Noi invece non li abbiamo venduti, fortunatamente.

“Vendo biglietto concerto dei Radiohead”

“Compro due biglietti dei Radiohead per rivenderli che sennò mi sento tagliato fuori”

“Vendo i Radiohead”

“Vendo persone per comprare i biglietti dei Radiohead”

 

Chiunque in questi giorni abbia aperto Facebook o semplicemente acceso il computer si sarà trovato davanti al fenomeno “vendo biglietti dei Radiohead” e a tutte le mille teorie sul perché di punto in bianco nessuno voglia più partecipare a uno degli eventi dell’anno a Firenze. Paura terrorismo? Impegni dell’ultimo minuto? Caldo? Fatica? Improvviso disinteresse nei confronti dei Radiohead? Si parla addirittura di vendite dell’ultimo minuto per paura di dover assistere a uno show non all’altezza. Il fenomeno è diventato virale nel giro di poche ore, tant’è che perfino su un falso profilo Twitter di Thom Yorke è apparso l’annuncio di vendita dei biglietti. Io il mio biglietto comprato a mezzanotte spaccata del 1 novembre non l’avrei venduto per nulla al mondo.

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Il twitter di un profilo fake di Thom Yorke diventato subito virale

 

Dopo 7 mesi di attesa eccoci al fatidico giorno. Arriviamo all’Ippodromo del Visarno verso le 19, c’è traffico a Firenze considerando che siamo nel mitico periodo dell’anno in cui c’è Pitti e Firenze si popola di fashion victims in ogni angolo. Il nostro ingresso è quello rosso, entriamo velocemente, ci sono poche persone e i controlli sono veloci. Certo, avrei potuto avere dell’esplosivo nello zaino visto che me l’hanno solo tastato senza aprirlo, ma fa lo stesso.

 

Primo pensiero appena entriamo: cibo e birra. Sembra facile, vai, compri e paghi, ma non questa volta. Un cartello enorme all’ingresso ci informa che all’interno dell’Ippodromo si paga solo con i tokens, ovvero dei gettoni quadrati blu. Ci sono 4 baracchini adibiti al change, uno in ogni angolo. Per fortuna quando arriviamo la fila è molto breve. Mentre siamo in coda ragioniamo con le persone accanto a noi: con 15euro ricevi 5 tokens, sì ok, ma cosa ci compri con 5 tokens? Non è molto chiaro, speri con 15 euro di poter mangiare e bere in abbondanza. Riceviamo i nostri gettoni e ci dirigiamo al primo banchino che vende i panini, e in un batter d’occhio abbiamo finito i tokens: con 15 euro ci prendi un panino e una birra. L’idea sarebbe quella di cambiare altri soldi ma nel giro di mezz’ora la fila ai change diventa chilometrica. Non ci resta che sperare nei venditori abusivi che girellano portandosi sulle spalle i cassoni con il ghiaccio e le birre, ne avvistiamo uno ma nemmeno il tempo di raggiungerlo che le ha già finite tutte. Mi sa che stasera non si beve.

 

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L’arena vista dall’alto

 

Ci mettiamo l’anima in pace e ci sediamo per terra a mangiare, ci guardiamo intorno e l’atmosfera fa molto Coachella, un parco enorme, il sole che tramonta e gente vestita in modo improbabile. Il pubblico visto fin’ora è molto variegato, ragazzi giovani, coppie over 60 e famiglie con bambini, che poi io un bambino di 6 anni a un concerto dei Radiohead non so se ce lo porterei, poverino.

Ad aprire la serata c’è JUNUN, il progetto lanciato da Jonny Greenwood con il compositore israelo—indiano Shye Ben Tzur e la band The Rajasthan Express. Non a caso Junun in hindi significa follia. L’incontro culturale/musicale tra l’elettronica stile Radiohead e le sonorità tradizionali indiane creano l’atmosfera giusta, tant’è che intorno a noi cominciamo già a sentire odore di ganja.

 

La terra di mezzo tra JUNUN e Radiohead è James Blake, che calma gli animi dopo la festa hindi appena conclusa. Blake regge il palco alla grande e ci regala alcuni dei suoi più grandi successi: Life Round Here, Timeless, Limit To Your Love, Voyeur e Modern Soul. Intorno a noi qualcuno balla, in molti se ne stanno seduti o distesi sul prato e altri cominciano ad accusare la botta/sbronza. Qualche bambino è già crollato in un sonno profondo.

 

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James Blake ha suonato prima dei Radiohead

 

Quando nell’aria si inizia a percepire che il concerto sta per iniziare tutti ci alziamo e ci avviciniamo al palco che in realtà è lontanissimo. Le urla delle persone in prima fila sembrano provenire da un’altra dimensione. Il cielo è scuro ma per fortuna non piove. Le aspettative sono alte considerando che le opinioni sull’ultima trasferta dei Radiohead a Firenze nel 2012 sono, a distanza di anni, ancora molto discordanti, tra chi si lamenta dell’audio non troppo buono e chi ancora non perdona a Yorke e soci l’assenza di Paranoid Android.

 

Nonostante ci siano persone in fila ovunque per tokens, cibo, alcool, bagni e sigarette, il concerto inizia, il palco si illumina con migliaia di piccole luci bianche e parte Daydreaming, tratta dall’ultimo album A Moon Shaped Pool. Le luci e gli effetti grafici proiettati sugli schermi ovali ci accompagnano per tutta la serata, creando uno show visivo perfettamente in synchro con la musica. Fin dall’inizio il pubblico è in totale empatia con la band e a nessuno frega più nulla della polvere, del caldo, della minaccia pioggia e delle file chilometriche.

 

 

La scaletta è semplicemente perfetta, con ben sei brani tratti da Ok Computer che ha da poco compiuto vent’anni: Airbag, Exit Music, un’inaspettatissima Let Down, Lucky e per la gioia di ognuna delle 50mila persone presenti un’esplosiva Paranoid Android, per chiudere poi la serata con Karma Police. Non ci speravo più ma alla fine è arrivata pure lei.

 

Alcuni pezzi come Fake Plastic Trees vengono ascoltati in religioso silenzio, anche perché certi brani può cantarli solo Yorke.

Quando partono classici come Idioteque e Everything in its right place andiamo tutti in delirio, perfino la coppia accanto a noi che è stata abbracciata per tutto il concerto si stacca e inizia a muoversi. Pensavamo fossero incollati dal caldo invece era solo amore.

 

 

I brani che si susseguono ripercorrono praticamente tutta la carriera dei Radiohead, da Kid A, passando per In Rainbows, Ok Computer, The Bends, Amnesiac, Hail To The Thief, The King of Limbs e il più recente A Moon Shaped Pool. Insomma, c’è poco da dire, una scaletta perfetta a detta di tutti. Poi chiaramente ognuno ha le sue canzoni preferite e per me dopo Weird Fishes/Arpeggi avrebbero anche potuto spengere le luci e salutare la curva. Certo, se poi ci fosse stata anche True Love Waits, la serata sarebbe stata ancora più perfetta di quanto già non lo sia stata.

 

Thom Yorke canta, suona, balla (a modo suo) e interagisce con il pubblico, sempre a modo suo, ridacchia, biascica parole senza senso e sfoggia un impeccabile italiano. “va tutto bene? Ne vuoi ancora?” chiede prima dei bis. E certo che ne vogliamo ancora.

 

 

Per evitare la calca umana ci allontaniamo dall’Ippodromo alla fine di Karma Police e poco dopo sentiamo una vocina che in lontananza canticchia “Bye bye darling”.

 

Dopo questa serata e dopo aver letto stamani le recensioni di chi ieri sera ha partecipato a questo evento unico, sorge spontanea una domanda:

“Siete felici di aver venduto i vostri biglietti?”

“Noi siamo molto felici di non averlo fatto”.

 

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