Asghar Farhadi porta in scena un film dal sapore dostoevskiano per tematiche e toni.

Con l’accendersi delle luci in sala la sensazione che ci assale è più unica che rara. Dobbiamo assorbire tutto quello che ci è stato mostrato; due ore e dieci di emozioni forti, di quelle che restano impresse, ci scuotono dall’interno come se uno sguardo ci avesse scrutato senza veli.

 

Il regista Asghar Farhadi, dopo il bellissimo Una separazione, torna ad indagare con Il passato il contesto familiare, sviscerando tutte le paure, i dubbi che nascono dai rapporti umani. Non siamo più in Iran, ma a Parigi dove Ahmad torna da Teheran dopo quattro anni. All’aeroporto si guarda intorno, cerca qualcuno, poi appare una donna: i due sono separati da uno spesso vetro, si salutano, sorridono, cercano di comunicare nonostante la distanza; i loro movimenti sono impacciati, si nota che fra i due c’è stato qualcosa, un legame forte che non può essere offuscato da quel semplice vetro.

 

La bellissima donna è Marie, moglie di Ahmad che lo ha chiamato per fargli firmare i documenti del divorzio. Veniamo a conoscenza che Marie ha due figlie nate da altre relazioni; Ahmad viene invitato a stare da lei anziché in albergo come lui stesso aveva richiesto. Scopre subito che la donna ha una relazione con Samir, anch’egli sposato e con un figlio, il piccolo Fouad.

 

Il desiderio della donna di ospitare l’ormai ex marito a casa è tutto un piano, una macchinazione per immergerlo nel letame che la circonda.

 E qui, inizia la spirale discendente, i pezzi già incrinati iniziano a sgretolarsi intorno al povero Ahmad, capro espiatorio di una situazione ormai sfuggita a tutti di mano.

 

Una donna in coma ha tentato il suicido, è la mamma di Fouad, la moglie di Samir, la rivale in amore di Marie, una donna che ha ingerito candeggina davanti al figlio nella lavanderia del marito; quel figlio che in una scena memorabile col padre nella metro parigina ci consegna parole forti riguardo la madre, riguardo la morte, dicendoci che non riesce a capire come mai la donna sia attaccata a dei fili che la tengono in vita se lei, proprio da quest’ultima era voluta fuggire.

 

Asghar Farhadi 1

La scena memorabile nella metro dal nuovo film di Asghar Farhadi, Il passato

 

Ha compiuto un gesto estremo ma calcolato; tutti si interrogano sul movente pensando singolarmente di essere la causa di quella vita appesa a un filo.

 Il marito è inquieto, Marie ha i nervi a pezzi, la figlia maggiore Lucie non ha la forza di stare in casa, di affrontare lo sguardo del nuovo uomo di sua madre.

 

Ahmad si trova nel bel mezzo di un ciclone, un ciclone di passioni troppo forti per essere gestite; finché non arriva al punto di rottura decidendo di ripartire.

 

Asghar Farhadi si interroga sulle colpe dell’uomo, le distribuisce fra i protagonisti in modo tale da scatenare le più disparate reazioni, paure, dubbi e insicurezze fuoriescono dall’animo dei suoi attori come tirate da una mano invisibile; basta un niente per far vacillare ognuno di loro.

 

Il passato è un film dostoevskiano per tematiche e toni; Asghar Farhadi calibra bene ogni situazione, ogni parola, ogni dialogo perfetto nella sua scrittura, per consegnarci un film che pone molte domande ma da poche risposte. La più importante ci dice che per andare avanti abbiamo bisogno di un taglio netto, un taglio a quel cordone che ci lega ai nostri ricordi, perché i fantasmi passati riaffiorano sempre.