Dopo un anno di lunghi addii arriva un 2017 di grandi ritorni, con il rock che finalmente torna ad essere protagonista.

E dopo un anno di lunghi addii ne arriva uno di grandi ritorni. Dopo aver perso artisti del calibro di David Bowie e Leonard Cohen, nel 2017 ci ritroviamo con il ritorno alla musica di Robyn Hitchcock, Pere Ubu, The Fall, The Feelies, The Residents, The Dream Syndicate, Wire (solo per citarne alcuni). Gruppi e artisti che hanno rappresentato la new wave e il post punk a cavallo tra i 70’s e gli 80’s, che ora tornano in auge con una retromania (citando Simon Reynolds) virale.

In una scena musicale dominata da centinaia di gruppi copia (è proprio il revival il grande “genere” della nostra generazione?) il ritorno di questi signori sembra più che legittimo. Signori che non cessano di fare grande musica, regalando vere e proprie lezioni. Infatti tutti i sopra citati hanno attraversato questo 2017 con album fantastici, addirittura necessari per le nuove leve. Eppure (spoiler alert) nessuno di questi è presente in classifica.

Onore alle nuove proposte quindi (anche se troverete diversi “dinosauri” nel best of) che, lentamente, sembrano trovare diverse forme musicali e una propria voce. 

E regalano gioie: il rock è stato uno dei generi dell’anno (con varianti post-hardcore, industrial e post-rock) e questo è il ritorno più gradito.

 

30) Oxbow – Thin Black Duke

Ed è proprio con un grande ritorno che comincia questa classifica. Ovvero quello degli Oxbow, storica band avant-noise che, a partire dagli anni 90, ha fatto esclamare centinaia di persone con la loro musica folle e schizzata. Come dimenticare quel King of the Jews che, con una ferocia punk inarrivabile, mostrava al mondo intero (pure a Steve Albini che li produrrà qualche anno dopo) l’opera della band californiana? Ma il tempo passa inesorabile, ed il 1991 adesso sembra un’epoca lontana, ancestrale. Così ecco che, 26 anni dopo, quella potenza viene distillata, resa esangue non dalla mancanza di mordente ma dalla maturità dei nostri. Un bel po’ di canzoni dopo Eugene Robinson & co. sono cresciuti e tornano con un album fatto di orchestre e dissonanze eleganti, continuamente teso come un arco che deve scegliere se scagliare la freccia nell’oscurità o nella luce più abbagliante. A quasi 30 anni dall’esordio, gli Oxbow sono sempre gli Oxbow, e questo suona come un miracolo.

 

 

29) Nathan Fake – Providence

Già dal suo splendido esordio risalente al 2006, ovvero Drowning in a Sea of Love, reputo questo ragazzo come una delle new entry più interessanti nel mondo dell’elettronica, insieme all’amico James Holden. James nel 2013 è uscito con l’album della maturità, quel The Inheritors che è destinato a rimanere negli annali come uno dei grandi capolavori degli anni 10 di questi 2000. Ma Nathan ci ha fatto aspettare qualche anno in più. Fortunatamente Providence suona come l’album della svolta per un artista incredibilmente talentuoso, che con questa piccola perla ci introduce nel suo mondo fantascientifico. Una colonna sonora dal futuro.

 

 

28) Shabazz Palaces –  Quazarz vs. The Jealous Machine/Quazarz: Born on a Gangster Star

Seattle è sinonimo di Sub Pop, ma nel 2017 non necessariamente di grunge. Dico questo perché direttamente dalla Space Needle arriva un duo che farà parlare di se, ma non suonano come dei novelli Soundgarden, anzi. Ingaggiati dalla storica etichetta underground, gli Shabazz Palaces propongono due album che formano un universo cerebrale e bizzarro. Il concept vede come protagonista un emissario alieno di nome Quazarz e la sua discesa sulla terra. Tutto questo al suono di un hip-hop astratta e spaziale, uno dei punti più alti del genere in questo 2017.

 

 

27) Converge – The Dusk in Us

Avere 40 anni e, dopo 9 album (tra cui un certo Jane Doe), suonare sempre con tale energia non è da tutti. Eppure Jacob Bannon continua a farlo con i suoi Converge. The Dusk in Us è qui a dimostrarlo, 44 minuti di un metalcore che lascia senza respiro, in quel calderone musicale che unisce due generi non proprio leggeri: hardcore e metal (con piccoli accenni emocore in questo episodio) vanno di pari passo, con l’ennesimo punto esclamativo in una carriera ormai ventennale. Eppure in mezzo  a tutta questa combustione rock instancabile, c’è spazio anche per momenti di tregua, se così si possono chiamare. La titletrack e 12 Thousands of Miles Between Us sono due perle che danno il colpo finale, facendo di The Dusk in Us un ascolto indimenticabile.

 

 

26) LCD Soundsystem – American Dream

Un sogno che ossessiona, che attanaglia esistenze intere mangiandosele. Così succede che tanti si arrendono, chiudendo gli occhi alla luce che abbaglia. Ed ecco che arrivano “lunghi addii”, come quello di James Murphy al Madison Square Garden. Gli LCD Soundsystem sembravano arrivare ai titoli di coda nel 2011. Ma nessuno aveva tenuto conto del fattore Duca Bianco. Infatti , durante la lavorazione di Blackstar, pare che Murphy si sia fatto una chiacchierata con Bowie che, senza giri di parole, l’ha convinto a tornare alle sue origini. American Dream appare dopo 6 anni da questo ipotetico addio e unisce tutto ciò che sono stati (e saranno?) gli LCD. Un inno continuo verso quella new wave così lontana ma così vicina, dove i Talking Heads fanno capolino continuamente.  Gli LCD Soundsystem sono tornati, alla grande, e in questo hanno vinto l’abbagliante sogno americano.

 

 

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