Torino è una delle città più controverse d'Italia, tra degrado e club underground cela nel sottosuolo un disagio che spesso viene nascosto.

Che Torino sia una delle città più controverse d’Italia è cosa ormai risaputa. Negli ultimi anni la città sabauda è stata spesso paragonata a Berlino, capitale europea e forse mondiale del clubbing e della musica elettronica, grazie al contributo di numerosi festival musicali tra cui Club To Club, Kappa Futur Festival, Movement Torino Music Festival, Jazz:Re:Found e locali notturni (Doctor Sax e Bunker giusto per fare due esempi). La forte presenza di iniziative ed eventi dedicati ad individui interessati a tenersi aggiornati sulle novità e le eccellenze in ambito musicale ed artistico ha contribuito in modo significativo a rendere Torino una meta particolarmente ambita da giovani di tutt’Italia, studenti universitari in primis, stimolando ingenti operazioni di riqualificazione urbana di interi quartieri e aree della città considerate a lungo ‘zone dormitorio’, se non addirittura centri nevralgici del ‘degrado urbano’.

 

Nonostante le ingenti opere di riqualificazione, la città continua però a presentare un gran numero di situazioni contraddittorie e paradossali osservabili da chiunque decida di prendere l’iniziativa di abbandonare le vie che compongono il ‘salottino turistico’ della città (indicativamente l’area compresa tra la stazione di Porta Nuova, Via Roma, Piazza San Carlo e Piazza Castello, Via Garibaldi, Via Po e Piazza Vittorio Veneto) ed esplorare quei quartieri a lungo considerati pericolosissimi se non addirittura invivibili, in cui si sta pian piano trasferendo la vita notturna giovanile. Luoghi dove spuntano come funghi piccole gallerie d’arte, cocktail bar, negozi vintage e ristoranti gourmet.
L’esempio più eclatante può essere considerato quello di San Salvario, a ritenuta a lungo una zona morta della città nonostante la posizione del tutto centrale, divenuta negli ultimi anni il punto più importante della vita notturna universitaria torinese in primis e luogo di ritrovo e di bevute del sabato sera per gli studenti liceali in seguito.
Però, se è vero che nel fine settimana aree come piazza Saluzzo e via Berthollet diventino pressoché impraticabili data la calca di persone che si raduna di fronte ai locali o a bere birre acquistate dai cosiddetti bangla (i numerosissimi minimarket gestiti in genere da immigrati provenienti dal Sud-Est asiatico), non si può ritenere che altre vie abbiano ottenuto un’analoga fortuna.

 

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La vita notturna di San Salvario


Basta pensare alla famigerata via Nizza, considerata tuttora luogo di ritrovo di spacciatori, prostitute e tossicodipendenti. Il quartiere sembra infatti dividersi a macchia di leopardo tra ‘zone franche’, in cui la presenza di attività ristorative di pregio richiama una clientela benestante e ‘zone di periferia’, in cui si concentrano piccole attività commerciali dedicate alle fasce economicamente più deboli della società, tra cui spiccano sale da gioco con slot machine e minimarket attorniati da alcolisti e tossicodipendenti, data la possibilità di acquistare birre fresche e alcolici a basso prezzo senza dover subire gli sguardi accusatori dei commercianti e dei passanti.

 

Camminando per le vie secondarie del quartiere è esperienza piuttosto comune esser fermati da spacciatori alla ricerca di clienti interessati all’acquisto di ogni genere di sostanza a qualsiasi ora del giorno e non è raro imbattersi in fumatori di crack o tossicodipendenti indaffarati nella preparazione della siringa per bucarsi, anche alla luce del sole, nascosti nella migliore delle ipotesi dietro i cassonetti dei rifiuti.
Esemplare è a tal proposito l’aneddoto di un mio caro amico, abituato a vedere le partite dell’Inter all’interno di un bar il cui bagno risultava impraticabile perché utilizzato da fumatori di crack muniti di lattine di birra riadattate a  pipe e dove il rischio di rissa tra tifosi decisamente ubriachi era all’ordine del giorno.

 

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Manifesto del Comitato San Salvario Bramante

 

Le strategie messe in atto dalle amministrazioni comunali al fine di contrastare una percepibile situazione di difficoltà e disagio all’interno di questi luoghi appare purtroppo piuttosto limitata alla messa in atto di norme restrittive di stampo ‘proibizionista’. Gli interventi principali sono infatti indirizzati a punire coloro che violano i regolamenti che impongono l’interruzione della vendita di alcolici oltre le ore 24 e la vendita di bevande in bottiglia di vetro oltre le ore 23, imponendo chiusure temporanee o definitive delle attività commerciali colte in fallo, con la speranza di contenere i cumuli di immondizia che si riversano tra i marciapiedi ogni sabato sera. Un’altra presa di posizione piuttosto netta è quella rivolta al contenimento dei volumi della musica tra i 45 e i 50 decibel durante le ore notturne al fine di non interferire con la quiete pubblica dei residenti, che spesso si lamentano della rumorosità della movida cittadina.

 

Simili strategie, già adottate in passato in altre aree della città, non sembrano però aver prodotto grandi cambiamenti in positivo, se non uno spostamento delle zone di intrattenimento giovanile in altre aree della città e il conseguente trasloco dei soggetti interessati al portare avanti attività illecite.
Risulta così inevitabile ripensare ai Murazzi del Po. Le celeberrime arcate localizzate sulla costa ovest del Po, in seguito agli interventi politici di forte rilancio dell’area giunti a metà degli anni Settanta, consistenti nella concessione di licenze per l’apertura di locali con l’intento di attirare i giovani in queste zone anche nelle ore notturne, sono stati per anni l’icona della movida torinese. Nei locali storici dei Murazzi era possibile incontrare gente da tutto il Nord Italia e resta un indelebile ricordo di quegli anni la stazione di Porta Nuova alle prime ore del mattino che pullulava di liguri in ritorno verso Genova dopo la nottata passata a Torino.

 

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I Murazzi ai tempi del loro “splendore”

 

Progetti musicali di fama internazionale come quello dei Subsonica ebbero origine dalle quattro mura che contenevano Da Giancarlo, un nome sulla bocca di tutti i giovani e meno giovani che hanno vissuto a Torino tra gli anni Ottanta e gli anni Zero.
Un successo destinato a soccombere verso la fine del 2012 in seguito ad un esposto di alcuni residenti della zona che, dopo essersi lamentati a lungo dell’eccessivo caos subito ogni fine settimana, indussero la procura a condurre una serie di indagini che portarono alla chiusura di gran parte dei locali. Molti edifici vennero posti sotto sigillo non soltanto per questioni di inquinamento acustico, ma anche per via di situazioni di irregolarità con permessi e pagamenti delle imposte comunali e dell’affitto dovuto al locatario, il Comune di Torino stesso.

 

A distanza di 5 anni, nonostante numerose notizie cadenzate negli anni di una riapertura prossima – sempre smentite nell’arco di qualche mese -ed alcune proposte di appalto ad imprenditori attivi nel settore della ristorazione – con un netto rifiuto da parte dei sostenitori della cultura underground torinese, che non vorrebbero veder snaturato un luogo considerato pressoché sacro – allo stato attuale sono pochi i locali che ancora riescono a resistere ed i rari momenti di grande affollamento si presentano in contesti totalmente differenti rispetto al passato, come ad esempio durante le giornate di Terra Madre Salone del Gusto.

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I Murazzi come si presentano oggi, con i sigilli alle porte

 

Nel frattempo, in concomitanza con il progressivo abbassamento dell’età media degli avventori dei locali di San Salvario e lo sdoganamento a fasce più adulte della società, la vita universitaria riparte da altri quartieri che diventano sempre più ‘a misura di hipster’, seguendo la scia della moda del momento.
Zone come Vanchiglia e il Quadrilatero assumono sempre più connotati simili a quelli che furono i tratti distintivi di Brick Lane a Londra alcuni anni fa.L’estetica dei locali diventa sempre più retrò e vintage e gli edifici che un tempo ospitavano officine vengono ridisegnati e reinventati come ristoranti e bar.

 

L’interessamento per le aree più a lungo dimenticate della città raggiunge il suo apice in piazza Santa Giulia e nel mercato di Porta Palazzo. Sorvolando sulle numerose attività commerciali rivolte a un pubblico giovane, di fascia compresa in genere tra i 20 e i 30 anni, i cui proprietari hanno deciso di investire su un luogo totalmente da rivalorizzare, gli strani meccanismi delle mode giovanili hanno reso di culto alcuni luoghi in cui mai ci si sarebbe aspettati la presenza di individui appartenenti a classi sociali benestanti.
Basta fare due esempi per comprendere immediatamente di cosa si stia parlando.
Primo esempio,il bar Carmen in via Sant’Ottavio, dove, grazie alla simpatia travolgente della proprietaria e le ‘biciclette’ (bicchierini di spritz) vendute a prezzi ultracompetitivi, nel giro di alcuni mesi la clientela fissa è mutata radicalmente. Vi è stata infatti una vera e propria invasione giovanile, con tanto di code sin fuori dal locale.

 

Secondo esempio, il mercato del Balon a Porta Palazzo. Il sabato mattina è infatti diventato negli ultimi anni l’occasione più propizia per accaparrarsi i migliori capi di abbigliamento vintage in circolazione a prezzi stracciati, inserendosi di buon grado in quella scia di passione collettiva per l’abbigliamento anni Settanta/Ottanta/Novanta ed i second hand market.

 

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Il mercato del Balon

 

E’ così possibile assistere a scene quantomeno pittoresche, come il veder rovistare insieme giovani hipster (me compreso) ed individui delle più disparate etnie tra cumuli di vestiti, nella migliore delle ipotesi ammassati su banconi di legno, quando non abbandonati direttamente sull’asfalto.
Il mercato stesso racchiude al suo interno personalità nettamente in contrasto tra loro. Si passa così dal rigattiere in possesso di mobili antichi, restaurati e di pregio, a persone che cercano di reinventarsi un’economia basata su ciò che viene recapitato per strada o attraverso piccoli furti.
Tutto questo avviene sullo sfondo di un quartiere in cui non poche persone patiscono la fame o si ritrovano senza un tetto sotto cui dormire, dove lo spaccio e l’utilizzo di droghe pesanti avviene davanti agli occhi di tutti e l’eroina sembra non essersene mai andata.

Lascia quindi quantomeno riflettere, se non addirittura interdetti, l’osservare a pochi metri di distanza la sede del Sermig torinese, all’interno dell’Arsenale della pace e la sede della Scuola Holden.
Entrambe si trovano all’interno di una ex fabbrica di armi riconvertita seguendo il desiderio di rendere un luogo di pace, di crescita e di vita un edificio che per anni ha rappresentato distruzione e morte.

 

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L’Arsenale della pace

 

L’Arsenale della pace consiste in una fraternità gestita da volontari e uomini e donne di Chiesa che si adoperano al fine di poter offrire la possibilità ai più poveri, agli emarginati e agli indesiderati di ottenere cure mediche, vestiti, cibo, un posto letto temporaneo o una residenza dove vivere e corsi di lingua italiana; richiedendo in cambio un impegno concreto nell’adoperarsi a migliorare la propria condizione di vita cercando un lavoro e una sistemazione propria e rinunciando ad alcol e droghe.

 

La Scuola Holden è invece una scuola privata per narratori fondata da Alessandro Baricco e  vede attualmente tra i suoi proprietari Oscar Farinetti (il patron di Eataly per intenderci). Nell’arco di circa vent’anni la scuola è divenuta sempre più un polo nevralgico della cultura torinese, ospitando numerosi eventi e dibattiti, tra cui alcune delle conferenze legate alla manifestazione Biennale Democrazia, il cui intento è diffondere una cultura della democrazia che sappia tradursi in pratica democratica.Resta però il dubbio se questa prassi, pur veicolando valori indubbiamente inattaccabili ed assolutamente da valorizzare, sia in grado in seguito di produrre effetti ed applicazioni concrete nella vita di tutti i giorni o rischi di cadere nel semplice nozionismo e nella retorica incapace di produrre cambiamenti evidenti all’interno della società. Una situazione ancora più dolorosa vedendosi realizzata di fronte a realtà critiche come quelle osservabili appena girato l’angolo.

 

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Il comprensorio del Lingotto in una fotografia aerea

 

Indubbiamente la Torino di oggi è molto differente dalla Torino degli anni Sessanta e Settanta, epoca in cui la città viveva in funzione della manodopera richiesta dalla Fiat, inducendo  ad una migrazione massiccia all’interno del nostro Paese dal Sud verso il Nord.
Gente costretta ad abbandonare la propria casa e la propria terra per trasferirsi nella grigia Torino in cambio di un salario, ritrovandosi però a vivere in brutte sistemazioni abitative create appositamente ed esclusivamente con l’intento di offrire un posto letto a quante più persone possibile, all’interno di quartieri dormitorio totalmente privi di servizi dedicati alla comunità, luoghi d’aggregazione e proposte dedicate al tempo libero ed allo svago, soprattutto per i più giovani. Intere aree cittadine dove non si crea coesione sociale, dove molti degli abitanti faticano a sentire propria la città giungendo da altrove e gran parte di essi appartengono al ceto meno abbiente, quello della manovalanza e del proletariato, senza che si creasse il minimo rimescolamento sociale.

 

E’ all’interno di questo contesto che si inserisce il dilagare dell’eroina a Torino, una piaga sociale che miete un gran numero di vittime a causa dei numerosi casi di overdose. Sono gli anni in cui i giovani che spariscono dai paesi della provincia si devono cercare per le strade della città alla caccia di una dose. L’area del Lingotto è un luogo che fa paura, si trovano siringhe ovunque: per strada, nei parchi e nei sottopassaggi.
Il disagio che tutta la città sta vivendo viene ben testimoniato dai testi urlati di alcune tra le prime band punk hardcore italiane, tra cui Blue Vomit e Nerorgasmo, ospiti fissi dello stabile El Paso occupato.
Tutte realtà che convivono con l’eroina e si vedono costrette a fronteggiare i  danni causati da questa sostanza da molto vicino, dato che questa droga si porterà con sé la vita dello storico leader e cantante di Blue Vomit e Nerorgasmo, Luca Abort Bortolusso.

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El Paso occupato

 

Con il proseguire degli anni la Fiat abbandona progressivamente la città di Torino, lasciandosi dietro un vuoto che non è soltanto economico, ma anche fisico e sociale. Sono infatti molte le strutture abbandonate a se stesse, che un tempo ospitavano gli impianti, divenendo covi per spacciatori e senzatetto. Non tutta la città ha infatti la stessa fortuna del polo del Lingotto, che viene ristrutturato e reinventato come luogo dell’eccellenza culturale della città, ospitando importanti manifestazioni quali il Salone Internazionale del Libro ed il Salone del gusto, ma anche Artissima e Club to Club.

 

A tal proposito l’anno della svolta è indubbiamente il 2006, anno delle Olimpiadi invernali, un’opportunità unica per Torino al fine di sradicarsi definitivamente di dosso l’imponente peso di polo industriale meccanico-automobilistico, settore sempre più in declino a partire dalla metà degli anni Settanta, momento in cui questo comparto produttivo è soggetto a ingenti processi di ristrutturazione, con interventi di abbandono e di rilocalizzazione in altri contesti o di chiusura definitiva.

 

Torino decide così di giocare le proprie carte investendo sulla cultura attraverso finanziamenti indirizzati a sviluppare il settore del cinema, della letteratura, dello sport e dell’enogastronomia. I fondi stanziati per le Olimpiadi permettono di modernizzare il centro, la zona sud della città, dove vengono costruiti il Palazzo a Vela, il Palasport Olimpico e l’Oval Lingotto e viene creato il primo tratto del servizio metropolitano. Nei giorni delle Olimpiadi la piccola criminalità sembra scomparire, sono tantissimi gli aneddoti che vengono raccontati su come da un giorno all’altro pusher e prostitute spariscano dalle aree del Villaggio Olimpico.

 

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Il villaggio olimpico di Torino

 

Questo clima idilliaco non è però destinato a durare nel tempo. Nell’arco di soli dieci anni, l’ex Villaggio Olimpico diventa zona blindata per via dei numerosi scontri avvenuti tra la polizia e gli occupanti abusivi delle case che ospitarono gli atleti, attualmente utilizzate da 1300 immigrati che si ritroverebbero altrimenti senza fissa dimora.
Così, se il centro della città può mostrarsi in tutto il suo splendore a un numero di turisti sempre in aumento, non si può dire altrettanto di quartieri periferici che tutt’ora devono convivere con i problemi dettati dalla povertà, la disoccupazione e la conseguente criminalità, la mancanza di opportunità lavorative e di riscatto sociale.

 

Luoghi come il quartiere di Barriera di Milano o alcuni tratti del Lungo Dora, dove l’eroina ha un mercato assai florido dovuto non soltanto ai tossici del passato, ma rivolto anche e soprattutto ai nuovi adolescenti. Un’eroina venduta a prezzi sempre più bassi – si parla di un grammo a partire da 15 euro– e dagli effetti sempre più letali, dato il livello di purezza fino a 20 o 30 volte superiore rispetto alla sostanza normalmente in circolazione, con picchi del 50% di principio attivo contro una soglia che si aggira in genere tra l’1 e il 10% nell’eroina che si trova comunemente in strada, impennando esponenzialmente i rischi di overdose.

 

Non resta dunque alternativa possibile se non decidere da che parte ci si vuole schierare. Se stare dalla parte di chi, con fare da struzzo, nasconde la testa sotto la sabbia, rinnegando i problemi con cui la città è costretta a convivere, accontentandosi di osservare con adeguati paraocchi soltanto le zone del centro e della Torino bene e complimentandosi per i grandi progressi conseguiti negli anni. Oppure stare dalla parte di chi, ogni giorno, si impegna affinché certe problematiche siano esposte alla luce del sole e non nascoste come la polvere sotto il tappeto, stimolando l’intera collettività ad impegnarsi e combattere affinché la città diventi un luogo più vivibile per tutti.

 

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