Abbiamo intervistato una delle organizzatrici del Sónar+D, andando a scoprire un festival che fa del progresso tecnologico la propria forza.

Suono il campanello della Advanced Music SL che ho ancora il fiatone: il mio ufficio è proprio a due passi da quello dove nasce il mitico Sónar festival, ma ho preso male le misure e ho percorso la strada quasi correndo. Salgo una rampa di scale e poi mi infilo nell’ascensore metallico del palazzone industriale che mi porta al piano dove ho l’incontro con Antònia Folguera – la responsabile della comunicazione del Sónar+D. Anche se sono le 18 passate, si percepisce che il festival è alle porte: tutti i capi sono ancora a giro per il piano dell’open space minimale e futurista e ancora una buona parte del personale è indaffarata dietro a uno schermo. Antònia è estremamente simpatica e alla mano, ci sediamo in una sala riunioni e iniziamo a parlare di lei per rompere il ghiaccio e passare alla ragione per cui ci siamo incontrati: togliermi qualche curiosità sull’edizione di quest’anno del Sónar+D e capire meglio quale saranno gli elementi cardine dell’edizione 2017. Accendo il microfono, tiro fuori le domande e iniziamo.

 

In uno scenario europeo instabile, o comunque in transizione, mi rincuora vedere che l’industria culturale prova a superare i limiti imposti dalle barriere politiche per migliorarsi insieme e in maniera inclusiva. Il progetto “We Are Europe” fa esattamente questo. Quanto abbiamo bisogno di iniziative di questo tipo?

Il progresso tecnologico, o di altro tipo, si crea quando si incontrano discipline o idee diverse. Se prendi due persone che vengono da mondi diversi e le fai dialogare in modo che in questo scambio riescano a trovare un territorio comune avrai innovazione. Sempre.

 

 

Possiamo individuare un’equazione “diversità=innovazione” quindi?

Credo di si. La diversità è molto legata all’innovazione e ai processi di miglioramento. Non prenderlo in maniera razzista, ma “mescolare le razze migliora sempre le specie”. Per questo la collaborazione che va oltre le frontiere e le bandiere è buona a prescindere. È buono stabilire relazioni con coloro che sono simili a noi in altri luoghi, perché è un modo che abbiamo per raggiungere nuove audience, poter apprendere gli uni dagli altri, scoprire nuovi contenuti e, alla fine, arricchirsi tutti.

 

Sei stata ad altri festival del network “We Are Europe”? Come vi hanno accolti?

Bene, davvero molto bene. Ho avuto la possibilità di partecipare a due festival di “We Are Europe”, in Norvegia a Tromsø all’Insomnia e un paio di settimane fa sono stata al Resonate di Belgrado. È stato molto interessante vedere dall’interno come gli altri organizzano i propri festival, chi invitano, che cosa fanno e come si strutturano.

 

All’interno del progetto “We are Europe”, Sónar presenterà “Come lavora una mente creativa?”. Cosa c’è da aspettarsi da questo incontro?

La verità è che è un’attività che secondo me risulterà troppo corta. Dura un’ora. E un’ora per i quattro fenomeni che parleranno è davvero troppo poco. Secondo me abbiamo invitato alcuni tra i migliori artisti digitali al mondo (Tarik Barri, Alba G. Corral, Playmodes, Nonotak). Sono artisti complessi, è difficili definirli con un’unica parola. In parte son artisti visuali, molti di loro sono allo stesso tempo musicisti e artisti visuali, la maggior parte di questi lavorano con codici e programmazione e alcuni sono hacker. Diciamo che si possono chiamare artisti totali, molti di loro includono molteplici discipline in quello che fanno. Ti dirò di più, secondo me non c’è ancora una parola che permette di definirli, è un nuovo profilo di artista.

 

 

Personalmente credo che Barcellona giochi un ruolo fondamentale nel creare queste sinergie e questo sviluppo. Grazie alla sua apertura mentale, alla presenza di molti stranieri, è in grado di attrarre il meglio del meglio nell’ambito delle industrie tech e creativa…

Negli anni ’90 c’è stato un momento in cui molti degli artisti e innovatori venivano da fuori, grazie al buon tempo e al fatto che si viveva con poco. Tra i tanti fattori, un ruolo chiave lo ha avuto anche il Sónar, in quanto la creazione di un festival così a metà degli anni ’90 ci ha segnato a tutti. Ed infine Telenoika, che è la comunità audiovisuale per eccellenza di Barcellona e Catalogna, è un luogo dove si è fatto molto per il riconoscimento di artisti audiovisuali che escono dalla definizione standard di artista audiovisuale, in quanto non fanno solo video o cose che sono più prossime al cinema, alla narrativa, ma sono anche in grado di fare cose vicine al vjing, live cinema e tutti questi tipi di creazioni. In questo contesto, creato da questi fattori principali che ti ho elencato, anche l’arrivo di sempre più stranieri ha comportato una spinta in più al processo creativo.

 

Mi ha colpito che l’anno scorso il duo Semiconductor venne a sviluppare il proprio progetto, esposto poi al Sonar PLANTA 2016, qui a Barcellona con una delle università locali…

Il duo britannico ha fatto un lavoro molto interessante e proprio in linea con quanto discutevamo prima riguardo all’interdisciplinarità. Hanno lavorato con i processi dei geologi per realizzare la propria opera e hanno creato un’installazione con un effetto molto potente.

Anche quest’anno sarà molto potente l’installazione di Sónar PLANTA perché ci sarà Daito Manabe, un altro artista molto difficile da definire, perché fa realmente tante cose. Diciamo che è l’artista digitale totale. A volte lo chiamiamo “tecnologo creativo”, però non so, mi sembra anche questa una definizione un po’ riduttiva. Daito è DJ e ha un gran buon gusto musicale, è anche programmatore, fa visual e pezzi interattivi, installazioni e ha un modo di lavorare capace di generare un effetto magico. A volte dubiti che quello che sta succedendo sia magia o se sono i tuoi occhi che vedono male. Fa cose molto eleganti e con un fondo di umorismo.

 

L’esperimento che rese famoso Daito

 

Daito è diventato famoso postando su Youtube video dei suoi esperimenti. Ed è molto interessante che l’artista condivida il processo di creazione, sia a fini comunicativi sia divulgativi, e quando non sono loro a farlo proviamo a farlo noi al Sonar+D invitando artisti eterogenei, da musicisti a programmatori, a spiegarci il loro progetto: “Tu che fai? Come lo fai? Spiegacelo”.

 

Anche dal punto di vista del pubblico credo che si abbia ora un forte interesse verso il lavoro artistico. E non solo riguardo al processo creativo, ma gli interessa in generale approfondire di più sull’artista sulle sue idee e opinioni. Questo è in parte dovuto al sempre più ampio gap tra noi e la tecnologia. E quando vediamo queste installazioni artistiche che sembrano magia, siamo spinti a incuriosirci e chiedere a chi l’ha fatto e come è arrivato là.

 

 

Parliamo di una delle grandi tematiche di quest’anno: l’intelligenza artificiale e le domande che il suo avvicinarsi comporta. C’è una paura di fondo riguardo alla rivoluzione dell’AI. Da un lato ci sono persone con posizioni molto negative, come il computer scientist Jürgen Schmidhuber che riguardo al futuro dei robot ha detto: “Entro il 2050 i robot ci presteranno la stessa attenzione che noi oggi prestiamo alle formiche”. Dall’altro troviamo iniziative come quella di Elon Musk, Neuralink, che vogliono unire cervello e macchine per portare l’umanità in una nuova fase post-umana per far si che si rimanga ancora “utili in un futuro dominato dalle macchine”.

Sonar+D ha un’attitudine positiva, in controtendenza rispetto a ciò che fa hype: gli scenari distopici. La conferenza vuole educare alla rivoluzione AI in corso e preparare all’integrazione delle macchine nella nostra vita di tutti i giorni. Come vedi il progresso tecnico in questa direzione? Credi che le paure che abbiamo derivino da un’ansia inconscia che le macchine siano troppo simili agli esseri umani con i loro difetti?

Non so da dove viene questa apprensione. Normalmente fa paura ciò che non si conosce. Ad esempio chi non conosce la musica sperimentale la trova strana perché non ha la forma strofa-ritornello-strofa-ritornello, e la respinge. Quando poi familiarizziamo con qualcosa smettiamo di farci intimorire.Per questo quello che vogliamo trasmettere dal Sonar+D è positivo. L’Intelligenza Artificiale sarà un collaboratore, un’entità che inviti a far parte del tuo lavoro. Un’entità informatica alloggiata in un computer e programmata per far cose più efficientemente di come le faccio io. Però ecco, è un collaboratore.

 

 

L’altro grande tema è la realtà virtuale e gli ambienti immersivi. È da anni che seguo i progressi della RV con un certo fascino. Anche se percepisco l’enorme potenziale, ancora servirà molto tempo prima che la industria culturale riesca a rendere questo medium uno strumento di massa.Peraltro si deve considerare anche un’altra tendenza. Ciò che abbiamo sempre nelle nostre mani è lo smartphone e questo permette innumerevoli applicazioni di Realtà Aumentata. Quest’anno mi aspettavo di vedere qualcosa legato all’AR, che in un certo senso è la più prossima delle “next big thing”. C’è una ragione per cui non avete fatto niente su AR?

AR e VR sono due cose molto diverse. L’AR è uno strato virtuale extra che media tra te e la realtà, aggiungendo qualcosa in più. La VR, invece, fa scomparire lo schermo. Ci affacciamo sul mondo sempre più attraverso uno schermo, del cellulare, del computer. Quello che fa la realtà virtuale è eliminare lo schermo, e questo sarà una delle grandi rivoluzioni che verranno.

Ci sono pro e contro per entrambe. L’AR te la puoi tenere in tasca e non ti vieta di seguire con quello che stavi facendo nella tua vita, la VR invece ti richiede completamente e assorbe in un altro mondo, per questo ci vorrà di più per una sua massificazione.

 

 

Nell’ambito di “Creators and Innovators”, a giudicare dai nomi in line up avete fatto attenzione a dare spazio a ospiti donna. Lo avete fatto di proposito o semplicemente il progresso tecnologico si sta dimostrando un’industria più gender equal di altri settori?

Metà e metà. Da un lato ci sono sempre più donne in settori non propriamente considerati “femminili” (informatica, ingegneria – nella musica elettronica, il numero di donne che si avvicinano a produrre o a suonare sono ancora poche), dall’altro, quando siamo in fase di programmazione del festival mi chiedo, “c’è una qualche donna che eccelle in questo?”.

Il mio obiettivo sarebbe arrivare in una situazione in cui metà son donne e metà sono uomini. Addirittura arrivare a un punto in cui c’è pure qualcuno che non si considera né donna né uomo. Scommetto totalmente sulla diversità. Sono necessari spazi in cui tutto il mondo si possa vedere rappresentato.

 

Ayah Bdeir è la fondatrice della rivoluzionaria compagnia Littlebits

 

Mi è sempre piaciuta molto la comunicazione di Sonar+D per il suo mix di azioni offline dal forte impatto, come gli eventi al Mazda+, e online con azioni tramite social media e web. Com’è che si fa la comunicazione di un progetto come il +D?

Sicuramente avendo colleghe e colleghi molto bravi come qua dentro.

Chi gestisce le reti sociali fa un lavoro meraviglioso. La gestione web, streaming e caricamento video è anch’essa top level. Io mi occupo della presentazione, e di spiegare alla gente che cosa si fa e cosa è il Sonar+D. Programmando quanto serve, e improvvisando se serve.

 

Ancora una volta rete, diversità e inclusività.

[Ride].

 

 

La proposta che non ti perderesti del Sónar+D 2017?

Così mi metti in difficoltà! Ci sono un sacco di cose che mi piacciono..

 

Eh no, supponiamo che invece di un registratore abbia una pistola e se mi dici più di una cosa, ti debba far fuori..

Va bene. Peraltro io non avrò tempo per vedere bene niente, se non sbirciare due minuti qua, due minuti là… Lavori tutto l’anno per qualcosa e poi non potrai vederlo! Dunque, ti mentirei se non ti dicessi che muoio dalla voglia di vedere l’istallazione di Daito Manabe. Son curiosa da morire di vedere quello che vuole fare! E lo vedrò più di una volta, perchè tra le altre cose devo portare i vari ospiti a vedere il festival e spesso li porto al Sonar PLANTA!