Un documentario di Julien Vannucchi.

 

È con orgoglio ed emozione che scrivo questa introduzione. L’orgoglio è dovuto al fatto che apriamo un nuovo capitolo del nostro magazine: il capitolo documentari. L’emozione è perché “Liberi”, il documentario di Julien Vannucchi (finanziato dalla Toscana Film Commission), mi ha riportato indietro nel tempo, rimettendomi in contatto con una delle mie più grandi passioni: il mondo dei graffiti e, più in generale, della street art.

 

“È un documento che volevo fare per dare risalto e ricordare l’underground artistico di una città come Firenze”, ci ha raccontato Julien, che ha poi continuato dicendo: “Le grandi rivoluzioni partono sempre dal basso, ancor meglio se dal sottosuolo! Il video vuole dimostrare come diversi tipi di arte di strada puntino a un obiettivo comune: l’imposizione di un immaginario visivo per romper gli schemi con l’ambiente urbano e societario dove l’artista non si riconosce”.

 

Spezzoni di artisti all’opera, accompagnati da un’immancabile soundtrack groovy e montati divinamente, si alternano con interviste e approfondimenti su varie tematiche. Il risultato è un documentario a 360°, che esprime la visione di differenti gruppi di interesse sul movimento artistico street a Firenze: un urlo proveniente dal sottosuolo che squarcia il grigiume della quotidianità.

 

Parla Clet, artista completo, maturo, che, nonostante sia tra gli ultimi arrivati a Firenze, ci ha messo poco a rimettersi in pari coprendo i cartelli della città (e non solo) con i suoi messaggi rivoluzionari. Continua il “big boss” di Gold, Omar, che insieme alla sua crew (Gold appunto) è uno dei padri fondatori dell’hip-hop fiorentino (almeno per quelli della mia generazione), nonché fornitore ufficiale di spray di qualità e cultura HH pura. Dice la sua anche Ninja, pittore a tutto tondo che, con una bomboletta in mano, ho sempre creduto essere il figlio di dio non riconosciuto da quest’ultimo. E ancora, il video presenta i Madonnari, figure storiche fiorentine che continuano a portare sotto gli occhi di tutti le grandi opere del Rinascimento. Il documentario dà anche voce a tre dei principali gruppi di attivisti in ambito street art (No Dump, Riot Van e 400 Drops) che raccontano in prima persona i loro progetti e il loro rapporto con burocrazia e amministrazione. Parlano assessori, studenti dell’Accademia e, cosa che ho apprezzato poiché si dà voce anche a chi si schiera contro questo movimento, gli “Angeli Del Bello”: un’associazione di volontari che riporta la civiltà in una città devastata da vandali anarchici senza dio. Sarcasmo a parte, il lavoro di queste persone è certamente motivato, anche se, come emerge dal documentario, il loro approccio generalizzato alla (ri)pulizia della città non è sempre supportato da una conoscenza in materia artistica adeguata. Infine, la telecamera ci porta in alcuni degli spazi concessi dal comune dove poter dipingere legalmente: il sottopassaggio delle Cure, protetto dall’occhio vigile di Totò Dinamite, e i gradoni dello Stadio (che, personalmente, ho sempre visto come una cosa che un writer si deve meritare. Voglio dire: lì dietro ci si allena la Fiorentina, il cuore pulsante della nostra città, non puoi permetterti di sbagliare).

 

La cosa che mi ha colpito di più del documentario è come, da interviste a persone differenti, emerga una definizione omogenea dell’arte di strada. La street art è un movimento indipendente, anarchico, che, come l’edera che quando tagliata ricresce, se non trova i suoi spazi se li prende in modo coatto. Citando il “big boss” di Gold Omar, la street art è la risposta alla domanda: “Non ho i miei spazi? Me li prendo!”.

 

Amore puro era quello che provavo per il mondo dei graffiti, e per quello della street art in generale. Amore puro è quello che provo tuttora – ho il “rullino foto” del cellulare pieno di scatti a tag e bombing e stencil e adevisivi. Forse nello scrivere l’introduzione a “Liberi” mi son fatto prendere un po’ la mano (tralasciando forse alcuni dettagli tecnici riguardo al video), ma credo che leggendo questa nota che scrissi molto tempo fa ne capirete il motivo.

 

“È notte. Buio pesto che si alterna alla luce di qualche svogliato lampione. Il Booster Spirit va forte, scatta verso il niente, verso il futuro, verso chissà che cosa. In mente hai colori e forme che si mischiano e ne formano altre. Poi arrivi. Tiri su il cavalletto, tiri su il cappuccio della felpa, tiri su il cappuccio del giaccone e, ancora, tiri su lo sguardo per vedere se c’è qualche curioso alla finestra. Silenzio. Sei solo tu e la notte. Completato questo ciclo di azioni, torni con lo sguardo sulla strada. Ti avvicini alla tua sella e la apri piano. Là sotto ci sono i tuoi ferri chirurgici. Ti prepari per l’operazione. Ti batte il cuore. Adrenalina a mille. Guardi il tuo paziente: quel pezzo di muro così in vista che pensare di coprirlo con la tua impronta acrilica è un’ovvia follia. In mente ti passano le voci di quelli che ti hanno detto: “Smetti di imbrattare i muri”. O dei tuoi compagni di classe che ti chiedono: “Come mai hai sempre le mani sporche di vernice?”. Ghigni beffardo e te ne fotti pensando tra te e te: “Se solo poteste capire”. Prendi l’argento e, con l’affetto di una madre che si prende cura di suo figlio, copri il “capo” della tua bomboletta con un fat cap. Un sibilo esce rapido e il sogno prende forma. Metti via l’argento e contemporaneamente tiri fuori il rosa e il rosso, con cui decori l’interno del tuo piccolo gioiello. Poi, con una rapidità fenomenale, cambi e passi al nero. Cap normale questa volta. Tracci l’outline, come se stessi cucendo il paziente post-operazione. Firmi con estrema cura: avrai ripetuto quella tag su fogli e cassonetti almeno un milione di volte, ma è sempre come se fosse la prima. Non vuoi andartene ma devi. Dai uno sguardo rapido alla tua creazione e le volti le spalle. Sai che vedrai veramente il risultato solo il giorno dopo, quando la sveglia rimetterà in moto la città. Pochi oltre a te e al muro sapranno che sei stato te. Navighi nell’underground e solo di tanto in tanto incroci uno sguardo coperto da una visiera che può capirti a pieno. Ti basta e ti avanza, e ne sei immensamente fiero”.

 

Un mio amico romano, mi diceva spesso: “Ià, è dura che con quella C malata Firenze sforni dei talenti del rap. Restate di nicchia, e vi ascoltate solo tra di voi”. Forse è vero (anche se il buon Lapo Raggiro sembra invalidare l’assioma del mio amico), Firenze resterà di nicchia per le correnti musicali underground, ma indubbiamente la sua scena artistica (in questo caso underground) rappresenta in qualche modo l’evoluzione del grande passato artistico che fu.