La storia del Re Lucertola.

 

“Preferisco star qui con i pazzi,

Che morire con i tristi uomini che vagano liberi”

All the Madmen, David Bowie

 

 

C’è stata un’unica estate dell’amore

Il mito americano dell’eterna giovinezza, dell’adolescenza che si sovrappone alle prime rughe d’espressione, è un fenomeno della terra di Jim Morrison.

La nazione che ha fatto del riscatto un imperativo categorico, la leva emotiva di intere decadi cinematografiche; la spiritualità del XX secolo, la spinta morale di intere generazioni.

Era appena iniziato il mese di luglio del 1965 quando Ray Manzarek vide un nuovo e migliorato Jim sulla spiaggia. L’ex studente di cinema aveva fatto la muta tra la fame e le allucinazioni auditive dell’LSD sul terrazzo di un condominio.

La realtà di un ragazzo di ventun anni era filtrata da una profetica consapevolezza di un successo futuro. Tutto quello che sarebbe venuto dopo era già lì, nella testa di Jim.

 

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Tutto quello che sarebbe venuto dopo era già lì, nella testa di Jim Morrison

 

Quando inginocchiandosi davanti a Ray intonò Moonlight Drive il futuro apparteneva già al passato.

“Sentivo nella testa un concerto vero e proprio”, dichiarò a Rolling Stone anni dopo, a rivoluzione finita.

La musica stava prosperando grazie alla serrante e positiva competizione.

Il rock feroce e proto punk dell’album Here are the Sonics dei Sonics era uscito da poco quando due amici s’incontrarono sulla spiaggia di Venice.

 

Bob Dylan era in procinto di pubblicare la sua opera rock con Mike Bloomfield e Al Kooper, Highway 61 Revisited; gli Who scaldavano i motori con My Generation dall’altra parte dell’oceano e Robbie Basho, debuttava tra le pieghe di un rock psichedelico con The Seal of Blue Lotus.

All’uscita dell’album eponimo dei Doors, benché il singolo Light My Fire superasse With a Little Help from my Friends dei Beatles, il mercato era saturo di pietre miliari: il primo album dei Pink Floyd, la sperimentazione spinta dei Red Crayola e lo splendore oscuro di Velvet Underground & Nico. L’intero tono di una stagione irripetibile era lì, sui solchi di un 33 giri.

American Bandstand, rappresentò il debutto nazionale in tv dei Doors che, prima al London Fog e poi al Whiskey a Go Go con gli amici Love, avevano maturato una certa esperienza nel soggiogare il pubblico.

Il Sunset strip si era rivelato l’incubatrice di un nuovo tipo di sciamano, lo sciamano dei media.

 

 

Jim sapeva che, strofinando abbastanza a lungo l’asta del microfono sull’inguine, sarebbe arrivato agli organi sessuali di un’America fintamente puritana e, oltre la superficie, violenta; era consapevole dell’importanza degli slogan per i media: tv, riviste, radio, indistintamente dava agli intermediari tra lui e il pubblico tutto il materiale per costruire il mito, il suo.

La stessa folla senza volto aspettava ora Jim Morrison per fagocitarlo, com’era successo prima ai Rolling Stones di Keith Richards e ai Beatles.

Assalito da ragazzine raggrumate in un unico ormone danzante, Jim studiava i fan del gruppo durante i concerti: interagiva con loro tramite domande e osservazioni, quando non si divertiva a prenderli in giro.

Era l’estate dell’amore e un derviscio in pelle nera raccoglieva l’ammirazione del pittore e musicista Don Van Vliet, l’approvazione entusiasta di Arthur Lee dei Love e ispirò James Osterber a fare musica.

L’eclettica Nico, reduce delle botte di Brian Jones, instaurò un legame spirituale – oltre che sessuale- col frontman dei Doors.

 

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L’eclettica Nico, reduce delle botte di Brian Jones, instaurò un legame con Jim Morrison

 

Mentre la relazione con Pam Courson si mostrava più disfunzionale che mai, Danny Fields assistette al delirante incontro tra la tedesca e Morrison.

L’epilogo dei due amanti non arrivò prima del 29 giugno del 1971 a Parigi.

Se gli eccessi, apparentemente senza senso, di Jim furono impossibili da ingollare da Fields e dall’artista Ronnie Cutrone, per Nico Jim diventò il suo equivalente maschile.

Polluce aveva ritrovato Castore.

 

“Beh, mi sembra che tu abbia visto troppo in così pochi anni

E anche se ci hai provato non puoi proprio nascondere i tuoi occhi in lacrime”

19th Nervous Breakdown, RollingStones

 

Le etichette uccidono

 

“Ora posso morire in pace”.

 

Da una parte c’erano i Doors, la musica, Strange Days e le esibizioni mefistofeliche sul palco, dall’altra c’era la poesia.

Ci sarebbe anche una terza parte, non del tutto minore, che Jim dedicava al cinema e al teatro, ma la poesia racchiudeva la visione della settima arte e la musicalità sufficiente a spingere un uomo a vivere.

Ginny Ganahl iniziò a lavorare come segretaria per il gruppo nel ’68, e come dattilografa per Morrison. Jim le confidò che poteva morire in pace una volta tenuto stretto tra le mani il suo primo libro di poesie.

C’erano stati gli esperimenti di cut-up coi giornalini MAD nell’adolescenza, ma il Beat sconvolse i sensi di Jim più di qualsiasi droga.

Il ritmo hip, la fame di vita che emergeva dalle opere di Gregory Corso o dalle avventure di Kerouac, avevano innestato un seme nella mente dell’uomo.

 

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La Beat Generation sconvolse i sensi di Jim Morrison

 

L’idea che non avrebbe mai potuto rinunciare alla musica non sfiorò la sua mente fino a pochi giorni prima della morte.

 

“No, Ray, sto per avere un esaurimento nervoso e voglio lasciare la band”.

 

Jim era già provato dal ritmo frenetico delle esibizioni dopo pochi anni: l’incidente a Miami, il 1° marzo 1969 , fu un vero suicidio: riemerse come un continente sommerso la faccia intollerante e anti-sesso del paese.

Tutto questo non era importante, lo era nel momento in cui l’opinione pubblica mostrava i denti.

Benché temesse fortemente di finire in una prigione del sud, l’immaginario figurativo di un ragazzo di ventiquattro anni prosperava, a tratti soffocato dall’alcol.

Jim Douglas Morrison era fondamentalmente un esistenzialista americano: consapevole come altri artisti, Jim Carroll, di vivere sotto una costante minaccia di morte.

I figli dell’atomica erano sacrificabili sull’altare di una nuova e insensata guerra, il Vietnam.

 

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I figli dell’atomica erano sacrificabili sull’altare di una nuova e insensata guerra, il Vietnam

 

L’alternativa alla morte era l’ubbidienza, il conformismo, il padre ammiraglio, il nome del Padre, tutto l’insieme di regole e divieti da cui Jim rifuggiva con la ferocia di un animale braccato.

Jim era un avventuriero della notte, un pioniere del West che fendeva l’ansia di una società sull’orlo di una crisi di nervi con un urlo primordiale.

 

“Wake Up!”

 

Il vagito del primo uomo, portatore di un pensiero oscuro e romantico dell’esistenza.

Per definizione un ribelle, per denaro una macchina da slogan per la massa.

La sua idea di rivoluzione senza programma era già palpabile nell’aria prima del processo.

Il suo carattere dinamico si scontrava col lato reazionario della musica dei Doors; la forza ambivalente di Jim correva in direzione contraria al bisogno di approvazione dalla critica letteraria.

Voleva essere un poeta. Voleva essere un regista, eppure il progetto per il suo film, The Hitchhiker, veniva ampiamente deriso da Dennis Hopper che, con Easy Rider, non aveva nulla a che spartire con la visione cinematografica dell’ex studente di cinema.

 

“Tutta la vita sudiamo e risparmiamo costruendo una tomba poco profonda”

 

A Michael McClure, poeta beat e scrittore, piaceva Morrison. In seguito avrebbe detto a Frank Lisciandro:

 

“Mi piacevano la sua intelligenza e il suo stile (…) Era abile sia fisicamente che mentalmente, muoveva tutto se stesso in una precisa direzione. Ci indovinavi il poeta.”.

 

Nell’aria non c’era solo la poesia ma la possibilità di una trasposizione cinematografica di The Beard. The Beard era l’opera teatrale di McClure.

 

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Jim Morrison e Pam Courson alla prima di “The Beard” di Michael McClure

 

Se Jim rimase affascinato dal lavoro del poeta, tra cui il romanzo The Adept, Michael s’innamoro delle poesie di Morrison che Pamela gli fece leggere a Londra.

 

“Aveva paura di ricevere complimenti perché era una rockstar e temeva che le poesie non sarebbero state prese seriamente dalle persone che voleva le prendessero sul serio”.

 

Di nuovo scisso da se stesso, slanciato verso la sua vera passione e ancorato dall’insicurezza.

“C’è qualcuno qui che mi capisce?”, durante le registrazioni di The End, due anni prima, qualcuno rispose di sì, Paul Rothchild, ora era il turno di McClure.

Per assurdo, proprio quando Jim era stanco della sua identità di rockstar, compose uno dei pezzi miglior del gruppo, Wild Child, per l’album terribilmente sottotono The Soft Parade.

I Led Zeppelin stavano iniziando a sconvolgere il paese e Morrison aveva perso ogni interesse nella musica.

Tutte le sue energie erano focalizzate a descrivere la deriva lisergica del mondo che aveva conosciuto, l’America e, in particolar modo, Los Angeles.

La trama del film The Hitchhiker era la storia di un autostoppista assassino che uccideva chiunque gli offrisse un passaggio.

Curiosamente in quel periodo l’aria era satura di violenza, poi sfociata nell’estate del ’69 col delitto Tate-LaBianca.

 

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Charles Manson e i suoi seguaci in arresto

 

Ciò che era cominciato come la spinta motrice della gioventù dissipò velocemente la sua energia lasciando cadaveri per strada.

Le domande erano state fatte, ma non ci furono risposte, solo il silenzio dilaniato dopo anni dal rumore di una pallottola: punk!

 

“È come quando scendo sulla pista da ballo e tutti si fanno da parte e si mettono a guardare. Non so come sto andando. Immagino bene. Ma magari no”

Raymond Pettibon

 

Entropia

Come ogni persona sensibile e intelligente Jimmy sapeva benissimo cosa riusciva a frustrarlo, deprimerlo o agitarlo.

Con o senza Pam intorno Jim era privo di inibizioni.

La droga non era più un problema, ma quello che ormai non poteva essere più considerato un semplice principio di alcolismo.

Beveva fino a svenire, pisciandosi spesso e volentieri addosso. Quell’etica del “vomitatemi addosso, sono lavabile” poi ripresa dal punk, lui l’aveva anticipata con estremo disinteresse. Non era una posa, era così.

L’Adone che camminava a Venice Beach aveva lasciato il posto a un personaggio ambiguo: c’era James, il gentiluomo del sud, colto, dolce e affabile e poi Jimbo, lo psicopatico che non guardava in faccia a nessuno per sopprimere il senso di frustrazione, depressione e agitazione che lo attanagliavano sempre di più.

I bellissimi lineamenti iniziavano ad appesantirsi per l’alcol e il cibo.

 

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I lineamenti di Jim Morrison iniziavano ad appesantirsi per l’alcol e il cibo

 

Sempre più scontroso e ubriaco se ne usciva in giro, di tanto in tanto, con sparate razziste e misogine, o invitava ragazze in camera cercando di farsi trovare a letto con altre tipe. Nel suo giro di scappatelle non mancavano le piccole e strafatte randagie della famiglia Manson.

Secondo le interviste rilasciate a Frank Lisciandro, Jim mutava carattere in base alla persona che aveva davanti: stare con lui era come un gioco alla roulette russa.

La sua vita interiore, però, era sempre attiva. Con più di vent’anni di anticipo parlò di una musica “fatta da una persona con molte macchine, un uomo che canta e ha degli aggeggi elettronici, un’estensione del sintetizzatore moog, una tastiera con la complessità di un’intera orchestra”.

Nel libro di Stephen Davis, si evince che Jim predisse l’avvento della techno, del punk e della world music.

La morte di uno dei suoi idoli, insieme a Elvis e Frank Sinatra, Brian Jones dei Rolling Stones, smosse la parte più profonda del cantante.

 

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La morte di Brian Jones scosse profondamente Jim Morrison

 

Una parte di lui si rispecchiava nel triste declino del fondatore degli Stones. In uno slancio di dolore compose Ode to L.A. WhileThinking of Brian Jones, Deceased, che recita in parte:

 

Eri il sole/ abbagliante/ dei pomeriggi in TV. Spero che tu te ne sia uscito/ Sorridendo/ Nel fresco residuo/ Di un sogno.

 

Neanche il ricordo delle letture del suo nuovo American Prayer, in maggio, riuscì a consolarlo.

C’era una visione di futuro nella morte di Brian Jones e le sessioni con Eric Burdon servirono a poco.

“Politici erotici”, lo slogan geniale lanciato con un ammiccamento ai giornali da parte di Jim, ora si presentava con un’aria più da intellettuale beat: barbuto e meno curato, ben lontano dall’immagine di copia minore di Rimbaud del 1967.

The Lords/Notes on Film e The New Creatures, stampate in un centinaio di copie a testa, furono mandate da McClure alla Simon & Schuster che ne acquistò i diritti.

Eppure, al di là della bella notizia, i Doors erano sempre dietro l’angolo.

A settembre del ’69 suonarono in Canada. Il gruppo demotivato si ritrovava un performer affascinante ma spento.

Solo The Morrison Hotel nel ’70 segnò un nuovo inizio per il gruppo: un vero ritorno all’R&B.

 

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The Morrison Hotel segnò un nuovo inizio per il gruppo: un vero ritorno all’R&B

 

Pam, dal canto suo, era troppo impegnata a tenere in vita il negozio finanziato da Jim, Themis, e a fare uso di eroina e antipsicotici.

L’equilibrio della coppia era fragile quanto l’umore di Jim.

Il tour dei Rolling Stones terminò nel fiasco di Altamont; Brian Jones non c’era più; l’uomo era andato sulla luna e Jim Morrison iniziava gli anni ’70 pubblicando in tiratura limitata An American Prayer.

Con un processo ancora da affrontare per lo scandalo di Miami, Jim viveva l’alienazione delle contraddizioni di un’epoca, affrontando il dramma del clima di follia a ritroso ripensava alla sua vita, alla violenza della sua infanzia e, in un pianto, l’ultima volta che vide sua madre, parlò di un abuso subito da piccolo.

Nell’estate del’70 era chiaro a tutti che Morrison doveva cambiare aria. Il 20 settembre fu condannato colpevole per atti contrari alla morale e bestemmia in luogo pubblico. Fu assolto dalle accuse maggiori ma il processo era stato una farsa che aveva stremato Jim.

In queste condizione il gruppo, abbandonato da Paul Rotschild che trovava il loro sound troppo stereotipato, assemblarono in soli due mesi l’album della fine: L.A Woman.

 

“Fummo tutti felici per un po’, seduti là a far niente a parte sparare cazzate e giocare, ma questo fu per noi un periodo terribilmente breve, dopodiché la punizione fu oltre il credibile.”

Un oscuro scrutare, Philip K. Dick

 

James Douglas Morrison

James Douglas Morrison nacque a Melbourne in Florida l’8 dicembre 1943. Figlio dell’ammiraglio George Stephen Morrison e Clara Clarke Morrison.

Maggiore di tre fratelli (Anne e Andrew), si dimostrò fin da piccolo particolarmente sensibile, creativo e intelligente. Nel 1955 Gioventù bruciata lo legò all’arte del cinema, mentre l’incontro con gli scrittori Beat e Norman Mailer definirono in parte la sua futura identità.

Jim Morrison era, probabilmente, a tutti gli effetti un hipster nella definizione dell’autore de Il Nudo e il Morto:

 

“l’hipster è un enfant terrible alla rovescia (…) Egli cerca di ribattere ai conformisti tenendosi appartato (…) E l’unico non conformista estremo della sua generazione, esercita un’attrazione potente (…) E come i bambini aspira alla dolcezza.

 

James Douglas Morrison era un figlio del suo tempo, un esistenzialista puramente americano che sorrideva alla sorella morte, che accettava la propria natura feroce immerso in un eterno presente.

 

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Jim Morrison era un figlio del suo tempo

 

Col tempo si tende a dimenticare la natura umana di James, in primis era un ragazzo. Scosso dalla instabilità famigliare, dai continui spostamenti causati dal lavoro del padre, si divertiva a fare il pagliaccio in classe e a tormentare il fratello Andrew. Tutto questo prima di recidere il cordone ombelicale definitivamente per studiare cinema all’UCLA.

Era un ragazzo amato dai compagni ma sfuggente. In nuce la stella era già nata: il buffone e il bohemién, il ragazzo dall’eccessiva intelligenza ossessionato da Elvis e dai poeti beat, viveva già in un isolamento fatto di domande.

Con un’infanzia relativamente e apparentemente normale, di estrazione borghese, salutò la famiglia sul finire del ’64 pronto a lanciarsi nella cultura del boom demografico, pronto a farsi toccare dalla decadenza romantica occidentale.

L’anno zero della musica.

 

“Ti amo ma sono solo”

Dylan Thomas

 

The Marble Index

Imparare a dimenticare. Quando Jim Morrison con una causa ancora in corso partì per la Francia mise in atto il mantra “impara a dimenticare”.

L’8 dicembre del ’70 compì ventisette anni, ancora in America, Jim continuava a distillare dalle dita poesie sempre più macabre. In una addirittura si chiedeva “Morirò?”.

Il destino che si auto adempie venne certamente forzato dall’artista che, dopo la morte dell’amica Janis Joplin, disse ai conoscenti:

 

“Sono il numero tre”.

 

Con un senso di irrevocabilità salutò gli amici godendosi la città degli angeli ancora sul finire dell’inverno.

A marzo raggiunse Pamela al 17 di Rue de Beautreillis, quello fu il punto di partenza per le peregrinazioni artistiche del poeta che si aggirava per la Ville Lumière con svariate taccuini in cerca della Musa.

Col passare del tempo la barriera linguistica, la timidezza derivata dalla difficoltà nel comunicare e l’isolamento si fecero sentire. Eppure in città poteva contare su alcune conoscenze tra cui la regista Agnès Varda da sempre molto attaccata al cantante.

 

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L’ultima foto di Jim Morrison a Parigi

 

Jim aveva chiesto spazio, silenzio, tutti i guai capitati o causati volontariamente durante il lavoro coi Doors avevano sortito l’effetto sperato: era libero, poteva essere un vero artista, l’unica etichetta che la critica si rifiutava di concedergli.

Forse erano successe troppe cose per arrivare fin lì, forse la musica era rimasta la sua unica amica.

Colpito dai tremori dell’alcol, e da spasmi, nell’estate del ’71 il suo aspetto non era dei migliori.

Vagabondando per le strade, da bravo uomo della folla, in cerca di contatto umano, registrò quindici minuti di musica con due hippy americani.

Si lanciò in una passionale esibizione di Orange County Suite e diede tutti i soldi che aveva ai due.

Qualche sera dopo, Nico intravide il suo vecchio amante vicino all’Opéra. Lei era in taxi e lui non la vide. Come due moderni Zivago e Lara non riuscirono neanche a dirsi addio.

Jim Douglas Morrison morì quattro giorni dopo nella vasca da bagno dell’appartamento parigino e, da allora, si sono fatte infinite ipotesi sulla sua dipartita: suicidio, omicidio, coaguli di sangue che fermarono il cuore, la China White, il funerale frettoloso, l’insieme di circostante assurde e mal gestite hanno alimentato leggende come quelle che aleggiano e soffocano i più grandi.

 

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La tomba di Jim Morrison a Parigi

 

“È una strana storia che sia affogato in una vasca da bagno a Parigi. Una cosa maledettamente assurda. Non ci ho mai creduto neanche per un minuto”, disse William S. Burroughs.

Con gli anni si è sedimentata la convinzione che l’opera di Jim Morrison fosse un bluff andato a buon fine, la presa in giro di un bambino psicopatico; un generatore di pensieri banali ante litteram.

In un periodo storico in cui si tende a rivalutare qualsiasi cosa, alla tendenza creativa, alla feroce intelligenza e alle qualità di performer di Jim dovrebbe essere data una nuova dignità.

I Doors, finché c’era il loro frontman, non si sono mai venduti. Rappresentarono la fine dei sixties prima del crollo del valore degli artisti, prima che tutto diventasse una macchina macina soldi. La spinta creativa e rivoluzionaria stava subendo i primi colpi mortali.

La festa era finita. Lo stesso Morrison era logorato da quegli ideali comunitari che avevano alimentato pezzi come The Unknow Soldier.

Era iniziata l’epoca del tragico sperpero dell’energia umana e, Jim Morrison, fu tra quelle poche rockstar che nella fantasia, nella musica e negli urli disumani lanciati dai palchi di tutta America, nascondeva un dolore lancinante.

 

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