Il romanzo di Emma Cline ci parla dell'essere ragazze, ma prima di tutto dell'essere persone.

Certi romanzi sono un pugno allo stomaco. Non solo per ciò che raccontano, ma soprattutto per il modo in cui lo rendono terribilmente realeLe ragazze è una storia scritta da Emma Cline, che a soli 24 anni ha dato vita ad un’opera di grande impatto letterario e sociale: si è ispirata liberamente a uno dei casi più tremendi di atrocità e violenza che hanno segnato la storia degli Stati Uniti negli anni Sessanta, ovvero la strage di casa Polanski ad opera della setta di Charles Manson.

In realtà, nel romanzo, questo evento è soltanto un rumore che fa eco a una storia di crescita personale e di ricerca di se stessi, ovvero la storia di Evie.

 

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Nel romanzo di Emma Cline la strage di casa Polanski è un rumore di sottofondo

 

Siamo in California, nell’estate del 1969. Evie è una ragazzina di quattordici anni che sta vivendo un momento di cambiamento. È un po’ solitaria e molto insicura: i suoi genitori si sono separati, inizia a ricevere le prime delusioni con le amicizie di sempre, non riesce a trovare un “suo posto” nel mondo circostante. In una calda giornata di quell’estate, Evie incontra al parco un gruppo di ragazze. Vanno in giro a piedi scalzi, sono trasandate, ma hanno un fascino che la colpisce. Si accorge subito di una di loro, Suzanne, bella, libera, un gancio che la trascinerà all’interno di un vortice di vita estrema, della quale farà parte – ma sempre con riserva -, più come osservatrice e testimone che come reale membro di quella che sarà definita, appunto, “La famiglia”.

 

Il romanzo indaga all’interno di una situazione di vita estrema, come poteva essere quella vissuta dalla famiglia Manson, sonda le dinamiche che si sviluppano tra la sfera maschile e quella femminile, la nascita dei primi rapporti e confronti tra uomo e donna, l’impatto con il mondo esterno nel momento della crescita, i primi contatti veri con ciò che si trova al di fuori della propria sfera familiare. 

 

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Il romanzo indaga all’interno di una situazione di vita estrema

 

Uno degli aspetti indubbiamente più affascinanti di questo racconto è la forma che assume la narrazione. Colei che narra è Evie, in prima persona, ma non racconta i fatti del presente, bensì di un passato che ancora la tormenta e dal quale non riuscirà mai completamente a liberarsi. La Evie del presente è una donna che ricorda con cautela ma, allo stesso tempo, cerca di non comprimere le sue verità e di farle uscire in modo pacato, controllato. La scrittura, infatti, solo raramente procede in maniera lineare, mentre per lo più si presenta densa di certi esperimenti che tessono con raffinatezza un ricordo intimo, che a volte stenta ad uscire, quasi ermetico, come una malcelata confessione.

 

La California soleggiata e spensierata a cui siamo abituati nelle storie di sempre, diventa un luogo oscuro, decadente, impregnato di disillusione. Il ranch dove vive “la famiglia” sembra a parole un luogo idilliaco, dove non ci sono regole, dove tutti si amano senza remore. L’apparenza e la predispozione ad esporsi sono la tenace corazza dei personaggi, che si scoprono invece fragili, vulnerabili. L’inganno traspare dalla sporcizia, dal cibo malsano, dal logorarsi nelle droghe. Ognuno si appiglia a qualcosa di superficiale per dimostrare a se stesso di essere qualcuno, di avere un obiettivo. Ma tutti sono come barche in preda a una tempesta.

 

“Era una virtù di quella generazione, la capacità di deviare il disagio, di soffocarlo con le cerimonie”

 

Susanne, un personaggio essenziale, non rappresenta soltanto una fascinazione, quanto piuttosto un alter-ego della protagonista. La sua dissolutezza, il suo lasciarsi andare, la sua voglia di dimostrasi libera rappresentano tutti i desideri incompiuti di Evie. Lo strano rapporto di amicizia-amore che si crea tra le due è in realtà un gioco di scoperta, di scambio di ruoli, di esplorazione. Tutto è permesso, fino a perdere il contatto con la realtà e a dipendere dalle manipolazioni mentali e psicologiche di Russel, il guru di questa sorta di setta, un personaggio carismatico ma perverso.

 

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Lo strano rapporto di amicizia-amore che si crea tra le due è in realtà un gioco di scoperta

 

Emma Cline ci racconta tutto questo per parlare in realtà di adolescenza, di adulti, di relazioni, di decisioni e di colpa. Esplora e plasma la psicologia dei personaggi con un’attenzione accurata, senza diventare banale, cogliendo gli aspetti tipici e così diversi della percezione della realtà che caratterizzano i diversi momenti della vita. Infatti Evie adolescente ed Evie adulta sono molto diverse, nonostante rimarranno per sempre macchiate alla stessa maniera da ciò che hanno vissuto.

La scelta grafica della copertina e il titolo del libro sono un altro aspetto peculiare, giacchè nulla fa sospettare il lettoro riguardo quello che leggerà. “Le ragazze” sono ciò che Evie desiderava e odiava essere, in una sorta di altalena incostante, quella della crescita e delle decisioni.

 

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Emma Cline, la giovane autrice del libro

 

Con delicatezza e brutalità questa storia è riuscita a indagare su cosa voglia dire essere ragazze, sull’educazione che esse ricevono, siano esse ricche o meno, non solo negli anni Sessanta in California, ma di riflesso anche oggi. E ciò che più sconvolge è il fatto che racconti senza urlare e senza giudicare, sottovoce, quanto è complicato passare alla vita adulta, quanto ci si aspetta da essa e quanto invece, molto spesso, ci lascia soltanto disillusi.

Il mistero del diventare adulti e del confronto con gli altri, questo dualismo così evidente a partire dal titolo del romanzo, si ritrova nella domanda che spesso Evie si pone:

 

“Ma c’era davvero così tanta differenza tra me e Suzanne?”

 

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