Rock alienato, sperimentazione elettronica e messaggi No Global. L’album dei Radiohead che venti anni fa ha cambiato un’Era.

Per tutti i fan dei Radiohead può sembrare ieri, ma sono passati ben 20 anni dall’uscita di Ok Computer. Per questo compleanno speciale la band non ci lascia a mani vuote. Uscirà a Giugno, prima in versione digitale e poi fisica, OKNOTOK, cofanetto che celebra il ventennale di un album che ha fatto la storia, con un titolo che è un chiaro messaggio carico dell’ironia che li contraddistingue.

 

OKNOTOK contiene l’album originale di dodici brani, otto b-side e tre brani non ancora pubblicati ufficialmente: I Promise, Lift e Man of War. Tutto il materiale del cofanetto, è nuovamente rimasterizzato dai nastri analogici originali. Svariati i formati: un box realizzato sotto forma di scatola nera con un’immagine scura di una copia bruciata di OK Computer e contenente tre vinili neri 12″ di 180 grammi e un libro con copertina rigida contenente oltre trenta opere d’arte (molte mai viste prima) e i testi di tutti i brani (tranne quelli che non hanno davvero testi). Sotto questo tomo altre sorprese: un quaderno con 104 pagine di appunti di Thom Yorke dell’epoca, un libretto di bozze con 48 pagine di schizzi di Donwood e Tchock oltre ad un mixtape su cassetta C90 compilato dalla band e tratto dagli archivi delle session e dai demo tapes per OK Computer.

 

Ok Computer 1

OKNOTOK è l’edizione speciale di OK Computer uscita per il ventennale del disco

 

Il 21 maggio 1997 usciva Ok Computer, pubblicato dalla Parlophone e dalla Capitol Records, il  primo loro lavoro autoprodotto, con l’aiuto di Nigel Godrich. L’album si rivela  un punto di svolta, caratterizzato da testi  astratti e una forte sperimentazione nella trama musicale.Il gruppo era rodato come non mai, mantiene infatti la sua formazione iniziale dopo anni, segno di una grandissima coesione artistica e di uno scambio continuativo quanto proficuo.

Thom Yorke e Colin Greenwood, erano compagni di scuola alla Abingdon School di Oxford,quando nel 1986 formarono insieme a Ed O’Brien e Philip Selway, una band che chiamarono On a Friday, in riferimento al giorno della settimana in cui il gruppo si riuniva per le prove nell’aula di musica della scuola.

Poco tempo dopo entrò nel gruppo anche Jonny Greenwood, fratello minore di Colin, come tastierista, ma in seguito diventò la chitarra solista della band. Il primo concerto della band si tenne alla Jericho Tavern di Oxford nel 1986.

A differenza di molti altri gruppi nati nei college e sciolti con la fine del periodo scolastico , gli On a Friday decisero di continuare a suonare insieme. Nel 1991 il loro nome cambiò in Shindig. La band in seguito registrò dei demo cominciando a suonare dal vivo ad Oxford e dintorni, divenendo abbastanza famosi da apparire sulla copertina del magazine locale di musica Curfew.

 

Ok Computer 2

Prima di chiamarsi Radiohead Thom Yorke & co. avevano assunto i nomi On a Friday e Shindig

 

Aumentarono i concerti e con essi anche l’interesse di alcune case discografiche. Nel 1991, dopo che Yorke si fu laureato, il gruppo registrò un nuovo demo, omonimo, con tre canzoni nuove; tra coloro che lo ascoltarono ci fu anche il produttore Chris Hufford, co-proprietario dei Courtyard Studios di Oxford, che assistette ad uno dei primi concerti della band alla taverna Jericho. Impressionato dal suono della band, produsse, insieme al suo partner Bryce Edge, dei nuovi demo e divenne con quest’ultimo manager degli Shindig. Ancora oggi, sono i manager dei Radiohead.

La band siglò nell’inverno del 1991 un contratto con la EMI  per la registrazione di sei album, nato dall’incontro fortuito fra Colin Greenwood e Keith Wozencroft, il rappresentante della casa discografica, al negozio di dischi dove il bassista della band lavorava. Su richiesta della EMI la band cambiò il nome in Radiohead, ispirata dal titolo della canzone Radio Head dei Talking Heads presente nell’album True Stories.

 

 

Tutto il resto è storia: il loro album di debutto, Pablo Honey, fu registrato in tre settimane ad Oxford nell’autunno del 1992, è carico di tematiche adolescenziali e decisamente influenzato da band quali R.E.M., Pixies, U2, Nirvana, Joy Division e The Smiths. Tra le tracce, comparve il famoso singolo Creep, grazie al quale la band attirò su di sé le attenzioni della stampa musicale britannica, anche se non sempre i commenti furono positivi. Nella prima metà degli anni ‘90 bastava essere inglesi, giovani e rock, per essere involontariamente inventariati nel calderone Brit Pop, colleghi di Oasis e Verve. Come commentò sarcasticamente anni dopo Thom Yorke, non erano abbastanza amanti della cocaina, per potersi annoverare in quella posizione.

Senza aver sfondato nelle classifiche del Regno Unito, la band iniziò nella primavera del 1993 il suo primo tour negli Stati Uniti, dove Creep aveva riscosso un inaspettato successo, grazie al video trasmesso no-stop su MTV. Ad ogni modo, sebbene considerato dai critici il loro album di minor spessore, il primo lavoro firmato Radiohead contiene già a livello embrionale tutte le future caratteristiche del gruppo, che si consolideranno nel disco successivo, The Bends, che uscì il 25 marzo del 1995.

 

Ok Computer 3

The Bends conteneva già caratteristiche dei lavori futuri dei Radiohead

 

Il successo in patria arrivò proprio con questo album, che paradossalmente esternava lo shock per quell’ondata di attenzione inaspettata. ll titolo dell’album, che si può tradurre approssimativamente con “Embolia” , si riferisce al disturbo di cui soffrono i sub quando riemergono in superficie troppo velocemente: una metafora dello spaesamento del gruppo di fronte all’inaspettato successo. Tutti si aspettavano un’altra hit che scalasse le classifiche di mezzo mondo. The Bends  invece non è il prodotto commerciale che tanti si aspettavano. Era chiaro che qualcosa stava cambiando: ci sono i riverberi smithsiani, maggiore utilizzo delle tastiere e un forte attacco al sistema-mondo moderno. Nell’estate del 1995, i Radiohead andarono in tour come gruppo spalla dei R.E.M., una delle band che li aveva maggiormente influenzati e, all’epoca e in breve tempo raggiunsero un forte consenso di pubblico e critica.

 

La svolta  però arriva nel 1997 con Ok Computer: Fino a quel momento Thom York aveva sempre scritto testi per lo più autobiografici e con Ok Computer fu il momento giusto per aprirsi in una nuova capacità autoriale, assai più contorta e complessa. I suoi testi sono stati esaminati e studiati in diverse università prestigiose (tra cui Oxford, ovviamente) per le moderne e complesse tematiche affrontate. Già negli album precedenti era emersa nitidamente la sua  sensibilità artistica e poetica ma è in Ok Computer che raggiunge una maturità senza precedenti. Una fusione di testi e suoni , una interazione sincera tra musica e letteratura. Perché Thom Yorke è un poeta moderno che canta la malinconia e la tristezza, portando inevitabilmente l’ascoltatore a un’analisi esistenziale. Attraverso interpretazione e testi rende universale il proprio tormento interiore, la propria inettitudine (creep), la difficoltà nel convivere con una realtà sempre più digitale, l’omologazione dei pensieri e dei sentimenti, il futuro incerto e minaccioso, la solitudine dell’uomo che appare solo un ingranaggio nella catena di montaggio dell’occidente capitalista e ipertecnologico. OK Computer è la descrizione sonora di una società computerizzata al servizio della produzione e del profitto.

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OK Computer è la descrizione sonora di una società computerizzata al servizio della produzione e del profitto

 

La macchina contro l’uomo, il computer  contro le incontrollabili emozioni umane: i Radiohead danno forma a questa paurosa sfida accostando tecnologia, campionamenti e loop alla imperfetta bellezza di una voce arresa, a suite chitarristiche di struggente dolcezza, ad aperture melodiche senza eguali.

Con Airbag, prima traccia dell’album, siamo trascinati immediatamente  in un mondo alieno, malinconico.Una partenza bruciante con un riff di chitarra tagliente che si dissolve nello straordinario falsetto di Yorke, perfetto interprete vocale delle ansie dell’uomo degli anni Duemila. Con voce dolente canta la nostra caducità, il nostro essere totalmente in balia delle macchine:

 

“I’m a mazed that I survived/ An airbag saved my life” –“Sono stupito di essere sopravvissuto. Un airbag mi ha salvato la vita”.

 

Paranoid Android è insieme a Creep probabilmente la canzone che ottenne il successo più immediato. Un intro acustico e un testo sinistro accompagnato da chitarre acide e cambi repentini di tempo. Il titolo del brano è un rimando a Marvin, noioso e depresso robot di The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy di Douglas Adams, romanzo di fantascienza umoristica del 1979.  Il testo del brano è disperato e critico verso la generazione degli anni ‘80 e in particolar modo verso gli yuppies cocainomani.

Il pezzo è composto da tre movimenti diversi, tre frammenti musicali perfettamente incastonati tra loro. Un primo movimento lento, dall’incedere profondamente malinconico, giocato sull’intreccio di due chitarre che accompagnano il lamento di Yorke; un secondo movimento prettamente noise, in cui il cantato si fa convulso, le chitarre si distorcono; ed un terzo frammento solenne, in cui Yorke invoca la pioggia (“rain down, rain down on me”) come se chiedesse una nuova innocenza, una purificazione, un nuovo inizio.

 

 

Subterranean Homesick Alien è l’unico pezzo che può logicamente seguire Paranoid Android. Fa il verso alla famosa “Blues” di Bob Dylan, con un bell’arpeggio iniziale e successivamente tra atmosfere sognanti ricama sul concetto di alienazione, predominante in tutto Ok Computer. Il pezzo prepara il terreno a Exit Music (For A Film), uno dei vertici massimi dell’intera carriera della band.

 

Exit Music (for a Film) è decisamente l’episodio più straziante dell’album. Si ispira a Ennio Morricone ed è un pezzo fragile e rabbioso allo stesso tempo. Fu scritta su commissione per il Film Romeo + Giulietta di  Baz Luhrmann. Il regista aveva dato al gruppo il filmato degli ultimi 30 minuti del film, chiedendo di elaborare un pezzo per il finale. La  traccia verrà riprodotta durante i titoli di coda del film, ma non è stata inclusa nella colonna sonora su richiesta della band. E’ un pezzo che parla d’amore, un dialogo fra i due amanti  (“Wake From your sleep/ The drying of your tears/ Today we escape, we escape” “Svegliati dal tuo sonno, asciugati le lacrime, oggi noi fuggiamo, noi fuggiamo “), quando avvampa un crescendo d’archi,  potrebbe sembrare che l’amore vince su tutto, che l’amore rende immortali, che la macchina può essere sconfitta dal gesto piccolo e onnipotente del bacio. E’ solo un abbaglio, perché dietro a questo romanticismo si nasconde la fine.

 

 

Let Down si presenta come l’unica via d’uscita al clima funereo della traccia precedente.“Don’t get sentimental, it always ends up drivel”“Non diventare sentimentale, finisce sempre in stupidaggini”: è questo il verso chiave del brano, in qualche modo una condanna all’abuso dei media di un sentimentalismo eccessivo, che anziché nobilitare il sentimento, lo svaluta e lo impoverisce. Media che ci hanno abituato ad emozionarci per la pubblicità di una scatola di biscotti e magari per i sentimenti veri, non riusciamo a proferir parola. Appiattimento e degradazione del sentimento sono il fil rouge dell’intero album (basta pensare ai testi di Karma Police, Paranoid Android, Fitter Happier, No surprise). La canzone ha una parabola emotiva, inizia tranquilla e raggiunge poi una stralunata euforia, sottolineata sul finale da una serie di  cinguettii elettronici, una freddezza sentimentale che asfalta tutto.

 

Karma Police è il pezzo per eccellenza da “Black Comedy” caratterizzata da una vena surreale e da una feroce ironia. Il titolo deriva da un modo di dire che gli stessi membri della band usavano quando vedevano qualche gesto da condannare :“Se ne occuperà la polizia del Karma”. Riprende alcune atmosfere beatlesiane e fa da spartiacque tra le due parti del disco. Infatti, dopo i suggerimenti robotici di Fitter Happier, critica all’utopia dell’uomo perfetto, si apre la sezione più sperimentale dell’album.

 

Con Electioneering irrompe nuovamente il rock grezzo e spasmodico che elabora la lezione dei REM di Michael Stipe e che in qualche modo si lega alle atmosfere di Pablo Honey. Insieme a Paranoid Android è l’unico momento dell’album in cui la band si concede del sano vecchio rock arrabbiato. E i Radiohead di Ok Computer sono arrabbiati, per la prima volta nella loro storia, politicamente arrabbiati. La band non si era mai occupata di politica prima del coinvolgimento nel War Child e prima di contribuire con Lucky all’album benefico Help. Con questo pezzo (e con la copertina dell’album) le cose sarebbero cambiate per sempre. Thom York scrisse Electioneering dopo aver letto The State we are in di Will Hutton e The age of Extremes, una breve storia del XX secolo scritta dallo storico marxista contemporaneo Eric Hobsbawm. In questo saggio emerge chiaramente attraverso la storia del secolo scorso come sia forte il legame tra politica di alto livello e denaro.

 

 

Questo pensiero viene inglobato nel testo della canzone, che assume un taglio giornalistico e che diventa un reportage di antiglobalizzazione, sostenuto da chitarre lamentose:

 

“Riot shields, Voodoo economics, It’s life, it’s life, It’s just business, Cattle prods and the I.M.F., I trust I can rely on your vote” “Scudi antisommossa, economia da stregoni, elettroshock e fondo monetario internazionale, spero proprio di poter contare sul vostro voto”.

 

La disonestà dei politici è un altro punto determinante del testo, con qualche frecciatina a Tony Blair, all’epoca primo ministro inglese, la cui immagine adorna la seconda pagina del booklet. Il ritornello “When I go forward somewhere we will meet.” si riferisce forse alla “terza via” proposta da Blair durante il suo mandato di primo ministro, quella tra il neoliberismo della destra e le politiche assistenziali della “vecchia” sinistra. Tutto ciò è reso in musica da due voci opposte che non si incontrano mai, uno scherzo musicale eccellente e carico di significato.

 

Con Climbing up the wall i Radiohead suggeriscono atmosfere più horror. E’ come se si fossero imbattuti in una casa diroccata infestata da spiriti:

 

“It’s always best when the light is off “ , “I am the pick in the ice / Do not cry out or hit the alarm / You know we’re friends till we die” “E’ sempre meglio con la luce spenta, “sono il punteruolo nel ghiaccio, non urlare o far suonare l’allarme, saremo amici fino alla morte”.

“And either way you turn / I’ll be there / Open up your skull / I’ll be there /Climbing up the walls”  “In qualunque direzione ti giri sarò lì/ stampatelo nel cranio, sarò lì a scalare il muro di casa tua”.

 

L’abilità espressiva di Thom York raggiunge i massimi vertici di minaccioso impressionismo e la voce si rompe distorta dal delay. Voci che si aggiungono e si stratificano , quasi vanno a sottolineare personalità multiple che accompagnano il brano degno di un film di David Lynch. Archi e loop digitali sono il preludio di un tappeto sonoro che arrederà le stanze di  Kid A.

 

No Surprises fu la prima traccia ad essere registrata in studio, fu scritta durante il tour con i R.E.M. nel 1995. Il videoclip di No Surprises, diretto da Grant Gee, è composto da un unico piano sequenza, con la telecamera fissa su Thom Yorke, il cui volto è chiuso in una boccia di vetro. La sfera si riempie progressivamente d’acqua per poi svuotarsi bruscamente sul finire del video.Il taglio claustrofobico del video  contrasta con l’atmosfera  di pacatezza e serenità che il brano esprime, anche se  la voce a tratti tremolante di Yorke non fa rilassare del tutto l’ascolto.

 

 

Lucky è l’ennesima ballata post-romantica (con qualche rimando ai Pink Floyd e assolo alla Gilmour), che sembra rappresentare la svolta positiva per l’autore. Ecco allora affiorare il tema dell’amore, Sarah, come soluzione di tutte le ansie, i problemi e l’angoscia dell’uomo contemporaneo. Una soluzione semplice forse? Probabilmente, ma forse per questo da non sottovalutare.

Dopo il viaggio accompagnato da visioni estreme, euforia, effetti psichedelici, arriva la stanchezza e il crollo con The Tourist:  

 

“They ask me where the hell I’m going? At a thousand feet per second/  Hey man, slow down / Slow down.”” mi chiedono dove diavolo sto andando? A 300 metri al secondo , hey Capo rallenta, rallenta.”

 

La musica  è di Johnny Greenwood, che sfodera una chitarra carica di inventiva, con una dilatazione dello spazio e con rallentamenti disorientanti, che finiscono esattamente nel punto in cui inizia Airbag e rende l’album una perfetta opera circolare.

A completare il tutto, la criptica cover dell’album che offre una importante anticipazione alle tematiche affrontate. A curarne l’artworks, Stanley Donwood illustratore, nonché scrittore e musicista britannico è anche l’autore di tutta la grafica del gruppo a partire dal singolo My Iron Lung.

 

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Un artwork di Stanley Donwood per Ok Computer

 

Donwood lavora al progetto grafico aiutato dal frontman della band, creando diversi collage di immagini e testi in grado di descrivere il lato visivo dell’alienazione rispetto alla politica e alla tecnologia postindustriale. Il collage in questione prevede un ambiente urbano non ben specificato. Lungo la strada c’è un bivio, metafora di smarrimento, sdoppiamento e il percorso da una parte si interseca in maniera confusa e improbabile con la città, mentre dall’altra diviene sopraelevato. Ci sono all’interno del booklet frammenti di Esperanto, la ricetta del Big Mac, pezzi di illustrazioni tratti da una scheda con le norme di sicurezza per gli aerei, altro segnale significativo di un’inquietudine sottolineata dalla scritta “Lost Child” sotto il logo di un bambino che piange.

Sul retro, oltre ai numeri delle singole tracce e ai relativi titoli, si può leggere anche la scritta «1=2 we hope that you choke» (speriamo tu soffochi) che rende il tutto ancor più angosciante.

 

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L’artwork di Ok Computer è pieno di messaggi

 

Ok computer  raggiunge la prima posizione della classifica inglese dopo due settimane dalla pubblicazione. E vende quasi 10 milioni di copie, vincendo il Grammy come miglior album di alternative rock. E’ un album che ha raccontato il malessere di una generazione, mettendolo su un tavolo chirurgico e vivisezionandolo. Dimentichiamoci le cupe atmosfere che lo stesso malessere aveva generato dieci anni prima nelle anime grunge oltreoceano, dove il buio e le voci calde facevano da padrone (Black, Black Hole Sun, Man in the Box, solo per citarne alcuni titoli), in Ok Computer ci sono i colori freddi di un neon accecante e il gelo artico delle corde di Thom Yorke. In più nessuno qui si è sparato una revolverata. Vi pare poco?

Quasi a voler dire “Sì, ragazzi, questo mondo fa schifo, cosa facciamo?”, prendere atto e andare avanti, trasformarsi, rinnovarsi, rimettersi in gioco, verso Kid A e oltre.

 

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