Il film di Alfonso Cuaron indaga il percorso umano di elaborazione del lutto.

 

Prima considerazione: nella quasi totalità dei casi (eccettuato forse Hugo Cabret di Martin Scorsese) la tridimensionalità è stata utilizzata al precipuo scopo di rappresentare un orpello ornamentale, un quid aggiunto a vari altri effetti speciali per rendere il film più spettacolare; o, peggio ancora, film girati in 2D sono stati successivamente “gonfiati” per raccogliere qualche spicciolo in più al botteghino. In quest’ottica Gravity di Alfonso Cuaron rappresenta una sorprendente novità. Finalmente il 3D è funzionale alla storia che il film si propone di raccontare. Asservito non più alla forma bensì alla sostanza.

 

Seconda considerazione: al suo sesto lungometraggio il regista messicano fa finalmente centro. Dopo una serie di film poco convincenti, tra i quali l’episodio forse meno riuscito della saga di Harry Potter (Il prigioniero di Azkaban) e il futuristico I figli degli uomini, ricco di potenziale mal sfruttato, Alfonso Cuaron confeziona un film decisamente riuscito di cui firma anche la sceneggiatura.

 

Alfonso Cuaron 1

Quello di Alfonso Cuaron non è un semplice film di fantascienza

 

Gravity non è semplicemente (o non solo) un film di fantascienza come non lo era 2001: Odissea nello spazio (lungi da me fare improponibili paragoni) di cui è evidente debitore e a cui rende omaggio in una bellissima scena che richiama l’enigmatico finale del capolavoro kubrickiano. Al regista, infatti, preme maggiormente indagare il percorso umano di elaborazione del lutto, la ricerca di una nuova ragione per andare avanti, la lotta per sopravvivere in un mondo ostile. E non è paradossale che ciò avvenga nello spazio, a distanza siderale dalla Terra, dove l’assenza di gravità, il silenzio assoluto e la solitudine sono preziosi alleati per recuperare il senso della vita, così come può esserlo una pioggia di detriti. Perché a volte bisogna toccare il fondo prima di potersi rialzare e riprendere a camminare.

 

Per quanto riguarda la trama poi, meno rivelo meglio è, per un film che è alimentato anche da continui colpi di scena che riescono a tenere alta e costante la tensione. Vi basti sapere che i protagonisti (che sono poi i soli personaggi) sono due ingegneri spaziali (un veterano e una novizia), interpretati dall’ormai sempre bravissimo e dalla finalmente convincente Sandra Bullock, che si trovano alle prese con la riparazione di una stazione spaziale quando vengono sorpresi da una violenta pioggia di detriti dovuta all’esplosione di un satellite russo. Da questo momento inizia un drammatico conto alla rovescia per la sopravvivenza.

 

Ultima considerazione: ho sempre ritenuto particolarmente importante, nell’economia di un film, un bel finale.  Ebbene, in Gravity, da solo vale il prezzo del biglietto.