La serie tratta dal romanzo di Roberto Saviano ha molto in comune con le più famose tragedie di Shakespeare, sarà così anche per le prossime stagioni?

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Io non sono Jim Carrey, Gomorra non è il numero 23, Shakespeare non è Gengis Kahn ma quasi

Problema numero uno di questo articolo: convincere il lettore che non sto vaneggiando come un matto che vede Shakespeare ovunque e cerca di dimostrarlo a più persone possibile non accorgendosi di apparire come un cane pazzo talmente preso ad abbaiare al vento da non accorgersi di una cosa che ormai non è semplicemente ovvia ma è proprio ecosistema, viaggia col vento a cui il cane abbaia: e cioè che, a volerlo cercare, Shakespeare è ovunque. Come un cane pazzo, ma spero non come me, faceva il personaggio interpretato da Jim Carrey, nel film di Joel Schumacher Number 23, andato fuori di testa perché vedeva continuamente combinazioni numeriche che lo conducevano sempre e solo al numero 23.

 

Oggi giorno qualsiasi storia che presenti uno 0,001 % di trama differente dal suo protocollo standard di storytelling (digrigno di denti…) viene definita shakespeariana, che è vero nella stessa misura in cui è falso. È falso perché il termine viene spesso usato a sproposito da chiacchieroni che, più che recensire un’opera cercano di recensire sé stessi, che è un po’ come quando non si sa cosa dire di un film e si scrive: “Il vero protagonista di questo film è la città…”. Seh, vabbè. Shakespeariano è un termine che presenta anche il vantaggio di essere abbastanza lungo e aiuta il recensore a raggiungere prima possibile il numero di caratteri minimo per l’articolo commissionatogli.

 

Ma è anche vero, perché tutti noi siamo fatti di Shakespeare, anche chi non ne ha mai letto o ascoltato nemmeno una parola, ma ne usa, magari inconsapevolmente, qualcuna del migliaio inventate dal Bardo. In uno di quei documentari trasmessi da Rai3 che ti rendono felice di non essere uscito la sera, dicevano che Gengis Khan quando morì nel 1227 aveva esteso il suo potere su un’area che comprendeva le attuali Asia Centrale, Iran, Pakistan, Corea e Russia per un territorio quattro volte più esteso di quello conquistato da Carlo Magno. Davvero impressionante per vastità ma non per ciò che è davvero importante: tutt’ora una nazione di quelle proporzioni non produrrebbe una nazionale di calcio degna di nota. Quello che è degno di nota è che Gengis Khan nel corso della sua vita abbia avuto rapporti sessuali con talmente tante donne che proprio nell’area sopradetta e paesi limitrofi l’8% dei maschi conserva una parte del patrimonio genetico del Khan. Ecco perché lo associo a Shakespeare, ma per difetto. Senza stupri e violenze siamo tutti figli dell’autore più fecondo della storia del teatro moderno.

 

Gomorra 1

Siamo tutti figli di Shakespeare

 

Non mi dilungherò in una sterminata serie di note, curiosità, link, citazioni da ogni campo d’applicazione umana che testimoniano la sua influenza, tutte nozioni che anche se oramai sono conosciute e riconosciute, fanno sempre rimanere a bocca aperta. Mi limiterò a pochi esempi di strettissima attualità senza attingere a saggi, trattati, o biblioteche dalle sale a umidità controllata, ma solo alla mia amatoriale e parziale esperienza limitata nel tempo e nello spazio che però può essere ancora più efficace per fare comprendere quanto capillare sia la sua diffusione. Anche se forse basterebbe dire che l’edizione 2017 di Sanremo è stata vinta da una canzone diventata poi un tormentone radiofonico che ci ha accompagnato fino alle porte dell’estate e che inizia così: Essere o dovere essere, il dubbio amletico… e stiamo parlando del Festival più popolare in Italia e molto seguito anche in tutte le altre nazioni latine.

 

In una delle serie TV rivelazione di questa stagione, Taboo (in Italia andata in onda su Sky Atlantic), una dei protagonisti recita a teatro, indovinate cosa? Appunto. Ancora: al Ted X di Adelburgh il rapper Akala ha condotto la sua talk recitando pezzi hip hop moderni e ‘pezzi’ di Shakespeare, chiedendo di volta in volta al pubblico di attribuirli ai loro autori ed è sorprendente notare come il pubblico riconosca nell’autore vissuto dal 1564 e il 1616 un gran valore come rapper di grido!

Lasciamo l’Inghilterra e torniamo in Italia che, a livello shakespeariano, equivale a uscire di casa per andare in giardino. Nel numero 290 de la Lettura di domenica 18 Giugno è possibile leggere una bella intervista di Annachiara Sacchi a Romeo Castellucci, il regista italiano classe 1960 tra i più sperimentali e apprezzati all’estero. Nonostante Castellucci eccella nel suo teatro che però non è assolutamente fatto rivisitazione di classici in senso stretto, la giornalista ha speso una delle sue domande per chiedergli: È vero, come dice il regista Thomas Ostermeier, che viviamo una nuova epoca elisabettiana? Ci vorrebbe un altro Shakespeare?

 

Gomorra 2

Romeo Castellucci, regista italiano tra i più sperimentali e apprezzati all’estero

 

Ancora: il comune di Bari in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese ha organizzato nella stagione 2016/2017 il Mese Shakespeariano, sedici spettacoli, un buon numero di repliche per ognuno e un grandissimo successo. A Napoli (città il cui Re e Principe Shakespeare inserisce ne La Tempesta), il Napoli Teatro Festival Italia nel Giugno 2017 – e lo rifaranno in autunno – ha dedicato più appuntamenti a Shakespeare trasformando il meraviglioso Teatro Bellini in un teatro elisabettiano con il palco fino a centro platea. E proprio in questa occasione, nella giornata dedicata alla visione del Giulio Cesare e de La commedia degli errori mi è capitato di poter vedere quattro attori di Gomorra La Serie: Lino Musella – Rosario o’nano  e Giovanni Buselli – Cap e’ bomb tra il pubblico e Vincenzo Nemolato – Angelo Sepino e Christian Giroso – ‘o Cardillo sul palcoscenico. Ed eccoci qui, chest’ è.

 

1’ Stagione: Don Pietro e la tragedia di Scozia

La prima stagione di Gomorra inizia con Ciro e Attilio al fedele servizio (Attilio è fedelissimo, Ciro un po’ meno) dell’indiscusso capo Don Pietro. Da una di queste missioni di guerra contro il ribelle Salvatore Conte, Attilio non torna vivo e Don Pietro attribuisce a Ciro la bravura di aver scacciato Conte dal loro territorio anche senza essere riusciti a ucciderlo (“Vabbuon pur’accussì”), gli riconosce dei gradi superiori a quelli di soldato semplice, ai suoi occhi ormai è un generale nonostante la giovane età, e gli dice che nel suo regno c’è spazio anche per lui (“Sta na còs d sold pur p te”). Ciro si crea così la fama di uomo di guerra di assoluta affidabilità, uno che porta a casa il risultato. 

Non vi ricorda niente? Non inizia così forse anche Macbeth? Veloce riepilogo alla Guy Ritchie: Macbeth e Banquo, fedeli all’indiscusso Re Duncan (Banquo è fedelissimo, Macbeth un po’ meno) tornano dalla battaglia in cui hanno scacciato il ribelle Macdonwald anche senza essere riusciti a ucciderlo. Macbeth riceve l’approvazione del Re e la gratificazione di essere elevato in grado: viene nominato Barone di Cawdor.

 

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Ciro Di Marzio, interpretato da Marco D’Amore

 

Ma il riconoscimento concessogli dal loro sovrano non basta né a Ciro né a Macbeth. Entrambi bramano il posto di comando assoluto e tramano affinché tutto volga a loro favore. Nel corso di entrambe le storie i punti di contatto sono molteplici. Macbeth chiede alla streghe di aiutarlo predicendogli il futuro e loro gli permettono di venire in contatto con la visione di un bambino insanguinato che gli riferisce “Nessun nato di donna farà del male a Macbeth”, annuncio che farà sentire Macbeth immortale. Immortale è proprio il soprannome di Ciro che durante un matrimonio in cui è presente tutto il clan, versione moderna di un banchetto di corte, confessa al suo amico fidato una cosa che gli dicevano le suore quando da piccolo era in orfanotrofio. Abbiamo le streghe che parlano con Macbeth e le suore, ciò che più di vicino possiamo avere nel modo iperrealista di Gomorra, che hanno parlato con Ciro. La condanna, sia per Macbeth che per Ciro, viene da loro stessi e dalla loro cieca ambizione.

 

Le compagne dei protagonisti: Lady Macbeth e Deborah, sono entrambe inizialmente al fianco dei loro uomini ed entrambe moriranno. Al di là delle diverse dinamiche con cui accade, sono ambedue vittime della folle corsa al potere dei loro uomini.

Quando la situazione si mette male per l’ordine stabilito da Re Duncan e Don Pietro Savastano, nel primo caso con la dilagante tirannia di Macbeth nel secondo con l’arresto dello stesso boss che  finisce in regime di carcere duro; i figli Donalbain e Malcom scappano via con l’intento di tornare quando la situazione si rivelerà più favorevole e così fa Genny Savastano, mandato dalla madre in Honduras per fare esperienza ma soprattutto per non soccombere in un momento sfavorevole per la loro dinastia. Malcom e Genny torneranno nelle loro terre pronti, cresciuti, motivati e forti di nuove alleanze per riprendersi tutto quello che era loro.

 

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Michael Fassbender nel film Macbeth

 

Durante lo svolgersi delle cose, sia Ciro che Macbeth perseguono il loro desiderio di potere, come se ormai fosse troppo tardi per tornare indietro, lasciando dietro di loro una lunga scia di sangue, morti e fantasmi a perseguitarli.

L’analisi di questa parte si chiude ricordando che nell’ultimo episodio della serie, la resa dei conti finale tra Genny e Ciro, all’apice della tensione di tutta la storia si svolge proprio in un teatro, all’interno del quale Ciro ha attirato Genny con il pretesto della recita di sua figlia. Ed è quindi proprio in un teatro che si conclude l’atto finale della prima stagione di Gomorra, se escludiamo l’ultima scena della liberazione di Don Pietro che aveva una funzione preparatoria alla seconda stagione.

 

2’ Stagione: Salvatore Conte e Giulio Cesare, un delitto politico

Siamo all’inizio della seconda stagione di Gomorra. Salvatore Conte ha approfittato del vuoto di potere creatosi a Napoli e della confusione scatenata da Ciro che ha fatto uccidere un suo uomo di fiducia riuscendo a far addossare la colpa al clan Savastano (colpe che ricadono su altri: puro Shakespeare 100%), e riesce a insediarsi, riunendo attorno a lui tutti i senatori rappresentanti dei vari quartieri della periferia di Napoli e delle relative piazze di spaccio. Salvatore Conte li convince a confederarsi, a creare gli ‘Stati Uniti’ di Scampia-Secondigliano, in cui si è tutti alla pari, in contrapposizione al recente passato in cui comandava solo uno, Don Pietro, e tutti loro dovevano sottostare o, per meglio dire, s’avevàn sta’.

 

Salvatore Conte invece offre riscatto, libertà, liberazione (cit. Cassio, atto II, scena I), viene accettata con favore la sua proposta di stabilire una vera e propria democrazia, in cui ognuno possa fare affari e gestire la propria zona in libertà. Lui, Salvatore Conte, avrebbe fatto da collante e da garante. Ben presto la situazione si sbilancia e, anche se non ufficialmente, Conte prende il sopravvento, si comincia a dubitare uno dell’altro e tutti insieme accusano Conte di non essere riuniti intorno a lui ma sotto di lui. Di essere il loro Giulio Cesare. Ed ecco per Conte arriva lo stesso destino riservato a Giulio Cesare: quando si sentiva ormai invincibile viene tradito dai suoi uomini fidati e accoltellato. 23 coltellate per Cesare, una soltanto, alla gola, per Salvatore Conte, inflittagli da ‘o Mulatt (che sarebbe la napoletanizzazione di Il moro, ma andiamo oltre…) che ha ordito questa congiura con l’atro fedelissimo di Conte soprannominato ‘o Principe, che ha fatto il doppio gioco con Conte e il triplo gioco con Genny Savastano e tutta l’alleanza, in realtà badando solo a ciò che più conviene a lui, ai suoi interessi, proprio come ne Il Principe di Machiavelli (anche questo un testo che fin dalla sua uscita nel 1532 ha fortemente influenzato i suoi lettori, Shakespeare compreso. Compresissimo).

 

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Marlon Brando nei panni di Marco Antonio nel film Giulio Cesare (1953)

 

Dettaglio finale: a ogni criminale, ogni boss, ogni esponente di spicco a capo di un’organizzazione mafiosa è sempre piaciuto definirsi proprio nello stesso modo in cui Marc’Antonio descrive Bruto: un uomo d’onore.

Postilla: nel corso di ambedue le stagioni della serie tv, spesso si è sentita recitare un’espressione con cui un personaggio assicurava fedeltà o affidabilità ad un suo pari o un suo superiore, declinata ogni volta più o meno similmente in – Ij sto cu te. che si può facilmente sovrapporre alla battuta – Sono al vostro servizio in questa storia. come dice Edmund al suo fratellastro Edgar nel corso del primo atto di Re Lear e, proprio come in questo caso, anche in Gomorra, una frase del genere viene detta allo scopo di camuffare un tradimento verso un fratellastro, Nu fràt/Ij t so’ fràt.

 

E le anticipazioni?

Le similitudini tra la serie televisiva Gomorra e le opere di Shakespeare non sono solamente quelle che vi ho illustrato, sicuramente altre me ne sono sfuggite a causa della scarsezza della mia preparazione al cospetto della profonda vastità dell’opera dell’autore teatrale più rappresentato della storia. Un interrogativo che mi ha mosso a queste riflessioni è il seguente: gli autori di Gomorra si sono ispirati consapevolmente a Shakespeare o ne hanno adottato gli archetipi narrativi più o meno inconsciamente per il semplice fatto che, come il DNA di Gengis Khan per gli asiatici, anche i narratori occidentali hanno le storie del bardo di Stratford Upon Avon nel loro DNA? Subito dopo questa domanda ne sorge un’altra: le prossime stagioni di Gomorra ricalcheranno le vicende di Enrico IV, V, o VI? Di Coriolano? Di Riccardo II o III? Non lo sapremo fin quando non potremo vedere e rivedere i nuovi episodi, intanto possiamo provare a indovinare.

 

Animali camorristici e dove trovarli

In tutte e due le stagioni di Gomorra una parte della narrazione è stata effettuata con l’utilizzo di animali che hanno permesso di “raccontare senza dire”, in Shakespeare stesso le metafore e le figure zoomorfe sono mezzi della narrazione che “[…] rivivono – in forme talvolta debitrici della tradizione sia popolare che colta, talvolta affatto nuove – nel corpus drammatico di Shakespeare: migliaia di allusioni al regno animale che, ponendosi di volta in volta come fulcro semantico di molteplici figure sintagmatiche o paradigmatiche, sono tra gli strumenti espressivi e cognitivi più fecondi di cui Shakespeare si serve per osservare e rappresentare l’uomo in tutto ciò che lo definisce nel bene e nel male”, come riporta uno dei numerosi studi sul tema.

 

Considerato l’ambito di realtà in cui si svolgono le vicende di Gomorra, non ci si troverà al cospetto di figure animalesche antropomorfizzate e/o fatate ma di animali in carne ed ossa che sono stati resi portatori di significati metaforici portanti degli episodi di cui sono protagonisti.

 

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Anche gli animali sono protagonisti in Gomorra

 

Nella prima stagione Donna Imma spedisce il figlio Genny in Honduras per svolgere un compito molto difficile dal quale nessuno sa se tornerà e lo fa perché necessario al compimento della maturazione criminale di suo figlio. Donna Imma si trova sola a capo del clan, il figlio lontano e il marito al 41Bis, e sublima la mancanza di una forte figura maschile al suo fianco prendendosi cura e portando sempre con sé un grosso cane nero. Nero, elegante, di classe, ma grosso, vistoso e potenzialmente aggressivo. Uno status symbol, come un Suv. La prima cosa che fa Genny quando torna trasformato dall’esperienza in Honduras è uccidere il cane, che però fa in tempo a morderlo. “Questo posto è mio, levati di mezzo” è il significato del gesto di Genny che dovrà continuamente riaffermare lo stesso concetto con amici e nemici.

 

Nella seconda stagione l’animale utilizzato è una pantera, di nuovo un animale total black e potenzialmente pericoloso da sfoggiare, anche in questo caso uno status. O’ Princip regala l’animale esotico alla fidanzata, anche lei “una pantera” nel senso felino e sensuale del termine, anche lei di colore, anche lei simbolo di esclusività da sfoggiare in giro per la periferia napoletana dal Principe che è ucciso proprio mentre viene portato, con il tradimento, a dar da mangiare alla pantera. O’ Princip, con il suo doppio e triplo gioco, ha peccato di eccessiva confidenza credendo di riuscire a tenere a bada da solo troppe bestie fameliche, errore fatale.

Nella terza stagione ci potrebbe essere quindi un terzo animale come parte della narrazione. Potrebbero esserci altri animali esotici, usati spesso anche nella realtà dai boss per sfoggiare ricchezza e potere. Pappagalli o pesci grandi e coloratissimi provenienti da mondi lontani contenuti in gabbie o acquari sontuosi oppure, per rimanere in un ambito che ricordi sempre pericolosità e killer instinct, rettili e serpenti, questi ultimi portatori di metafore come il veleno, lo strisciare o stritolare la preda.

 

Gomorra 7

O’ Princip

 

Io personalmente punto sui cavalli. E dopo aver puntato rilancio pure: cavalli alla guida del carro funebre di Don Pietro Savastano, che viene ucciso proprio sul finale della seconda stagione. Gli autori e registi di Gomorra non hanno mai dimenticato la loro funzione di denuncia e divulgazione, all’interno della primaria funzione d’intrattenimento di ogni serie tv, e in ogni stagione viene raccontato nel dettaglio e chiaramente qualche aspetto delle attività criminali come il meccanismo della “scheda ballerina” con cui si pilotano le elezioni, oppure come funzionano le piazze di spaccio, le raffinerie della droga eccetera. Dei tanti morti di Gomorra gli unici due di cui sono stati raccontati (più che altro accennati) in immagini i funerali sono stati quelli di Danielino, un funerale che però racconta, nonostante il ragazzo fosse interno al Sistema, più di una vittima di questo mondo; e poi ci sono i funerali strettamente riservati di Donna Imma. Ma la morte di Don Pietro offre la possibilità di raccontare in modo molto preciso il mondo particolare e caratteristico dei funerali di un Boss della camorra, dove fastosità e sfarzo sono sistema di misurazione del potere criminale ed economico del clan. E quindi la carrozza, e quindi i cavalli.

 

Cavalli che potrebbero essere anche quelli di un maneggio dove i figli dei ricchi vanno a fare equitazione, dove i figli della Napoli bene incontrano e fanno amicizia con i figli della Napoli male, due facce di quella stessa moneta che può pagare le rette per il maestro d’equitazione.

 

Personaggi, protagonisti comparse

Una delle maggiori difficoltà di chi scrive una serie come Gomorra è che ogni stagione “lascia a terra” un sacco di personaggi. Quindi bisogna inventarne di nuovi, che siano credibili e che facciano appassionare gli spettatori all’interno di una storia che li riesca a incastrare senza far capire da subito chi è destinato a soccombere e chi se la caverà. Le anticipazioni ufficiali dicono che una buona parte di nuovi volti della serie arriveranno dal centro di Napoli, punto di contatto tra i criminali che già conosciamo e i colletti bianchi. Ma, personalmente, non escluderei qualche ritorno, qualche scarcerazione, qualche nuovo affiliato.

 

 

E chiudo questo articolo con un’ultima domanda, forse azzardata: termine della prima stagione, Genny si reca alla recita della figlia di Ciro portando con sé un bambino delle Vele. Il bambino è sveglio e subisce molto il fascino del giovane boss, da grande vorrebbe diventare come lui. Genny nel tragitto in auto dice al bambino: “Non ti fidare di nessuno, nemmeno di me”. Che fine ha fatto quel bambino? Sarà arrivato in età di affiliazione?

 

E “Chest è”. Questo è. Un gioco di illazioni, supposizioni, e come tutte le illazioni e supposizioni alcune sono vere e altre false, e quelle che si verificano e quelle che vengono smentite lo sono spesso per casualità. Voi divertitevi a fare le vostre e non vi fidate di nessuno, soprattutto di me.

 

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