Roy Andersson analizza in questo modo con scrupolo e minuziosa attenzione ogni relazione umana.

La 71 Mostra di Arte Cinematografica di Venezia si conclude, senza le dovute polemiche, con un colpo di scena, premiando inaspettatamente un film controverso e inedito nel panorama lagunare: A pigeon sat on a branch reflecting on existence (Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza).
Come ci anticipa il lunghissimo titolo, canzonato dai più maligni per ricordare il nome di un mobile da cucina del connazionale IKEA, il regista svedese Roy Andersson realizza grazie al suo “piccione” la conclusione di una trilogia, già iniziata qualche anno prima, dal titolo The living trilogy.
Il film, composto da 39 scene (dalla più breve alla più lunga), è sicuramente un’opera atipica, che rimarrà di difficile comprensione per il grande pubblico della vita vera, ovvero quello che sta al di fuori del blasonato festival cinematografico.
Ricerca estetica e nonsense sono i punti fondamentali su cui il regista sviluppa tutta la sua opera, un umorismo sottile che mira a deridere la parte superficiale dell’umanità trasformando ogni essere vivente in un grottesco personaggio teatrale.
La comicità dell’assurdo si mescola alla tragicommedia colorando di nero il film; insomma, niente è come sembra e tutto può essere il suo esatto contrario.

Molti sono i personaggi analizzati, alcuni per pochi istanti, altri invece fanno da filo conduttore alla vicenda, come i due protagonisti, tristissimi e depressi, che hanno come missione di vita quella di portare la felicità vendendo “scherzi”.
Roy Andersson analizza in questo modo con scrupolo e minuziosa attenzione ogni relazione umana, decontestualizzandola dalla realtà in modo da creare così gag innovative e mai banali.
Una trama tessuta di individui fuori dall’ordinario comune ma più umani e veri che mai che si muovono, senza scomporsi, attraverso delle perfette e immobili scene quadro.
Ancora oggi, tornata da Venezia, mi chiedo cosa “il piccione” volesse comunicare e di che cosa, in effetti, volesse parlare.
Riflettendoci sono arrivata alla conclusione che nessuno riuscirà mai a capirlo, rimanendo un mistero anche per i più critici e attenti frequentatori di festival.
Il bello di questo film forse è proprio questo, abbandonare la mente da tutti i preconcetti e i luoghi comuni sul cinema.
Qua non ci sono storie da capire ma solo riflessioni da fare.
In fin dei conti sono solo riflessioni fatte da un pennuto; siete mai stati nella testa di un piccione prima?