenti alle imprese o all’esercito. Se da un lato vorrebbe ridurre la pressione fiscale, dall’altro ambisce ad un prelievo unico sul reddito da capitale. Insomma, ni droite, ni gauche, come si direbbe sugli Champs-Elysées, né di destra né di sinistra, come si direbbe invece a Piazza Navona. Cambia la lingua, ma non il significato.

 

Cosa cambierà invece nel mondo, o forse solo in Europa, con la vittoria di Emmanuel Macron su Marine Le Pen è ancora presto per dirlo. Il rischio Frexit sarebbe minore con il leader di En Marche!, ma non del tutto escluso – se pensiamo sia stato messo lì apposta da qualcuno, allora le sue dichiarazioni potrebbero aver solo valore propagandistico, visto come tira il vento sull’Europeismo.

 

Quel che potrebbe esser certo, guardando alla Francia con la comodità di essere italiano – e quindi aver già tanti problemi in casa, da dare al vicino solo una sbirciatina – è che se ci si concentra sulle alternative, Emmanuel Macron avrebbe un voto in più assicurato. In politica però, il voto di pancia paga entro certi limiti. Bisogna cercare di sviscerare prima le idee, poi la loro applicazione e infine la personalità di chi si presenta: è un aspetto fondamentale nel 2017, poiché già da qualche anno, con buona pace per Max Weber, il carisma di uno, indirizza le scelte di un partito. Perciò spero, nella narrazione a tratti un poco profana, di aver carpito l’essenza di quel che potrebbe essere Macron: troppo intelligente per esser schiavo, un buon mazziere, ma non ancora quel genio di cui abbiamo così tanto bisogno da cercarne uno ogni giorno.

 

Una speranza c’è, pur ricordandosi di cosa disse De Gregori di Bettino Craxi:

 

“Si atteggia a Mitterand, ma è peggio di Nerone”.

 

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