Berlusconi, dato per morto e poi risorto innumerevoli volte.

Roberto Benigni, sul paradigma Dio-Berlusconi, aveva costruito uno dei migliori spettacoli satirici che siano mai andati in scena in Italia. Eppure, per quanto fine pensatore possa essere considerato l’attore toscano, la satira ha il dono dissacrante di far pensare senza prendersi troppo sul serio. Quindi, tra un caffè e l’altro, sostenitori e nemici accaniti hanno alimentato le chiacchiere da bar proprio partendo da questo assunto: Berlusconi come Dio, che se la crede, che tutto ha o tutto vorrebbe, di contro a chi, invece, a Berlusconi ha sempre creduto. Non solo creduto, perché il verbo credere non rende giustizia a quanto lavoro abbia fatto il Cavaliere in ventitré anni di politica. Hanno concesso la loro fede. Così, se da una parte alla corte di Dio ci si fa sempre più scettici, alla corte di Silvio, che pure sembrava esser finito nel dimenticatoio – povera e vana illusione – si accorre in gran numero, specialmente in tempi di elezioni. Questo hanno detto le urne, questo hanno detto i ballottaggi, ma, aspettando le prossime elezioni politiche nazionali, questo potrebbe esser lasciato in dote alla storia. Eppure Berlusconi, tornando alla satira, non è tanto quel Dio biblico, a tratti crudele, che hanno sempre voluto far presagire i compagni del nostro tempo. Berlusconi incarna lo spirito perfetto del Dio cristiano, cattolicissimo, uno e trino. Perché Silvio è Padre, Figlio e Spirito Santo. E questa non è solo ironia, se avrete pazienza, cercherò di dimostrarlo.

 

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Berlusconi incarna lo spirito perfetto del Dio cristiano?

 

Il Padre

Questa figura è la più facile da inquadrare. Se non altro, basta appellarsi al mero decorrere della storia: il biennio ‘92-’94, sotto i colpi del martello del tribunale di Milano e delle bombe siciliane, ha cambiato la fisionomia politica della nostra penisola. Serviva cambiamento, radicale, ma senza interrompere del tutto i legami con il passato. Serviva un volto nuovo, che fosse però nuovo per gli elettori, ma noto tra i piani alti di un passato in dissoluzione. L’anello di giunzione di questa catena arrugginita è stato proprio Silvio Berlusconi, il noto imprenditore milanese che, prima con le sue televisioni, poi con la politica, portava con sé l’arduo compito di salvare l’Italia. Salvare l’Italia da cosa? Da un lento ed inesorabile declino, dal potere dei partiti, da uno Stato “illiberale” che, per colmare i deficit di un decennio di tangenti, si vedeva costretto ad aumentare la pressione fiscale a spese dei grandi e dei più piccoli (imprenditori).

 

In questo vuoto, che ogni tanto la storia lascia senza intervenire per colmarlo, si è inserito il Cavaliere. Un vuoto ideologico, oltreché di potere. Allora ecco il Padre che scende in campo per la libertà del proprio paese, ecco che piccoli club spontanei (Forza Italia non nasce in maniera tanto differente dal Movimento 5 Stelle), ma da lui stesso promossi, si trasformano piano piano in una macchina partitica che fa delle innovazioni comunicative il suo grande alleato per arrivare ai vertici. È il 1994, Berlusconi vince, da neofita della politica, le elezioni e si aggiudica la presidenza del Consiglio. Dura meno di un anno e tutti i segnali lasciano presagire che sia stato un fuoco di paglia (il ribaltone della Lega Nord, che da fedele alleato diventerà, per appena due anni scarsi, un acerrimo nemico). Ma Berlusconi non è solo Padre, è anche Figlio, e le sue mosse dall’alba del 1995 in poi saranno fatte in funzione di ciò: garantire un futuro solido e stabile a quanto da lui creato. Insomma, a se stesso.

 

 

Il Figlio

Eppure, sia Lega Nord che Alleanza Nazionale, non sono abbastanza forti per poter sopravvivere da soli nel panorama della politica italiana. Una politica che per cinquant’anni ha rifiutato ogni appellativo che potesse solo essere collegato alla destra, memore ancora del cupo ventennio mussoliniano, ma che non ha mai chiuso le porte in faccia ai cosiddetti neofascisti. Così, ancorata nel più ferreo degli antifascismi (come scrive Giovanni Orsina nel libro Il berlusconismo nella storia d’Italia), l’Italia ha rinnegato la destra, ha sparpagliato le sue forze in gruppi meteore della politica (il qualunquismo di Giannini, ma anche Almirante e l’Msi) ed ha affidato le redini al centro, prima alla Dc e poi ai socialisti, che a discapito del nome, di socialista hanno sempre avuto ben poco. In mezzo, ingombrante come un macigno, il Pci ha combattuto senza convinzione, forte del potere da oppositore, ma sempre lontano dai banchi del potere.

 

Nel vuoto lasciato da Tangentopoli, il “socialista” Berlusconi, amico di Craxi e non sia mai anche di qualcun altro ben più temibile, ha avuto l’intuizione: sfruttare il caos per radunare attorno a sé tutte quelle forze di destra che si sono sempre nascoste tra di noi, senza mai far troppo rumore. Non la destra dei manganelli, ma la destra liberale di matrice reaganiana e tatcheriana che, si può ben capire, nell’Italia dell’IRI e delle co-partecipazioni statali tanto avrebbe stonato. Eppure, in ritardo di un decennio rispetto ai modelli anglofoni, Berlusconi ha importato un sistema politico, il quale è stato diffuso con un’organizzazione che nemmeno il Pci delle Feste dell’Unità ha mai avuto. La capillarità della comunicazione, tra televisioni e giornali, ha fatto sì che Berlusconi si facesse breccia nel vuoto politico: e se al primo giro potrebbe essere stata fortuna, la vittoria del 2001 ha con sé tutti i caratteri di un successo programmato. Un successo che è stato sì legittimato dal voto, ma che ha avuto un unico artefice per un unico e medesimo destinatario: Berlusconi.

 

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Nel vuoto lasciato da Tangentopoli, il “socialista” Berlusconi, , ha avuto l’intuizione

 

Prima di tutto, ha messo a tacere i bizzosi alleati. Sia Lega che AN hanno pensato bene di sfruttare la faccia pulita del Cavaliere per entrare in Parlamento, covando però la malsana ambizione di liberarsi del fardello di Forza Italia il prima possibile. E se la Lega aveva dalla sua un exploit incredibile, per un partito senza tradizione (un movimento, come per altro è stato Forza Italia), An confidava proprio nella storicità del suo pensiero, di destra, ma non fascista, comunque mai sino a quel momento compreso. Insomma, i presupposti ci sarebbero anche stati, ma la presenza di Berlusconi non si è limitata a strumento di propaganda: nei cinque anni di opposizione, tra il ‘95 ed il 2000, Silvio ha organizzato e strutturato Forza Italia affinché prendesse le sembianze di un vero e proprio partito, ha invaso i suoi spazi televisivi e non con la sua faccia, ha urlato più forte di tutti contro quei comunisti che non hanno saputo mantenere un Governo stabile in cinque anni e, infine, ha fatto capire alla Lega e ad AN che tanto erano utili, quanto poco indispensabili. Il referendum sulla legge elettorale e le elezioni europee del 1999 sono stati il vero punto di svolta del berlusconismo, quello che ha messo finalmente i ribelli in riga, che ha fatto capire a Fini e Bossi che nessuno dei due sarebbe stato pronto a vincere senza Berlusconi. Sembrano passati secoli nel sentire certi nomi. Oggi abbiamo Di Maio, Renzi e Salvini, ma guarda caso, mentre Bossi e Fini si godono la pensione, Berlusconi è ancora lì, ad insidiare le nuove generazioni e ad occupare i salotti televisivi con lo stesso aplomb e la stessa retorica di vent’anni fa. E, stando a quanto accaduto due settimane fa, con gli stessi risultati. D’altronde è stato Padre, ma anche Figlio.

 

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Ha fatto capire a Fini e Bossi che nessuno dei due sarebbe stato pronto a vincere senza di lui

 

Lo Spirito Santo

Ora, in questo calderone, dal momento che nessuno sa con certezza cosa sia lo Spirito Santo, metteteci un po’ di tutto. Metteteci i processi, i soldi, le leggi ad personam, metteteci Dell’Utri, Provenzano o Ruby, ma anche Emilio Fede e Daniela Santanché. Metteteci insomma, quanto di buono o cattivo sia stato detto e ridetto in questi anni. Io, personalmente, preferisco concentrarmi su un altro aspetto, pertinente con tutto e per questo ancor più ineluttabile. Se avete finito di riempire con la vostra immaginazione, allora posso iniziare io a mescolare la pozione.

 

Com’è razionalmente spiegabile il successo di Forza Italia ancora oggi, dopo che ne sono state dette così tante, cotte e crude, giuste o sbagliate? Com’è possibile che Silvio Berlusconi riesca ancora a guardare in faccia ognuno di voi e dirvi che c’è bisogno di una rivoluzione, dopo che per vent’anni ha seduto sulle poltrone più prestigiose di questo paese? Possiamo dargli meriti, e anche parecchi, senza doverci sbilanciare per forza in giudizi di valore, ma non possiamo non riconoscere che ci sia qualcosa nell’aria che prescinda da ogni spiegazione logica e razionale. Per questo Padre, Figlio e Spirito Santo, per questo la Trinità. Perché un solo Dio sarebbe stato troppo facile da distruggere, ma tre, che poi son sempre uno, è di per sé così difficile da capire che servirebbe uno sforzo incredibile anche solo per farlo vacillare.

 

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I processi, i soldi, le leggi ad personam

 

Berlusconi con il piccolo Dudù su Rete 4, Berlusconi da Vespa che parla di tasse, Berlusconi con Cesara Buonamici al Tg5 (se fate un salto sulla sua pagina Facebook, dovreste trovarli tutti come una compilation musicale estiva), sono tutti ricorsi storici che sono difficili da comprendere. Eppure Berlusconi c’è, e batte anche i colpi. Quando Karl Marx parlò di rivoluzione permanente in merito alla Rivoluzione Francese, forse, ha parlato anche di questo. E se il primo Berlusconi si è presentato come un Robespierre con molte pretese, ma con poca logica, il secondo non ha fatto altro che il Napoleone, ovvero non ha incontrato la minima difficoltà nell’insediarsi su un trono che era stato abolito senza poi troppa convinzione. Poi, il silenzio, un vago tentativo di ribalta nel 2008, una sorta di Waterloo che sembrava aver tagliato definitivamente fuori il bonapartismo berlusconiano (neologismo politico, ora chiedo il Copyright) e che ha permesso all’Italia di offrire nuove alternative. Eppure, Marx ed Hegel insegnano, la storia si ripete, se non uguale, quasi sempre simile: al celebre Napoleone, dopo trentacinque anni di tentativi sparsi di repubblica e monarchia, è succeduto il nipote, Napoleone III. Un po’ come in Italia, dove ad una prima ventata di berlusconismo, potrebbe seguirne un’altra – sempre che non sia già in atto – con la sola differenza che il Berlusconi di allora si chiamava Silvio e quello di oggi… è sempre lo stesso.

 

Napoleone III cadde in battaglia a Sedan nel 1870. Un anno, o meglio, un periodo che ha ridisegnato i confini dell’Europa e dei singoli Stati: la Francia divenne repubblica, la Germania trovò la sua definitiva unità, mentre l’Italia stava per ultimare anch’essa il suo processo di unificazione. Insomma, anche se non con i risultati auspicati da Marx, qualcosa stava cambiando. Effettivamente, alla luce degli ultimi risultati elettorali, anche oggi, qualcosa, sta cambiando. Cambia la sinistra, che lentamente si spacca – come al solito – tra un passato ortodosso ed un presente progressista. Cambierà il Movimento 5 Stelle, uscito ridimensionato dalle elezioni nei comuni. Quel che parrebbe non cambiare, è proprio la destra, è proprio Berlusconi, sebbene la Lega Nord reclami ben più meriti rispetto a vent’anni fa. Che non sia questa la frattura? Che non sia ancora la Lega a scacciare la sete di successo del nostro Napoleone? D’altronde, per quanto tutto si ripeta, nulla resta fermo, immobile e la seconda volta – ma anche la terza o la quarta – come ci insegnano i saggi, non sarà mai come la prima.

 

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