Il pericolo dell’olocausto nucleare sembra sempre più vicino, ma quante volte nella Storia siamo stati a un passo dall’Apocalisse e ci siamo salvati?

«Non so con quale arma si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà con la clava»

 

disse Albert Einstein, il cui lavoro aveva inizialmente ispirato lo sviluppo delle bombe nucleari durante la Seconda Guerra Mondiale, e che lottò strenuamente contro il loro proliferare negli anni ’50.

 

Il grande fisico, oramai anziano a Princeton, redasse assieme a molti altri scienziati un manifesto contro l’atomica, nel timore che una della Potenze, in futuro, finisse per usarla. Negli ultimi trent’anni, dalla caduta del Muro di Berlino, questa ipotesi ci è apparsa sempre più remota, e lo spettro di un olocausto atomico è divenuto via via più evanescente come il ricordo della Guerra Fredda. La politica della ‘mutua distruzione assicurata’, che aveva protetto l’umanità durante quel conflitto spingendo le due Superpotenze a evitare l’uso delle armi nucleari è però venuta a mancare con la scomparsa della Cortina di Ferro, e il mondo di oggi, diventato un mosaico interminabile di crisi interconnesse, potrebbe inavvertitamente precipitare in un conflitto atomico.

 

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Il lavoro di Albert Einstein aveva inizialmente ispirato lo sviluppo delle bombe nucleari

 

 

Kim Jong-un, dittatore della Corea del Nord, ne ha dato una dimostrazione lampante, ora che, con le sue esercitazioni missilistiche e il suo programma nucleare, ha riacceso il cerino di fronte alla spenta pira atomica su cui sediamo da mezzo secolo. Se le azioni del capo di stato coreano hanno scoperchiato, come spesso accade con i dittatori di stati antidemocratici in difficoltà, il vaso di Pandora della fine del mondo civilizzato, hanno anche avuto il pregio di riportare l’attenzione su quel vasto arsenale mondiale capace di estinguere la vita sulla Terra nel giro di pochi giorni.

 

Gli arsenali

«L’esistenza di migliaia di armi nucleari è la più pericolosa eredità della Guerra Fredda»

 

disse Obama nel 2009, un’eredità che, in fatto di numeri, farebbe invidia a quella dei figli di Paul Getty o Rockefeller.

 

Attualmente le nazioni che posseggono o potrebbero possedere armi di distruzione planetaria sono undici, divise in tre grandi gruppi. Il primo, e più importante, è composto dai cinque firmatari dell’NPT (Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari) che sono, almeno negli intenti,impegnati a dismettere questi arsenali. Le tre potenze minori di Cina (270 bombe), Francia (300), Regno Unito (215) e le due superpotenze nucleari di USA e Russia.

 

Secondo il New START Treaty Aggregate Numbers of Strategic Offensive Arms gli Stati Uniti disporrebbero di 1.411 testate da usare su 673 tra ICBM, SLBM e Bombardieri Pesanti, contro le 1.765 testate su 523 ICBM, SLBM e Bombardieri della Russia, oltre a circa 4.000 bombe di riserva e poco meno di 3.000 dismesse per entrambe.

Dal 1967 l’Italia conserverebbe, nelle basi di Aviano e Ghedi, 70 ordigni statunitensi (sarebbe quindi la nazione europea con il più alto numero di bombe americane), ma i dettagli del loro stoccaggio sono a oggi coperti da segreto militare.

 

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Gli arsenali nucleari nel mondo

 

Il secondo gruppo è composto invece da nazioni che detengono arsenali nucleari di entità inferiore e che non aderiscono all’NPT: l’India con 130 testate, il Pakistan con 140, Israele con 80 e la Corea del Nord con 10. Il terzo e ultimo gruppo rappresenta un’incognita, è costituito da nazioni definite ‘rischio nucleare’ (States of Immediate Proliferation Concern) ma di cui non si conoscono gli armamenti: l’Iran, che però ha sottoscritto da poco un trattato con gli USA per lo sviluppo nucleare senza armi, e la Siria, di cui non è chiara la collaborazione col programma atomico di Pyongyang. Fuori ormai dall’elenco Argentina, Bielorussia, Corea del Sud, Iraq, Kazakhistan, Libia, Sud Africa, Taiwan e Ucraina che hanno abbandonato i propri piani di armamento.

 

Nonostante il trattato di non proliferazione delle armi nucleari, la spesa che le potenze mondiali investono nel loro aggiornamento e nella loro manutenzione ha raggiunto cifre astronomiche: negli otto anni tra il 2010 e il 2018 gli USA hanno investito circa 179 miliardi di dollari nella manutenzione e nello sviluppo dell’arsenale nucleare, ed entro la metà del secolo raggiungeranno i 25-30 miliardi l’anno. A livello globale si registra comunque una diminuzione del numero di testate dalle 65.000 attive nel 1985 alle 17.300 di oggi. Il rischio però che una sola di queste sia usata o col trascorrere del tempo finisca per deteriorarsi ed esplodere non sembra essere diminuito, anzi secondo la legge dei grandi numeri aumenta ogni anno.

 

La guerra

«Io sono diventato morte, distruttore di mondi»

 

disse Oppenheimer, senza esagerare, citando il Bhagavadjita, dopo aver visto la prima esplosione della bomba nucleare da lui realizzata. La catastrofe che si abbatterebbe sull’umanità con l’utilizzo delle armi atomiche, nemesi finale della nostra avventura su questo pianeta, avrebbe conseguenze letali e irreversibili che possiamo riassumere in tre scenari: evento singolo, piccola e grande guerra.

 

Evento singolo (lo sgancio di una sola bomba atomica su un abitato umano). In questo caso, se la potenza dell’ordigno fosse di 20 megatoni, al momento della detonazione la temperatura nel raggio di 3,2 km raggiungerebbe gli 11 milioni di gradi C° in un millisecondo, l’onda d’urto cancellerebbe praticamente tutto in un diametro di 12 km, comprese le strutture sotterranee, fonderebbe automobili fino a 10 km di distanza, scatenerebbe un vento da 300 kmh in un’area grande 30 km, lasciando in piedi solo i lugubri scheletri di acciaio degli edifici più moderni, e darebbe inizio a un incendio ampio 100 km. Questo evento singolo, per quanto terribile e con ricadute decennali sulla popolazione dell’intera area, non avrebbe ripercussioni a livello globale.

 

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Un cartello che annuncia la presenza di un rifugio nucleare

 

Piccola Guerra Atomica (come quella che coinvolgerebbe Pakistan e India, col lancio di 50 bombe atomiche per parte). Al contrario le conseguenze di una guerra nucleare, piccola o grande che sia, investirebbero tutto il mondo. Nello scenario in cui due potenze minori si affrontino in una mutua distruzione localizzata, il conflitto sterminerebbe buona parte della popolazione delle rispettive nazioni, causerebbe una carestia mondiale portando alla morte circa due miliardi di esseri umani e innalzerebbe i livelli di radiazione nell’atmosfera ammalando e avvelenando i sopravvissuti. Seppure la PGA possa estinguere la civiltà umana, non è considerata lo scenario peggiore.

 

Grande Guerra Atomica (un’ipotetica guerra tra USA e Russia con l’utilizzo anche solo di qualche centinaio di bombe). In questo caso, circa 200 milioni di persone morirebbero nelle esplosioni del primo giorno, e altrettante nella successiva settimana a causa del fallout radioattivo, dell’assenza di cure, della fame e delle epidemie. La nube sollevatasi dalle rovine della guerra innescherebbe un inverno nucleare con una diminuzione delle temperature di 8 o più gradi e livelli di radioattività alti anche in aree remote del pianeta, devastando l’agricoltura e tutte le risorse umane, di fatto cancellando la civiltà come la conosciamo da 5000 anni. La ridotta luce solare estinguerebbe una vasta percentuale di piante, le tempeste di fuoco eliminerebbero il 16% dell’ozono portando un aumento dei raggi UVA e circa un decimo della fauna marina e fluviale morirebbe in poco tempo. Se un’esigua percentuale della popolazione umana riuscisse a superare il primo anno, abiterebbe in un inferno di fuoco, malattia e fame senza alcuna speranza di sopravvivenza.

 

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Nel caso di un grande guerra atomica nessuno riuscirebbe a salvarsi

 

Quando descriviamo questi scenarici sembrano solo un impossibile racconto di fantascienza postapocalittica, perché ci dimentichiamo che i nostri arsenali nucleari potrebbero realizzarli non una ma mille volte, e ignoriamo quanto,in passato, l’Armageddon sia stato vicino a compiersi. Se la civiltà umana esiste ancora è solo un caso che il destino potrebbe correggere domani.

 

A un passo dalla fine del mondo

«L’uomo che ha scongiurato una guerra nucleare era un sommergibilista russo. Il suo nome era Vasilij Arkhipov. Sono stata e sempre sarò fiera di mio marito. Lui è l’uomo che ha salvato il mondo»

 

disse Olga Arkhipova anni dopo la crisi di Cuba del 1962. Uno dei motivi per cui riteniamo improbabile un olocausto nucleare è che non sappiamo quante volte siamo andati vicini a scatenarlo negli ultimi cinquant’anni: almeno in tre casi la storia umana ha imboccato la via della catastrofe atomica salvandosi solo all’ultimo grazie al coraggio e alla determinazione di singoli uomini.

 

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Vasilij Arkhipov e la moglie

 

14-28 ottobre 1962, la crisi di Cuba. La cosiddetta crisi dei 13 giorni che coinvolse le due Superpotenze nell’autunno del 1962 aveva radici profonde ed ebbe ripercussioni di lunga durata. In quel periodo il Presidente degli Usa era John Fitzgerald Kennedy, giovane, democratico e di estrazione cattolica, mentre Nikita Chruschev guidava il Politburo. La Russia si trovava, al principio dei ’60, in uno svantaggio tattico rispetto alla potenza nucleare americana: le possibilità dell’URSS di colpire gli USA in caso di guerra erano limitate dallo scarso numero di ICBM (missili intercontinentali) in suo possesso (circa 20 contro i 700 statunitensi), e il suo territorio era minacciato dalla presenza di basi missilistiche americane Jupiter in Italia (a San Vito dei Normanni) e in Turchia. Chruscev decise allora di portare in segreto 140 testate nucleari a Cuba, da poco divenuta comunista, in modo da poter mettere sotto scacco gli USA e, in seguito, annettere senza ripercussioni Berlino Ovest, che dalla crisi del 1961 (erezione del Muro) era divenuta l’obiettivo primario dell’Unione Sovietica in Europa.

 

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Nikita Chruschev e John Fitzgerald Kennedy

 

La manovra però venne scoperta, nonostante le smentite della Russia all’ONU, e scoppiò la crisi peggiore della Guerra Fredda. Gli americani imposero un blocco navale attorno a Cuba e si prepararono al peggio. Seguirono negoziati serratissimi tra Kennedy, McNamara (Segretario della Difesa) e Chruscev, con l’apporto fondamentale del Vaticano e dell’Italia di Amintore Fanfani (attraverso Ettore Bernabei, suo uomo di fiducia), mentre il mondo, venuto a conoscenza del rischio, tratteneva il fiato.

 

Non mancavano sostenitori dell’intervento armato, sia tra gli americani che tra i russi. Il Pentagono aveva già inviato 40.000 uomini in Florida per un’invasione dell’isola, e la C.I.A approntato l’operazione Baia dei Porci, ma il successo di entrambe le iniziative era tutt’altro che sicuro. Inoltre il comandante Thomas S. Powell, dopo l’abbattimento di un U2 su Cuba, aveva messo le sue forze in DEFCON 2 e stava preparandosi all’attacco senza consultare la Casa Bianca.

Nel frattempo, sotto i mercantili russi carichi di bombe che si avvicinavano sempre di più al blocco navale attorno a Cuba, procedeva anche un sommergibile russo armato di testate nucleari, il B59 della Flotta Sovietica del Nord, Reparto Bandiera Rossa.

 

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The Gadget, la prima esplosione atomica

 

Il caccia USS Cony e la portaerei Randolph, avendo rilevato il sommergibile attraverso il sonar, iniziarono a lanciare granate avvolte nella carta per farle esplodere vicino al B59 e costringerlo alla riemersione. Pensando a un attacco con bombe di profondità, il comandante Savitsky diresse la prua sul Cony preparando al lancio una testata nucleare. Si volse verso gli altri due ufficiali che dovevano convalidare l’uso del siluro atomico e dopo l’assenso dello zampolit (il commissario politico) chiese a Vasilij Arkhipov, suo comandante in seconda. Vasilij disse: “No, non lanciamo”. Un voto contro due. Arkhipov era un esperto marinaio, rispettato sia dall’equipaggio che dai suoi superiori, e nei successivi, concitati, minuti, riuscì a convincere il comandante che le bombe lanciate contro di loro erano solo un avvertimento, una richiesta di emersione, non un vero attacco. Il B59 ritirò l’armamento nucleare, riemerse, e la Randolph diede soccorso al suo equipaggio lanciando una cima al sommergibile per passare frutta, acqua e viveri.

 

Mentre Arkhipov salvava il mondo, con un voto e una grande capacità di persuasione, anche la politica faceva la sua parte. Chruscev e Kennedy trovarono un accordo: in cambio dello smantellamento delle basi americane in Italia e Turchia, l’URSS si impegnò a rimuovere i missili da Cuba e a lasciare che Berlino Ovest sopravvivesse. Il pericolo di un’estinzione nucleare dell’umanità era stato scongiurato, ma il prezzo che gli attori di questo dramma bellico pagarono fu alto: Chruscev perse il rispetto dei suoi e con esso, in pochi anni, anche il potere; Kennedy, per una coincidenza o forse in conseguenza delle sue azioni, fu ucciso a Dallas nel 1963; Arkhipov fu arrestato, assieme al suo equipaggio, al ritorno nel porto di Murmansk e cadde in disgrazia.

 

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Fidel Castro con Nikita Chruschev

 

26 settembre 1983, Stanislav Petrov. Al principio degli anni Ottanta la tensione nucleare tra USA e URSS raggiunse il culmine, con oltre 60.000 testate a disposizione delle due Superpotenze. In questa terribile congiunzione, un satellite spia sovietico segnalò il lancio di un missile balistico americano da Malmstrom, in Montana, diretto verso l’URSS. Il tenente colonnello Stanislav Petrov ricevette l’allarme alle 00:14 (ora di Mosca), ma ritenendo poco verosimile che l’America attaccasse la Russia con una sola testata, pensò a un errore del sistema. Pochi minuti dopo l’allarme tornò a scattare altre quattro volte, segnalando in tutto cinque missili nucleari in rotta per l’URSS.

 

Petrov però conosceva bene i difetti del sistema satellitare OKO, quindi violò il protocollo e avvisò i superiori di un semplice malfunzionamento invece che di un possibile attacco americano. Una decisione che si rivelò giusta, perché i satelliti russi avevano confuso consistenti riflessi solari sulle nubi, prodotti dall’equinozio autunnale appena trascorso, con testate nucleari. L’evento però mise in pessima luce la tecnologia sovietica e i capi di Petrov lo redarguirono per non aver seguito la procedura, mandandolo in pensione anticipata. Il tenente colonnello si ritirò nel piccolo villaggio di Frjazno, vicino Mosca, dove è morto il 19 maggio del 2017.

 

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Stanislav Petrov

 

25 gennaio 1995, l’incidente del missile norvegese. La Guerra Fredda era finita da circa quattro anni quando un suo ultimo colpo di coda avrebbe potuto scatenare quel conflitto nucleare scongiurato per quarant’anni. Un gruppo di scienziati norvegesi e americani lanciarono un razzo Black Brant dalla costa nord-occidentale della Norvegia per studiare l’aurora boreale, utilizzando un corridoio aereo che si estende dalle basi dei Minuteman-III del North Dakota a Mosca. Gli scienziati avevano preventivamente avvertito dell’esperimento numerose nazioni tra cui la Russia, dove però, a causa probabilmente di una negligenza, gli operatori radar non erano stati informati.

 

Il missile venne rilevato dalla base di Olengorsk come un Trident (testata nucleare dei sommergibili), scattò l’allarme e il presidente Boris Eltsin attivò sia la valigetta nucleare (Cheget in russo) che le sue chiavi di lancio. Nel giro di soli otto minuti tutte le forze navali, aeree e missilistiche della Federazione furono messe in allerta, e per la prima volta nella storia iniziò il conto alla rovescia atomico. Ma grazie ai pochi minuti d’attesa di Eltsin, i radaristi poterono accertarsi che il missile si stava dirigendo fuori dallo spazio aereo russo (sarebbe atterrato a Spitsbergen, in Norvegia, 24 minuti dopo il lancio) e l’Apocalisse nucleare fu scongiurata un’altra volta.

 

Il futuro della bomba e il destino dell’Uomo

«Nell’arco di questi ultimi due secoli, l’Uomo ha accresciuto la propria potenza materiale a un grado tale da divenire una minaccia per la sopravvivenza della biosfera»

 

scriveva Arnold J. Toynbee nel suo capolavoro Il racconto dell’Uomo, e questa frase è tanto più vera quando si parli dello sviluppo di armi nucleari. Nonostante le nostre precauzioni e la fiducia nel buonsenso dell’umanità (per il quale, però, non è famosa) ci sono almeno tre situazioni che potrebbero portare all’uso della bomba atomica.

 

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A sinistra nella foto Arnold J. Toynbee, autore de Il racconto dell’Uomo

 

La guerra aperta. In queste settimane le forze cinesi e russe stanno manovrando nel Baltico, la Corea del Nord sembra tutt’altro che intenzionata a cessare i suoi lanci missilistici contro gli alleati dell’Occidente, e gli USA sono in mano a un Presidente dal comportamento quantomeno schizotipico da cui è difficile attendersi una gestione diplomatica della crisi. La guerra aperta incombe e basterebbe che, anche solo per errore, una delle testate coreane colpisse il Giappone, la Corea del Sud o le basi americane nel Pacifico, perché l’escalation nucleare diventi inevitabile.

 

L’uso per errore o per controllo esterno. L’11 settembre del 2001, durante l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, erano in corso tre diverse esercitazioni militari vicine agli USA: una di bombardieri russi in volo verso gli Stati Uniti, una di bombardieri americani disposta dallo Stratcom (United States Strategic Command) e un’altra che simulava un attacco di bombardieri russi su suolo statunitense organizzata dal Norad (North American Defence Command). Cosa sarebbe successo se un uomo o una macchina avessero confuso, nella concitazione del momento, l’attacco terroristico di Al Qaeda con un’offensiva nucleare russa?

 

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Il destino del mondo è in mano a persone come Kim Jong-un?

 

In un’epoca come la nostra in cui gli eventi tendono a susseguirsi rapidi e a precipitare velocemente, le probabilità di un errore, umano o tecnico, sono molto alte. A queste si aggiunge la possibilità, ancora remota, che un attacco di hacker arrivi a controllare direttamente i codici missilistici oppure, più facilmente, metta in stallo le capacità dei governi americano e russo di identificare una minaccia, spingendoli a una risposta nucleare immotivata. Inoltre, in un’epoca di terrorismo, quanto è difficile che un gruppo di estremisti prenda il controllo anche di una sola testata tra le migliaia esistenti e la faccia detonare?

 

Un’esplosione accidentale. L’energia nucleare e le armi nucleari sono risorse potentissime ma richiedono un costoso e ininterrotto lavoro di manutenzione. Negli ultimi dieci anni il processo di smantellamento delle testate è proseguito senza interruzione, ma i costi di mantenimento crescono ogni giorno e, prima o poi, gli USA o la Russia si troveranno in una impasse economica nella quale i costi saranno oramai troppo alti per essere sostenuti efficacemente. Un deterioramento delle testate inattive potrebbe risultare contenibile, ma siamo certi che questo valga anche per le migliaia ancora attive?

 

Oppenheimer parlava della bomba atomica come di un peccato originale della fisica, di un evento irreversibile che avrebbe cambiato per sempre la storia dell’umanità. Il futuro della bomba è in effetti inestricabilmente legato al destino dell’Uomo, sia che un giorno venga usata, cancellando la vita dal pianeta, sia che l’evoluzione sociale, culturale e politica porti l’umanità ad abbandonarla inaugurando una nuova epoca di concordia tra le nazioni del mondo.

 

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Il futuro della bomba è inestricabilmente legato al destino dell’Uomo

 

La bomba atomica è il retaggio di un secolo vissuto all’ombra di grandi ideologie contrapposte (nazismo, fascismo, comunismo, capitalismo), che hanno partorito tragedie innominabili e grandi avventure scientifiche, politiche e sociali. Abbiamo a lungo temuto che le ideologie potessero distruggere il mondo, soprattutto dopo le esperienze della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda, eppure quelle stesse filosofie recavano in sé un sistema di sicurezza innato: chi lotta per una ideologia, per quanto fanatico e sanguinario possa essere (e di esempi in questo senso ne abbiamo avuti molti e terribili nel Novecento), non può prescindere dal comunicarla ai posteri, dal lasciarla in eredità ad altri dopo di lui. La sopravvivenza dell’ideologia è legata alla sopravvivenza dell’umanità.

 

Oggi il vuoto ideologico, che ha aperto le frontiere del mondo a una comunicazione per la prima volta globale, potrebbe però lasciare in mano a leader senza scrupoli e a interessi economici privi di coscienza il futuro della bomba e con esso del globo. Il destino dell’Uomo sembra oggi appeso a un filo sottile che non può più reggersi sul coraggio di un Arkhipov e di un Petrov, posti dal caso o dalla provvidenza al posto giusto nel momento giusto. Perché l’umanità abbia un futuro dovrà abbandonare la bomba, o sarà la bomba, alla fine, a estinguere l’Uomo.

 

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