Compie 50 anni l'esordio capolavoro dei Pink Floyd.

Dissolvenze (parte I)

Siamo nel 1964 o 1965. Syd Barrett è studente della Camberwell School of Art di Londra. L’adolescente dimostra già un talento fuori dal comune, una spiccata originalità. In un’opera di questo periodo, in particolare, dà forma con inquietante preveggenza l’intero suo percorso artistico e umano, come se fosse già a conoscenza di ciò che lo avrebbe aspettato, di quanto luminosa e beffarda sarebbe stata la sua vita: una croce che progressivamente si dissolve, si deteriora, si scioglie, viene inglobata nel rosso. Sparisce ma rimane lì.

 

The Piper at the Gates of Dawn 1

La croce di Syd Barrett

 

Le arti figurative non sono l’unico amore del giovane Barrett. Come tutti i giovani del mondo, l’esplosione della musica giovanile lo influenza e lo incanta. Syd si cala in questo universo inesplorato e vergine, diventa musicista egli stesso e, con altri giovani entusiasti, forma un gruppo. Scolaretti R&B all’inizio, poi Syd scopre le avanguardie del momento, Love, Zappa, Byrds e AMM su tutti. I suoi Pink Floyd non saranno da meno.

                                  

Ma per il momento si limita a osservarli, a farne uno schizzo, e il risultato ricorda tanto la preveggenza della croce: ci sono Nick, Rog e Robert, rispettivamente il batterista Nick Mason, il bassista Roger Waters e il chitarrista Robert (Bob) Klose. Poi c’è lui, ma Syd è inequivocabile: “non posso disegnare me”, e si cancella il busto con dovizia. Sparisce, ma rimane lì.

 

The Piper at the Gates of Dawn 2

Syd sparisce, ma rimane lì.

 

Aneddoti su The Piper at the Gates Of Dawn, anarchico cinquantenne (parte I)

1) The Piper è l’unico album dei Floyd ad avere una tracklist scissa tra edizione UK e US, pratica che nel 1967 stava iniziando a sparire definitivamente. La versione statunitense del disco ha solo 9 tracce, inizia con See Emily Play anziché con Astronomy Domine, assente assieme a Flaming e Bike, e finisce con Interstellar Overdrive.

 

2)La stessa copertina rappresenta, se non un unicum, una particolarità nella discografia del gruppo. A partire da A Saucerful of Secrets, Storm Thorgerson e la sua Hipgnosis diventarono l’interprete visivo della musica dei Pink Floyd, non un semplice copertinista ma quasi un membro aggiunto. Per dieci anni tutte le copertine degli album dei Pink Floyd hanno portato la sua firma. Un litigio con Waters gli impedì di continuare per qualche anno il sodalizio, ripreso con l’addio del leader e bassista. Di fatto quindi le sole copertine non realizzate da Thorgerson sono quelle di The Wall, The Final Cut e ovviamente The Piper.

 

Quest’ultima, che da 50 anni divide circa la sua qualità (ingenua o efficace? Sempliciotta e non rappresentativa della musica contenuta o perfettamente psichedelica?), fu realizzata da Vic Singh, giovane fotografo nato in India che non ha mai più realizzato una copertina rock in tutta la carriera e che, non sapendo bene che scatto realizzare (il manager dei Floyd gli diede in pratica carta bianca), si ricordò di alcune lenti prismatiche che George Harrison gli regalò perché non sapeva che farsene.

Una curiosità nostrana: The Piper at the Gates of Dawn non uscì in Italia fino al 1971, quando venne pubblicato con una copertina a dir poco bizzarra, con i Pink Floyd ai Kew Gardens di Londra. Senza Barrett e con Gilmour in primo piano!

 

The Piper at the Gates of Dawn 3

La copertina italiana di The Piper at the Gates of Dawn

 

3) Norman Smith, produttore dei primi tre album dei Floyd (se si eccettua la colonna sonora di More), veniva dall’esperienza di ingegnere del suono dei Beatles, ruolò che ricoprì fino a Rubber Soul. La terza gemma della sua carriera è la produzione di S.F. Sorrow dei Pretty Things.

 

4) Barrett non è stato il primo chitarrista ad abbandonare i Pink Floyd. Bob Klose fu nel gruppo nel primissimo periodo, tra il 1964 e il 1965, registrando tra le altre I’m a King Bee e Lucy Leave per poi mollare per lo studio e divergenze musicali con Barrett (troppo interessato al pop e alla nascente psichedelia per lui, amante invece di blues e jazz). Curiosamente Klose, divenuto poi fotografo, è stato ospite negli ultimi due album in studio di David Gilmour, On An Island e Rattle That Lock.

 

Dissolvenze (parte II)

Siamo nel 1979. Syd Barrett è un 33enne come tanti, se non fosse per il suo passato. Ora vive a Cambridge, protetto dalla madre e dalla sorella dalle brutture di un mondo che non lo capisce. Il suo matrimonio con l’arte è tornato ad essere monogamo, la musica è sparita per lasciar spazio ai soli colori e tele. In un pastello fauve, primitivo, da pittura rupestre, Syd disegna un cielo azzurro, quella che forse è una casa, quello che forse è un giardino e, ben contornato da un nero che brucia anche tutto il quarto in basso a destra, c’è lui. Una silhouette senza volto, uno spirito senza occhi, una non voce. È Roger Barrett, come indica la firma, Syd era un semplice soprannome di quando era abitante del mondo che non lo ha capito. È sparito, ma è rimasto lì.

 

The Piper at the Gates of Dawn 4

Syd torna ad essere Roger Barrett

 

Aneddoti su The Piper at the Gates of Dawn, anarchico cinquantenne (parte II)

5) Ripensando a quegli anni, nel 1992 Waters disse:

 

“Syd era un genio, ma non tornerei a suonare Interstellar Overdrive per ore e ore.”

 

6) È piuttosto noto l’aneddoto che diede vita al riff di Interstellar Overdrive: il manager del gruppo, Peter Jenner, intonò il motivo di una canzone di cui non ricordava il titolo – era la cover dei Love di My Little Red Book di Burt Bacharach – e Barrett l’interpretò a suo modo. È meno famoso il fatto che il riff ricorda maledettamente, come sostenne Waters in primis, la sigla di Steptoe and Son, sitcom famosissima nel Regno Unito nei primi anni ‘60 (aspettate circa 18 secondi e avrete l’illuminazione).

 

 

7) La versione mono del disco, piuttosto rara da rintracciare in cd (era stata pubblicata nell’edizione deluxe del 2007 per il quarantennale, da molto tempo però fuori catalogo), è particolarmente differente in Interstellar Overdrive, soprattutto per quanto riguarda l’organo suonato da Wright: nella versione stereo fa effetto surround passando da una cassa all’altra, mentre nel primo minuto di quella mono lo strumento è co-protagonista assoluto con la chitarra di Barrett, cosa che non è affatto in stereo.

 

8) L’Ufo Club, il locale teatro dei primi light show dei Pink Floyd, fu leggendario ed effimero tanto quanto il periodo barrettiano del gruppo. Inaugurato nel dicembre del 1966, durò meno di un anno, per questioni economiche e di spazio: era troppo piccolo per poter ospitare il numero sempre maggiore di visitatori.

 

9) Uno dei cavalli da battaglia live di quel periodo, Pow R. Toc H. è uno dei brani più oscuri e impenetrabili dei Floyd barrettiani. A partire dal titolo: c’è chi dice che stia per “power toke”, ovvero “(farsi) un cannone”, c’è chi ha fatto notare che nell’alfabeto RAF (Royal Air Force) Toc H stava per TH, ovvero Talbot House, centro ricreativo militare nato nella prima guerra mondiale (interpretazione forzata, ma che potrebbe essere visto come il primissimo tassello dell’interesse artistico di Waters verso la guerra e la figura paterna, morto in servizio nel 1944).

 

C’è poi il famoso aneddoto coi Beatles: il 21 marzo 1967 i Floyd registrarono quattro versioni del brano più le sovraincisioni. Verso sera, grazie a Norman Smith, il gruppo fece visita ai Beatles, che stavano ultimando le registrazioni di Lovely Rita. Secondo alcuni i secondi finali della canzone di McCartney ispirarono Barrett per i vocalizzi d’inizio brano. Non è possibile sapere con certezza se questo sia vero, anche perché il brano era già stato suonato dal gruppo a fine 1966, ma in caso sarebbe saggio delle capacità di assimilazione di Barrett, capace di riprendere qualcosa di appena ascoltato da una canzone solare e trasformarlo in suoni primordiali e cupi. Tra l’altro Waters fece rivivere l’urlo di Pow in Careful With That Axe, Eugene.

 

 

10) Astronomy Domine fu suonata per l’ultima volta dal gruppo il 15 novembre 1971 a New York. Senza Waters, è riapparsa in diversi concerti del 1994 ed è diventata una presenza abbastanza costante nelle esibizioni di Gilmour. È di gran lunga il brano di The Piper at the Gates of Dawn più suonato dal gruppo nel corso degli anni.

 

11) A tal proposito, ecco tutte le canzoni pubblicate in studio nel 1967 dai Pink Floyd (di cui abbiamo recensito anche l’ultimo album Endless River), con prima e ultima performance live (tra parentesi il numero di volte che la canzone è stata suonata dal gruppo nella sua storia).

 

Arnold Layne: dal 6 marzo al 6 ottobre 1967. Fu ripresa nel 2006 da Gilmour (di quella serie è rimasta famosa la versione con David Bowie, in una delle sue ultime performance pubbliche) e nel 2007 dai Pink Floyd – senza Waters – nella serata tributo The Madcap’s Last Laugh. (15)

See Emily Play: dal 28 marzo 1967 al 19 febbraio 1968. (13)

Candy and a Current Ban: dal 14 ottobre 1966 al 1 ottobre 1967. (7)

Astronomy Domine: dal 14 ottobre 1966 al 27 ottobre 1994. (226)

Lucifer Sam: dal 15 aprile 1967 al 10 novembre 1967. Il 24 febbraio 1972 Barrett, con il gruppo dalla brevissima vita Stars (durò circa un mese, prima che Syd si eclissasse di nuovo), la suonò, unico pezzo dei Floyd a essere riesumato in quelle performance. (6)

Mathilda Mother: dal 20 gennaio 1967 al al 16 ottobre 1968. (18)

Flaming: dal 14 ottobre 1966 al 27 novembre 1968. (25)

Pow R. Toc H.: dal 14 ottobre 1966 al 1 novembre 1969. (39)

Take Up Thy Stethoscope and Walk: dal 14 ottobre 1966 al 25 novembre 1967. (4)

Interstellar Overdrive: dall’8 maggio 1966 all’8 novembre 1971. (128)

The Gnome: dal 14 ottobre 1966 al 10 novembre 1967. (5)

Chapter 24: dal 28 marzo 1967 al 10 novembre 1967. (4)

The Scarecrow: dal 12 maggio 1967 al 19 febbraio 1968. (7)

Bike: dal 28 marzo 1967 al 18 febbraio 1968. Ripresa dai Floyd nel 2007 nella già citata serata tributo The Madcap’s Last Laugh. Quella fu tra l’altro l’ultima esibizione pubblica di Wright, morto nel 2008. (3+1)

Apples and Oranges: dal 25 settembre 1967 al 19 febbraio 1968. (6)

Paint Box: dal 18 al 21 febbraio 1968. (3)

 

La versione di Arnold Layne con David Bowie

 

Di fatto quindi solo i due brani space ebbero vita mediamente lunga nella carriera dei Pink Floyd, e la sola Astronomy Domine ha superato le colonne d’Ercole del periodo Dark Side of the Moon (seppur solo negli anni post-Waters). Il resto era troppo intrinsecamente barrettiano per poter essere eseguito senza la sua sensibilità. D’altra parte, di tutto il repertorio 60s solo Careful With That Axe, Eugene fu suonata quasi fino alla fine (l’ultima esecuzione risale al 1977).

 

Aneddoti su The Piper at the Gates of Dawn, anarchico cinquantenne (parte III)

12) Impressionante a dirsi, See Emily Play è il secondo singolo di più grande successo nelle classifiche britanniche della storia dei Pink Floyd. Se infatti a partire da Atom Heart Mother (e Dark Side of The Moon negli Stati Uniti) gli album del gruppo sono stati un successo epocale dietro l’altro, nessun singolo fu pubblicato nel Regno Unito dal 1968 al 1979. Fu Another Brick in the Wall ad abbattere questo… muro, raggiungendo il n.1 sia nelle classifiche UK che in quelle US. See Emily Play viene subito dopo, con il suo n.6 britannico (negli States non andò oltre la 134a posizione).

 

13) I due pezzi terminali di Barrett coi Pink Floyd, Vegetable Man e Scream Thy Last Scream, all’epoca rifiutati dalla EMI perché troppo poco commerciali e rimasti nell’oblio dei bootleg per decenni (nel 1988 i Floyd posero addirittura il veto per il loro inserimento della compilation barrettiana Opel), hanno lo scorso anno finalmente visto la luce dell’ufficialità, inseriti nel mega-cofanetto The Earyl Years: 1965-1972.

 

 

14) Sebbene l’appena citato box abbia inserito chicche per veri fan, come le sessions del gruppo quando ancora portavano il nome di The Tea Set e schieravano Bob Klose, la strumentale In The Beechwoods, Reaction in G o la lunghissima improvvisazione John Latham, non tutto è stato riesumato. Se (She Was A) Millionaire e Snowing si trovano in alcuni bootleg live (la prima doveva addirittura uscire come singolo), strumentali come Pink Theme, Flapdoodle Dealing, Experiment e Intremental rimangono inediti, forse perduti. C’è poi Have You Got It Yet?, il brano che fece definitivamente capire a Waters che il rapporto artistico con Barrett era irrimediabilmente compromesso (non fu mai registrato perché Barrett continuava a cambiare melodia e struttura durante la stessa esecuzione, rendendo impossibile l’accompagnamento), o Rooftop in a Thunderstorm Row Missing the Point, testo mai musicato. Infine l’enigma Stanley the Simpleton, brano emerso dal nulla in semplice mp3 come presunto brano di Barrett del periodo Floyd; attribuzione credibile, se non fosse che niente è emerso dagli archivi degli studi di registrazione utilizzati da Syd. Gioiello miracolosamente recuperato o fake creato ad arte?

 

Dissolvenze (parte III)

Siamo nel 2006. Syd Barrett sta morendo. Ma fino all’ultimo la sua esigenza di esprimersi imprimendo colori su una superficie bianca non viene a meno. In uno dei suoi ultimissimi pastelli è molto difficile porre il limite di demarcazione tra figurativo e astratto, dire cosa vediamo. Se vediamo qualcosa! Forse due gambe e una gonna. Una ragazza che balla, una ragazza che gioca. Chissà, forse è Emily. O magari Arnold che l’ha fatto ancora! Ha rubato il vestito più bello che c’era e ora se lo gode in camera, davanti allo specchio. Forse Emily e Arnold sono semplicemente tornati a casa. Forse Roger Barrett sta morendo, ma Syd no. Come può un’eredità morire? Basta schiacciare play e Syd vivrà finché si potrà schiacciare play. Finché si potrà giocare.

 

Syd, Emily, Arnold, Grimble Gromble e gli altri sono nell’altra stanza, ecco tutto. Quella stanza “piena di canzoni/alcune in rima/alcune tintinnanti/la maggior parte simili a orologi

 

Andiamo nell’altra stanza e facciamole funzionare”.

 

The Piper at the Gates of Dawn 5

Uno degli ultimi pastelli di Syd Barrett

 

Nota – tutte le immagini incluse nell’articolo sono state prese dal sito www.sydbarrett.com, i cui contenuti sono approvati dalla famiglia Barrett. Non vi è stato alcun tentativo quindi di alimentare il deteriore mito Syd attraverso l’uso di scatti e/o aneddoti aggressivi nei confronti della privacy e della dignità dei componenti della famiglia Barrett.

La natura frammentaria, incompleta e non accademica dell’articolo è un omaggio all’arte e la musica dell’autore di un album che, a distanza di 50 anni, rimane uno dei fari del rock delle origini.

 

*****

Se ti è piaciuto questo articolo leggi anche: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band vs SMiLE – La nascita e la morte di due capolavori.